Filippo Facci, Libero 26/1/2014, 26 gennaio 2014
COLPA DI GIORNALI E TV SE LA GIUSTIZIA FA SCHIFO
Dire che i giudici sono sottoposti «a un’infamante gogna mediatica» è come dire che Equitalia è vessata dalle tasse, suona strano, viene da cercare l’errore: e l’errore c’è. L’ha commesso, ieri, il presidente della Corte d’Appello di Milano Giovanni Canzio, che nel corso della versione milanese dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario ha detto che i magistrati milanesi sono stati oggetto di «immotivate censure, attacchi personali, dileggio strumentale, infamante gogna mediatica e talora anche minacce». Canzio parlava a margine dei procedimenti milanesi che hanno riguardato Berlusconi, quindi doveva immaginare che le sue parole avrebbero fatto titolo: qui il suo errore, la sua ingenuità, perché leggere «Magistrati: contro di noi gogna mediatica » (che ieri era il titolo medio sul web) faceva oggettivamente ridere. Per come vanno le cose in Italia, da una ventina d’anni, faceva ridere. Restringendo l’area solo ai processi di Berlusconi, a ben vedere, faceva ridere lo stesso. Non c’è sintesi in grado di riassumere la quantità di sputtanamenti che il celebre circuito mediatico-giudiziario ha regolarmente offerto all’opinione pubblica: in questo, cioè nella pubblicazione di ogni genere di materiale istruttorio, di norma assai prima di qualsiasi processo, l’Italia resta avanguardia mondiale. La cosa riguarda tutti in Italia, anche solo a telefonare, ci sente a Berlino Estma volendo anche solo fermarsi ai magistrati che si sono occupati di Berlusconi, in ogni caso, resta un mistero di quale «gogna mediatica» e quali «minacce» andasse parlando il presidente della Corte d’Appello: se è vero che una gogna mediatica è anzitutto l’indebita pubblicizzazione di un personaggio, beh, il presidente Giovanni Canzio potrebbe elencarci quali magistrati anti-berlusconiani siano divenuti noti all’opinione pubblica in questi anni: non si ricorda un nome. Eccezioni? Forse Ilda Boccassini: ma era già stranota nei primi anni Novanta, ben prima che si occupasse di Berlusconi. Forse, ma molto meno, il pm Fabio De Pasquale: ma non si può certo dire che stampa e televisione, neanche berlusconiane, ne abbiano fatto un personaggio. L’unico al centro della presunta «gogna mediatica» forse è stato il giudice della Cassazione Antonio Esposito: ma la testa, sulla gogna, ce l’ha messa lui con una sua consenziente intervista al Mattino (in italiano misto napoletano) sottoposta alle attenzioni non solo della stampa, ma anche del Csm. Ci sarebbe infine un ultimo candidato, a proposito di gogne mediatiche: forse il presidente Giovanni Canzio si riferiva a se stesso e al trattamento che gli ha riservato Il Fatto Quotidiano proprio di recente. Si legge infatti in un editoriale del 29 dicembre a firma Marco Travaglio: «Ci vuole una bella legge anti-arresti: vi sta provvedendo la ministra Cancellieri, coadiuvata da un’apposita commissione presieduta da Giovanni Canzio, il presidente della Corte d’appello di Milano che nel febbraio 2012 impiegò un mese per respingere la ricusazione dei giudici del processo Mills, regalando così a B. la sua ottava prescrizione». Roba da querela, meglio, da gogna mediatica. Del resto, il 20 novembre, Travaglio aveva già scritto in un altro editoriale: «Il processo Mills cadde scandalosamente in prescrizione 10 giorni prima della sentenza di primo grado, e forse un giorno le stranezze che ne hanno costellato l’ultima fase troveranno una spiegazione e una sanzione per i responsabili». Pesantuccio: tanto che Travaglio dovette correre ai ripari. Sul Fatto del 31 dicembre, opportunamente imboscato a pagina 23, compariva questo suo trafiletto: «A proposito del disegno di legge governativo in materia di custodia cautelare, pare che esso non sia frutto soltanto delle proposte della commissione presieduta da Giovanni Canzio, presidente della Corte d’appello di Milano, ma anche di quelle della commissione Riccio del 2006 e che le trovate più assurde per ostacolare i magistrati provengano proprio da quest’ultima. Aggiungo una precisazione su una mia frase che rileggendola mi pare si presti a equivoci. La frase è “...Giovanni Canzio, il presidente della Corte d’appello di Milano che nel febbraio 2012 impiegò un mese per respingere la ricusazione dei giudici del processo Mills...”. L’equivoco è nel “che”: si riferisce alla Corte d’appello e non al suo presidente Canzio ». Querela pardon, gogna mediatica scongiurata.
Ma il presidente Giovanni Canzio, tornando a ieri, ha detto altre cose che hanno fatto meno titolo. Ha detto che la Corte di Cassazione, nel respingere la richiesta di rimessione di procedimenti su Berlusconi, ha preso «una storica decisione». Si riferiva alla richiesta di trasferire i processi prima a Monza, poi al tribunale dei Ministri e infine a Brescia: questo per ragioni di competenza o di «legittimo sospetto» di parzialità dei giudici. E ha ragione, è una decisione «storica»: basta metterci d’accordo sul perché. È «storica» perché viene descritta appunto come una decisione, un atto discrezionale basato su una precisa volontà e non su una fredda applicazione dei codici. Quella di fingere che la competenza territoriale per esempio non fosse monzese (nel caso del Rubygate, tutto palesemente incentrato ad Arcore) sarà stata anche storica, ma anzitutto è una decisione. Quella di fingere che al tribunale di Milano non ci fosse un pregiudizio anti-berlusconiano (e che in altri tribunali non avrebbero potuto giudicarlo serenamente) è stata in effetti una «storica decisione». Soprattutto lo è stata la decisione di sottoporre un imputato particolare a «tempi della giustizia» assolutamente unici, anzi «storici», e questo lo facciamo notare proprio mentre le inaugurazioni dell’Anno giudiziario denunciano le lentezze che riguardano gli altri imputati del Paese: peccato che per essi non siano state prese «storiche decisioni». Per Berlusconi sì, e l’abbiamo scritto cento volte: delle 47 udienze in meno di due anni (processo Mills) che fecero lavorare i giudici sino al tardo pomeriggio e nei weekend; delle motivazioni della sentenza notificate in 15 giorni (anziché i consueti 90) così da permettere che il ricorso in Cassazione fosse più spedito; soprattutto dei tre gradi di giudizio in un solo anno (alla faccia della Corte Europea che ci condanna per la lunghezza dei procedimenti) per il processo per frode fiscale che ha infine condannato e fatto decadere Berlusconi; infine della solerte attivazione di una sezione feriale della Cassazione, quella del giudice Esposito, che ha fatto gli straordinari come non avrebbe fatto per nessun altro. La «storia» passa da qui, da comportamenti eccezionali rispetto alla norma, dall’aver riservato a Berlusconi una determinazione sconosciuta al banale destino dei cittadini normali. Ma, più che storia, sembra tanto politica.