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 2014  gennaio 27 Lunedì calendario

DOMANI I MICROBI CI SALVERANNO


Per meglio comprendere la novità e l’importanza di un lavoro appena pubblicato sulla rivista specializzata «Cell» da Sarkis K. Mazmanian e undici collaboratori dell’Istituto di Tecnologia della California, riguardante le interazioni tra microbioma e disturbi cognitivo-comportamentali, occorre fare un passo indietro.
Negli ultimi dieci anni circa, ma ancor più negli ultimissimi tre o quattro, abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione nel mondo della biomedicina. Si tratta dello studio del microbioma, ovvero delle molteplici scoperte sull’identità, la genetica e la distribuzione delle migliaia di miliardi di microrganismi che popolano il nostro corpo. Grazie all’esplosione di potenti tecnologie che consentono di sequenziare qualsiasi materiale genetico di qualsiasi provenienza, ci siamo resi conto che i microbi presenti intorno e dentro di noi sono almeno dieci volte di più, e molto più eterogenei, di quelli che venivano tradizionalmente identificati in coltura. Pullulano batteri, funghi e altri infinitesimi organismi viventi soprattutto nell’intestino (dove vivono mille miliardi di microrganismi per ogni grammo di tessuto), ma anche nel profondo della pelle, nelle mucose, nella congiuntiva, la saliva, gli organi genitali, le vie aeree, giù giù fino agli infraditi. Un attivo progetto internazionale, lo «Human Microbiome Project Consortium», sovvenzionato dai National Institutes of Health, raccoglie i sempre più numerosi dati e cerca di armonizzare e unificare i protocolli sperimentali.
Per darci un’idea approssimativa della rivoluzione microbiomica, immaginiamo di effettuare il seguente bizzarro esperimento. Prendiamo il Signor Mario Rossi, nudo in piedi di fronte a noi. Ora rimuoviamo tutte, proprio tutte, le cellule del suo corpo, ma lasciamo intatto l’universo di microrganismi che popolano il suo corpo. Ebbene, avremmo ancora di fronte una brulicante ma nettissima scultura del Signor Mario Rossi. Il numero di tali microorganismi è , infatti, almeno dieci volte piu’ grande del numero di cellule del nostro corpo. Tradizionalmente abbiamo associato i batteri alle malattie infettive, il che non è certo falso, ma sempre più ci rendiamo conto che la nostra salute dipende in modo essenziale dalla pacifica coabitazione con questo universo di microrganismi. Infatti, con raffinate e costose tecniche, in alcuni laboratori, si ottengono topi completamente privi di ogni microbiota, il che permette di somministrare loro selettivamente in tempi diversi solo popolazioni prescelte di microrganismi. Ebbene, tali artificiali «purissime» creature hanno esistenza molto precaria. In altre parole, coesistere con il nostro personale microbioma è un grande vantaggio, anzi, una necessità.
Alcuni dati vanno tenuti ben presenti.
Il primo è che tali diverse specie di microorganismi sono talvolta assai simili, ma possono anche essere, nel loro piccolo, tanto diverse quanto (poniamo) un crotalo e un cammello. Le attuali efficienti tecniche di sequenziamento del DNA lo mettono ben in evidenza.
Il secondo dato è che si tratta di popolazioni in continua fluttuazione. Pochi giorni di cambiamento di dieta, per esempio da carnivora a vegetariana, bastano a sovvertire la popolazione batterica intestinale. Infatti, trapianti ben mirati di microbioma si stanno rivelando molto efficaci nel trattamento di svariati tipi di affezioni, sia nel topo che negli esseri umani.
Terzo, e non meno importante dato, è la grandissima variabilità complessiva del microbioma, non solo tra individui diversi e ancor più tra popolazioni umane diverse, ma anche tra diversi siti corporei nello stesso individuo: le comunità di microbi sulla pelle, nell’intestino e nelle vie aeree sono profondamente diverse nei loro profili.
Ebbene, veniamo ora al lavoro appena pubblicato.
Già si sapeva che, negli esseri umani, disturbi dello sviluppo nervoso e comportamentale, tra i quali lo spettro diagnostico dell’autismo, si accompagnano spesso a disturbi gastrointestinali, talora anche gravi. Mazamanian e colleghi hanno voluto vederci più chiaro ed hanno studiato queste correlazioni nel topo. In sostanza, osservando le alterazioni del microbioma gastrointestinale nelle madri e introducendo poi nella prole un batterio presente nell’uomo (chiamato Bacteroides fragilis ) che modifica la permeabilità e l’ecologia intestinale, hanno ottenuto miglioramenti in preesistenti difetti del comportamento comunicativo, maggiore resistenza allo stress, minori sintomi di ansia e miglior successo in prove di motricità e sensibilità.
L’introduzione di questo microrganismo ha radicalmente alterato varie componenti del metabolismo, grazie alla capacità che questi batteri hanno di produrre sostanze necessarie all’organismo che li ospita.
Altri raffinati esperimenti, con topi sterili e con inserzioni mirate di tali microrganismi, hanno confermato l’impatto che il metabolismo intestinale ha sul cervello e sul comportamento.
La conclusione di questi studiosi è che esiste, almeno nel topo, un asse intestino-cervello che è mediato dal microbioma ed ha nette conseguenze su sindromi che riproducono lo spettro dei disturbi autistici.
Potenzialmente, appropriate terapie probiotiche attive sulla barriera gastro-intestinale potrebbero essere utili per trattare i disturbi dello sviluppo nervoso anche nell’uomo. Mazmanian e colleghi dicono che si tratta di un’idea «trasformazionale» (sic ), di possibile applicazione a un vasto spettro di disturbi neurologici e comportamentali che coinvolgono l’apparato immunitario e l’intestino, aggiungendo che le terapie basate sul microbioma sono efficaci e hanno il vantaggio di essere prive di rischi.
Come Mazmanian ama dire, «per fortuna, non siamo soli al mondo». I microbi, nostri storici nemici, potrebbero diventare i nostri amici migliori.