Chiara Bussi, Il Tempo 27/1/2014, 27 gennaio 2014
LA CRISI «BRUCIA» 500 MILIARDI
Ogni medaglia ha il suo rovescio. È salato il conto pagato dall’Europa tra il 2008 e il 2012, con quasi 300 miliardi di Pil andati in fumo e oltre 500 di consumi e investimenti mancati. Una vera débâcle, dove Italia e Spagna sono state costrette a portare il carico più pesante. Non tutti i Paesi, però, ne sono usciti con le ossa rotte: per Germania, Francia, Austria, Polonia, Belgio e Svezia il saldo è stato in entrambi i casi positivo, con 136 miliardi di ricchezza nazionale in più e 146 di consumi e investimenti aggiuntivi. L’eredità della crisi è stata dunque un’Europa spaccata a metà, dove continua a brillare la stella tedesca, anche se l’eccessivo peso dell’export rende Berlino un gigante sempre più vulnerabile. A svelare i nuovi risvolti del terribile quinquennio è uno studio realizzato da Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, dal titolo «Unbundling the Great European Recession». Il documento ripercorre, statistiche alla mano, i cinque anni nel pieno della tempesta "spacchettando" l’andamento di consumi, investimenti, disoccupazione, inflazione e bilancia commerciale e riannodando i loro fili sempre più interconnessi.
«La parola chiave di un’Europa unita – dice Campiglio – è la convergenza, fermo restando il principio di sussidiarietà. La crisi, invece, ha innescato il percorso contrario, ampliando il divario tra i Paesi. In questo contesto diventa difficile arrivare ad accordi politici, perché le priorità non sono le stesse».
La recessione e la crisi del debito hanno colpito in modo diverso il Pil europeo. Diciotto Paesi, che rappresentano il 56% della popolazione totale, hanno registrato un calo. La maglia nera spetta all’Italia: mentre per il 2014 Governo e Fmi vedono una timida luce in fondo al tunnel, nei cinque anni considerati l’economia della Penisola ha lasciato sul terreno ben 86,3 miliardi. Segue la Spagna, che ha "bruciato" 54,8 miliardi. E, a sorpresa, al terzo posto si piazza la Gran Bretagna, che si è vista volatilizzare 47,2 miliardi. La Grecia, in terapia intensiva sotto le cure di Ue e Fmi, è "solo" al quarto posto, seguita dall’Olanda, ex paladina del club del rigore. Nella lista dei perdenti compaiono poi gli altri Paesi destinatari di aiuti internazionali come l’Irlanda - che nel dicembre scorso ha concluso la terapia – e il Portogallo. Ma anche gli scandinavi, i baltici e alcuni Paesi dell’Est. Tutti insieme hanno lasciato sul terreno il 2,1% del Pil europeo. Dall’altra parte del fossato spiccano trionfanti 9 Paesi capeggiati dalla Germania, che insieme hanno guadagnato l’1% della ricchezza della Ue. Per Berlino i cinque anni di crisi hanno portato a un aumento del Pil di 63,8 miliardi. Segue, ma a distanza, la Polonia, che non ha mai registrato tassi di crescita negativi. La vera sorpresa è la Francia: nonostante il brutto colpo nel 2009 con un Pil in calo del 3,1%, dal 2008 al 2012 ha potuto contare su 9 miliardi in più.
L’altro motore della crescita, rappresentato dai consumi finali (pubblici e privati) e dagli investimenti, si è inceppato in 19 Paesi. Qui a soffrire di più è stata la Spagna, che ha perso 132 miliardi. L’Italia ha guadagnato il secondo posto con 111 miliardi in meno, seguita a distanza dalla Grecia. Anche qui nel plotone dei perdenti figurano Gran Bretagna e Olanda. Tutti uniti – fa notare Campiglio – dal filo rosso dell’austerity, che ha ridotto il reddito disponibile costringendo i governi a ridimensionare o tagliare i piani di spesa. Sul fronte opposto il grande vincitore è ancora una volta la Germania, che ha fatto decollare consumi e investimenti di 76 miliardi. Il podio replica la classifica precedente, con Polonia e Francia a seguire.
Il calo dei consumi attraverso il consolidamento di bilancio e la svalutazione interna - conclude lo studio - ha riequilibrato la bilancia commerciale e in parte raggiunto l’obiettivo di riduzione del deficit. Ma al caro prezzo di una profonda recessione, di un aumento vertiginoso della disoccupazione e di un crollo dei prezzi che ha riacceso i timori di deflazione. Oltre ai dati statistici emergono due pesanti interrogativi che non risparmiano nemmeno il fronte dei vincenti. L’anello debole sono ancora i Paesi del Sud Europa, che hanno ristretto la taglia delle loro economie. «Per invertire la rotta – spiega Campiglio - occorre adeguare la ricetta ai tempi, altrimenti si rischiano nuovi squilibri. L’Italia, in particolare, deve sferrare un duro colpo contro la disoccupazione e puntare su un’espansione della produzione a livello globale in nome dell’eccellenza». Nessuno è al sicuro e nemmeno nel campo dei vincitori c’è tempo per adagiarsi sugli allori. Il tallone d’Achille di Berlino, come ha già avvertito la Commissione Ue lo scorso novembre, è la quota dell’export sul Pil e l’eccessiva esposizione sui mercati extra-europei. «Una situazione pericolosa – conclude Campiglio – che la rende vulnerabile e in caso di forte rallentamento di queste economie, Cina in testa, potrebbe avere un effetto domino anche sui partner europei».