Claudio Antonelli, Libero 26/1/2014, 26 gennaio 2014
L’ICTUS ALL’EMIRO FA TREMARE IL GOLFO
Khalifa bin Zayed Al Nahyan, tra i primi trenta uomini più potenti al mondo, presidente degli Emirati Arabi Uniti, 66 anni e con un patrimonio personale di 20 miliardi di dollari, è stato ricoverato ieri per un ictus. Dopo due ore imedici si sono affrettati a definire le sue condizioni stabili, ma il ministro degli Esteri si è limitato a dire: «Dio preservi il presidente Khalifa da ogni male». Non proprio incoraggiante perché, in questo momento,un cambio al vertice non farebbe comodo a nessuno. Sia per quanto riguarda il difficile fronte geopolitico che divide i musulmani sunniti dai sciiti (ovviamente gli emiri stanno con l’Arabia Saudita), ma anche in relazione agli innumerevoli investimenti sparsi in giro per il mondo. Khalifa controlla riserve di petrolio per 97,8 miliardi di barili, gestisce il secondo fondo sovrano più grande al mondo con un patrimonio di 627 miliardi di dollari. Ed è capo della migliore compagnia aerea del pianeta, EtihadAirways. La stessa che sta trattando per il salvataggio di Alitalia.
Sebbene sia prematuro alcun tipo di allarme, la morte del presidente potrebbe aprire una faida successoria per il trono, che non è detto garantisca un emiro illuminato quanto Khalifa. Con ripercussioni notevoli, dalla Magliana fino a Teheran. Il padre, Zayed Bin Sultan Al Nahyan, primo sultano degli Emirati, gettò le basi della prosperità attuale equando nel 2004 passò il testimone fece promettere al figlio di sospendere una volta per tutte l’abitudi - ne del fratricidio, perpetrata fino agli anni ’60 del Novecento. Non è detto che i fratelli la pensino allo stesso modo. I tre principi ereditari, Mohammed, Mansur e Issa hanno infatti caratteri completamente diversi. Il primo è famoso per le mance generose che elargisce girando per il mondo. Il secondo per il fiuto del business. È l’uomo che ha ridato liquidità a Barclays Bank e al Manchester City nel 2008. Il terzo, Issa, invece è passato alla storia perché si fece riprenderementre massacrava un mercante di grano accusato di furto, gettando una luce sinistra sulla dinastia.
Nell’ultimo anno si sono susseguite voci di tensione tra i fratelli alimentate anche dalle incertezze del fronte esterno. Nella guerra in atto tra sunniti e sciiti, gli Emirati Arabi, a differenza di Qatar e Arabia Saudita, hanno svolto un ruolo che si potrebbe definire da mediatore. Dopo gli avvenimenti libici, Abu Dhabi ha fatto capire di voler cambiare registro. Cosciente che le forniture militari ai vari fronti della ribellione in un modo o nell’altro finiscono sempre nelle mani degli jiadhisti gli Emirati hanno dichiarato di non dare armi alla resistenza anti Assad e di puntare sul dialogo. A settembre scorso il principe ereditario di Abu Dhabi, Muhammad Bin Zayed Al Nahyan, visita Mosca accompagnato da una dote di sette miliardi di dollari destinata alle infrastrutture energetiche della Federazione. Il Cremlino accetta l’offerta e dopo due mesi manda il proprio ministro degli Esteri in visita ufficiale al Cairo assieme al parigrado Emiratino. Risultato: sarà Abu Dhabi a farsi carico di finanziare con due miliardi di dollari gli acquisti egiziani di armi russe.
La strategia attuale è chiara. Bacchettare Obama che ha infilato una serie di errori diplomatici e riportare l’equilibrio del Medioriente a favore dei sunniti. Una sorpresa al trono di Abu Dhabi rischierebbe di gettare nel caos - ancor più di quanto succede oggi - tutta l’area. E un’amicizia troppo forte con la Russia di Putin potrebbe provocare il disinvestimento dai mercati occidentali di miliardi di dollari.