Giampaolo Visetti, la Repubblica Affari & Finanza 27/1/2014, 27 gennaio 2014
PECHINO SCOPRE
L’R&D MA PIU’ SOTTO “TERZISTI” –
La Cina ha conquistato l’economia mondiale grazie alla produzione per conto terzi di merce a basso costo. Quell’epoca è ora al tramonto e Pechino ha compreso che per trasformarsi realmente nella super-potenza del capitalismo globale, deve recuperare terreno sul fronte dell’innovazione. Ricerca e sviluppo sono già tra le priorità di spesa del governo. Quest’anno gli investimenti pubblici supereranno i 284 miliardi di dollari, il 22% in più rispetto al 2012. Gli Stati Uniti nel 2014 investiranno nella ricerca avanzata 465 milioni di dollari, il 4% in più rispetto a due anni fa. Se la tendenza verrà confermata, la Cina supererà l’Europa nel 2018 e gli Usa nel 2022, diventando il primo investitore mondiale nell’innovazione hi-tech. Lo sforzo di Pechino è già premiato anche dai mercati. Nell’ultimo semestre i titoli tecnologici cinesi sono aumentati del 42%, contro il più 18% del settore negli Usa. La determinazione a trasformarsi nel simbolo dell’innovazione del secolo sta spingendo la Cina a investire anche al di fuori dell’elettronica e della meccanica. Fino ad oggi il sistema è stato semplice: le multinazionali straniere, per tagliare i costi, hanno delocalizzato sul territorio cinese l’assemblaggio, in cambio di aree, manodopera e vantaggi fiscali. Il primo passaggio, in cambio di liquidità, è stato chiedere il trasferimento di parte della tecnologia. Il secondo è consistito nella garanzia di
assicurare il nuovo mercato dei consumatori cinesi, la più numerosa classe media del pianeta. Come contropartita, Pechino ha cominciato a pretendere di partecipare alle proprietà, o di acquisire direttamente il controllo aziendale. Anche questa fase è prossima al compimento e la Cina si muove su un doppio binario. All’estero si espande comprando valuta, gruppi strategici e infrastrutture. Al proprio interno cresce sviluppando nuove aziende, più avanzate degli storici concorrenti stranieri. Negli ultimi mesi la spinta senza precedenti ad un’innovazione «made in China», capace di rivoluzionare l’immagine nazionale nei settori dell’industria e del commercio, si è estesa alle automobili, ai televisori, a tablet e smart-phone, ma pure alla moda, al design, alla medicina, alle armi, alla tecnologia spaziale, all’energia pulita, agli elettrodomestici e perfino alla domotica. Fino ad oggi il consumatore occidentale è stato disposto ad acquistare giocattoli, abiti, scarpe e accessori cinesi. Tutto il resto, oltre il livello medio-basso di spesa, lo ha lasciato diffidente. Nell’ultimo trimestre si registra invece, negli Usa come in Europa, una forte crescita delle fasce di mercato dell’hi-tech cinese. Questo è il risultato dei maxi-investimenti di Pechino nella ricerca, tali da attirare cervelli dall’estero e da interrompere la fuga dei propri. Competenze e capacità finanziarie, secondo un sondaggio tra i manager delle più importanti multinazionali, stanno rapidamente riequilibrando il potere mondiale della tecnologia e dello sviluppo. Ad aprire la strada, tre marchi dell’elettronica e delle comunicazioni. Lenovo, Huawei e Tencent per la prima volta hanno lanciato alcuni prodotti più nuovi di quelli di Usa, Giappone e Corea del Sud, rubando ai concorrenti sia i clienti che i migliori tra ingegneri e manager. «Huawei», nel nuovo centro di Shanghai, impiega oltre 10 mila informatici, mentre il governo cinese ha stanziato 5 miliardi di dollari per creare un fondo di investimenti nel settore dei microchip. Sono migliaia gli imprenditori cinesi che hanno compreso che per affrontare il futuro e continuare a crescere devono investire nell’innovazione. L’esempio sta contagiando l’intera Asia: una partita che Europa e Usa possono perdere, ma che non possono rinunciare a giocare.