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 2014  gennaio 26 Domenica calendario

L’INTERVISTA A FRANCO NERO «CI VORREBBE UN DJANGO PER SISTEMARE LE COSE NEL MONDO DEL CINEMA»


Django vive! E rimonta a ca­vallo per iniziare le nuove gene­ra­zioni al culto del pistolero laco­nico e vincente, che nel 1966 lan­ciò Franco Nero. Quando il regi­sta Sergio Corbucci ordinava ai cameramen d’insistere sui ma­gnetici occhi blu di Francesco Sparanero da Parma, star inter­nazionale classe 1941, oltre 150 film in una carriera eclettica. Pe­ròfu Django , nobile antieroe, ge­neratore d’una trentina di titoli, a rendere iconico il magnifico at­tore. «Con quello sguardo, farò un sacco di soldi!», diceva Cor­bucci. E se Quentin Tarantino, 14enne quando Nero fece furo­re con lo spaghetti-western di culto, l’ha voluto in un cammeo di Django Unchained , ispirato al film di Corbucci, adesso tocca a Django Lives! ovvero al capitolo finale della storia: Franco Nero, 72 primavere e spicci, seduttivi­tà intonsa, si appresta a girare nello Utah il sequel del padre di tutti gli spaghetti-western. In un’operazione intelligente, sul­l’onda del rilancio tarantiniano del genere, la casa produttrice texana Point Blank Pictures s’è assicurata i diritti di Django . Affi­dando a Joe D’Augustine, mon­tatore di fiducia di QT (ha edita­to Bastardi senza gloria e i due Kill Bill ) e supervisore del restau­ro de Il Buono, il Brutto, il Cattivo
di Sergio Leone, la regia d’un film che ci voleva. Con 5 milioni di dollari di budget si chiude una trilogia: dopo Django , nel 1987 Nero girò Django 2. Il grande ri­torno di Nello Rossati ( pseudoni­mo: Ted Archer). Scritto da Eric Zaldivar e Mike Malloy, cultori dei film d’azione dei Settanta, Django Lives! si ambienta nel 1915, all’epoca del muto: nel cast, Noah Segan, Mark Boone jr e Thomas Milian. Un ritorno de­finitivo. Con l’egida del clan ta­rantiniano, ma soprattutto con lui, il cowboy titolare.
Nei panni di Django, cin­quant’anni dopo: che cosa farà, stavolta?
«Il consulente d’una casa di produzione cinematografica di western muti. Siamo nel 1915 e, all’epoca, eroi del West come Wyatt Earp e Buffalo Bill veniva­no ingaggiati dall’industria del cinema, come esperti, per rive­dere le scene d’azione, o suggeri­re contesti. Il mio Django è avan­ti con gli anni, ma andrà incon­tro a molte disavventure».
Non si limiterà a stare dietro alla scrivania?
«Inizialmente sto a guardare cosa combina una banda di vio­lenti nel villaggio in cui vivo. Gen­te influenzata dal western radi­cale di Griffith, Nascita di una na­zione .
Ho uno strano rapporto d’amicizia con un giovane regi­sta, indebitato fino al collo. Quando gli strozzini lo fanno fuo­ri, i suoi debiti vengono trasferiti a me. Fuggirò in un altro vil­laggio, i cui abitanti hanno i loro problemi. Django deve risolvere i conflitti.
E si vendicherà».
Che dice a chi storce il naso pensando che a 72 anni è du­ra fare il bastardo a cavallo?
«Credo d’essere l’unico attore che ha lavorato con il cinema di tutte le nazioni. Ho fatto film con registi brasiliani, australiani, ho girato in Messico, Spagna, Ger­mania, Svezia... E ancora lavoro e mi diverto. Un privilegio, che però mi conquisto ogni giorno. Faccio sport e sono sereno».
Dal 1966, il personaggio di Django l’ha accompagnata per tutta la carriera. Un be­ne, o un peso?
«Forse mi ha perseguitato, agli inizi: ovunque andassi, mi chiamavano Django. Quando fa­cevo thriller politici, dicevano: “Django contro la mafia”...Mi re­gistravano così anche negli al­berghi. Peccato che oggi, da noi, non si facciano più quei film, che aiutavano l’industria. Produce­vamo 400 pellicole l’anno e i pro­duttori, guadagnando con i film di genere, reinvestivano i soldi in progetti più artistici. Sparite pure le coproduzioni. E intanto le sale chiudono».
Inizierà le nuove generazio­ni anche al culto di Dante. Ci parla del film Il mistero di Dante di Louis Nero, che lei ha prodotto?
«Non è un caso se il film esce a San Valentino: il grande poeta fe­ce­parte del gruppo iniziatico fio­rentino “I Fedeli d’Amore” e sa­re­bbe bello trasmettere ai giova­ni il fascinoso mistero dantesco.
Affiancare il mio lavoro d’attore a quello di produttore è la mia mission: m’interessa aiutare i giovani autori a crescere. È il quarto film che faccio con Luis, da produttore, e se ne profila un quinto, dove farò l’attore. Parla­re d’un personaggio come l’Ali­ghieri è una sfida. Col prezioso contributo del premio Oscar F. Murray Abraham, dell’amico Valerio Massimo Manfredi e del Maestro Franco Zeffirelli - colgo l’occasione per fargli gli auguri: a breve compirà 91 anni! - cer­ch­eremo di parlare alla nuova ge­nerazione dell’amore che la mia generazione ha nutrito per que­sto grande del passato. Il film stu­pirà. Abbiamo molto interesse per le vendite all’estero».
Vivendo tra Roma e l’Ameri­ca, segue il cinema italiano?
«Cerco di seguirlo il più possi­bile, anche se sto più spesso in America,con i miei nipoti.Ma so­no affezionato al modo di fare ci­nema d’una volta. Oggi si fanno solo commediole di poco spesso­re».