Massimo Vincenzi, la Repubblica Affari & Finanza 27/1/2014, 27 gennaio 2014
AKERLOF IL NOBEL UN MARITO CONSIGLIERE PER LE PRIME MOSSE DELLA YELLEN ALLA FED
New York Il 9 ottobre, quando Barack Obama incorona Janet Yellen alla guida della Fed nel dopo Bernanke, lui sta in prima fila: ascolta il discorso del presidente e applaude la moglie, la prima donna a guidare la Banca centrale americana. Finita la cerimonia, le si avvicina e la bacia piano sull’angolo della bocca, lei gli accarezza i capelli grigi. Ma lui non è un principe consorte, è George Akerlof, uno dei migliori economisti, vincitore del Nobel nel 2001 insieme a Michael Spence e Joseph Stiglitz. Seguace di Keynes, è protagonista di studi decisivi sui salari e la disoccupazione. Sono tra le coppie più potenti del mondo, scrive il magazine Time che si chiede tra la retorica e l’ironia: “Come sarà la vita familiare tra una moglie che guida l’economia mondiale e un marito grande scienziato?”. Nelle fotografie che li ritraggono insieme colpiscono gli sguardi, l’etichetta formale non cancella l’intimità, anche se a vederli sono l’opposto: lei sempre perfetta, elegante nei suoi tailleur di taglio classico, l’acconciatura a caschetto, le spille d’oro sulla giacca, lui in abiti blu che sembrano di una taglia più grande, spettinato, gli occhiali sbilenchi a nascondere un sorriso sornione. Eppure stanno insieme dal 1978, quando si sposano dopo soli sei mesi di fidanzamento. L’incontro ad un pranzo ufficiale della Fed, un destino, poi lui vince la timidezza e inizia una corte serrata e a tratti maldestra: “L’ho fatto un po’ soffrire,
ma ho capito sin da subito che sarebbe stato l’uomo della mia vita”, confesserà lei più tardi. E, nelle interviste dopo la sua nomina, non perde occasione per omaggiarlo: “È stato decisivo nella mia formazione, mi è sempre stato d’aiuto e ha fatto di tutto per sostenermi nella mia carriera”. Lui ricambia con una battuta: “Abbiamo come tutti dei piccoli dissapori, per fortuna la pensiamo allo stesso modo sui principi di macroeconomia: lei commette solo l’errore di avere più fiducia di me nel libero mercato”. Quando lei entra nella Banca centrale lui prima fa il pendolare, poi si prende un congedo dalla cattedra di Berkeley pur di seguirla nei suoi spostamenti: “Io sono un pensatore, un ricercatore, posso lavorare in qualsiasi posto, non ho mica bisogno di un ufficio con la targhetta sulla porta con scritto: professore”, ama ripetere. Quando il figlio Bob è piccolo, tocca spesso a George prendersi cura di lui, prepara i pasti, gli cambia i pannolini, si alza la notte e persino nelle faccende domestiche se la cava. Insieme condividono la passione per i francobolli, hanno una collezione da oltre 15mila dollari e il fiuto per gli affari con un patrimonio comune in milioni di dollari. Dalla loro vita familiare nasce una delle teorie più famose nell’economia moderna: “Dovevamo assumere una baby sitter e ci siamo detti: meglio non risparmiare, ma pagare di più per avere il servizio migliore”. All’annuncio si presentano a decine, loro scelgono la più brava e poi scrivono Efficiency Wage Models of the Labor Market sui salari efficienti. Un modello che guiderà poi l’azione della Yellen alla Fed, sostenitrice della politica monetaria e delle altre misure di sostegno per creare maggiori posti di lavoro. La disoccupazione è l’altro pallino di Akerlof. Anche quello frutto di un’esperienza personale: “A 12 anni vidi mio padre perdere il lavoro e mi colpì molto la sua reazione e quella delle persone intorno a lui. Da allora, da cinquant’anni, si può dire che non faccio altro che rimuginare su questo tema”, scrive nella biografia per l’Accademia dei Nobel. La monomaniacalità è il suo vizio e la sua fortuna. Gli amici raccontano che può suonare per ore una canzone al piano sino a quando non afferra la nota giusta, Ed è il motivo per cui si separa dalla prima moglie, l’architetto: Key Leong, che lo accusa di passare mesi e mesi sullo stesso foglio. Ma allo stesso tempo quando si attacca ad un’intuizione riesce quasi sempre a tradurla in una teoria, grazie spesso all’aiuto della moglie che “mette le briglie alla mia fantasia e mi aiuta ad essere concreto”. Un tandem perfetto che ne fa quasi il presidente ombra della Banca centrale: “Continueremo a discutere, parlare, confrontarci come abbiamo sempre fatto: per dieci anni abbiamo anche pubblicato libri e articoli assieme, ma le sue decisioni sono sue e di nessun altro. Janet non è una donna che si fa influenzare, nemmeno dal marito”, precisa lui dopo che molti commentatori avevano insinuato il sospetto. Akerlof nasce a New Haven, una piccola città del Connecticut, il padre – che viene dalla Svezia — è docente di chimica, la madre, un’ebrea di origini tedesche, fa la casalinga. In casa sta spesso da solo, non fa amicizia facilmente, a scuola l’ansia lo paralizza e gli procura un fastidioso inconveniente: spesso vomita. Tanto che viene prima espulso e poi riammesso ma con l’obbligo di star lontano durante i pasti dagli altri compagni, cosa che non lo turba affatto. Si appassiona alla storia e alla economia, interessi che porta avanti (insieme a quello per la matematica) anche a Yale dove si iscrive. Nasce in quegli anni la voglia di cercare una strada nuova, meno convenzionale, che mischi le discipline nello studio dell’economia: una scienza empirica che parta da Keynes e allarghi i propri confini a storia, filosofia, psicologia e sociologia. È un nerd, ma ai suoi tempi nessuno ha ancora nobilitato l’espressione e dunque, quando non consegna posta per pagarsi la retta, rimane chiuso nella camera del dormitorio o in biblioteca. Osserva, senza capirli, i suoi coetanei che passano i pomeriggi a vedere la tv e bere birra, nemmeno lo sport lo aiuta a socializzare: pochi muscoli e ancora meno resistenza ne fanno un pessimo atleta. Sta spesso con l’amato fratello Carl, “di gran lunga più intelligente di me” e lo sostiene nelle battaglie con i professori. Uno di questi gli annuncia un futuro inquietante: “Hai una calligrafia da assassino, mi disse, previsione che al momento non si è ancora realizzata”, scherza lui adesso. Trova il modo per salire qualche gradino sociale scrivendo sul giornale di Yale: ci lavora per due anni cercando di togliergli quella patina sacra che lo circonda, il suo motto è “bisogna essere seri, non solenni”. Ma nonostante gli sforzi al terzo anno lo cacciano: “E’ stata la cosa migliore che mi sia mai capitata in vita mia. Non sarei mai stato un bravo giornalista: non sono pignolo nella ricostruzione dei fatti, mi annoio”. Ama l’India, per anni studia anche la lingua, dopo esserci andato per lavoro nel 1968 ed esserne stato conquistato: “È stato uno dei viaggi più importanti della mia vita”. Originale, controverso, scappa dalle etichette: nel 2005 firma un manifesto per denunciare il fallimento delle campagne proibizioniste sulla marijuana e viene travolto dagli attacchi dei Repubblicani. Gli stessi che una decina di anni prima avevano inneggiato al suo saggio sullo “choc tecnologico subito dalle gravidanze”, ovvero come aborto e tecniche contraccettive hanno cambiato i modelli di coppia e di maternità. Lui dichiarò più volte di essere a favore dell’aborto legale, ma quel suo testo è ancora citato dagli ultrà conservatori. Ama discutere, cerca spesso lo scontro, ma sempre senza urlare, solo per stimolare il dibattito. Gli intimi raccontano di cene infinite dove la Yellen e il marito si azzuffano con gli ospiti, economisti e altri professori, sino a notte fonda, cercando ognuno di far prevalere la propria idea. Riunioni conviviali che adesso si trasferiscono da San Francisco a Washington, dove lui ovviamente segue la moglie: “Come quando era alla Casa Bianca so che ci aspettano giorni difficili: proverò, come sempre, a darle sostegno morale”. E di certo qualche consiglio.