Sergio Bocconi, Corriere Economia 27/1/2014, 27 gennaio 2014
POSTE VITA SEMPRE PIÙ AGGRESSIVA ASSEDIO AI BIG CON LA PRIVATIZZAZIONE
A capo della terza compagnia di assicurazioni italiana, seconda nel ramo vita, c’è una donna: Maria Bianca Farina. Fatto che non rappresenta in sé una notizia, visto che la nomina ad amministratore delegato di Poste Vita risale al 2007. Ma che resta un’eccezione in un settore «maschile», almeno in sala di comando. Tanto più che si replica in Ania, la Confindustria delle polizze, dove lei è vicepresidente.
Profilo
Romana, appassionata di cinema (ma con gli amici sospende il giudizio su «La grande bellezza» perché considera la sua città molto più vitale di quella descritta), e di arte moderna e contemporanea (nel suo ufficio si nota una stampa di Giorgio De Chirico), non ama sentirsi definire la Signora delle Polizze, come qualche volta accade visto che guida una compagnia (anzi due perché è inoltre capo di Poste assicura, che opera — ancora limitatamente — nei rami danni) da oltre 10,5 miliardi di premi. Anche perché sostiene le «quote rosa» se non come necessità di forzare un po’ la situazione. E più volte ha riconosciuto: «Gli uomini mi hanno sempre più sostenuta che discriminata».
Quel che più conta, però, è che la signora Maria Bianca Farina, entrata a 22 anni in Ina-Assitalia «spinta dal papà e dal marito», potrà entro breve mettere a frutto un’esperienza che tanti «colleghi maschi» del settore non hanno avuto l’occasione di vivere nell’ambito della carriere professionale: partecipare in prima linea a una privatizzazione. Poste italiane, gruppo che ha ormai poco a che fare con lettere e pacchi e forte di un settore assicurativo che rappresenta oggi metà del fatturato, andrà sul mercato entro pochi mesi.
Un passaggio che per Farina non rappresenta una novità, anzi. In Ina, dove è entrata dopo un impiego precario in Aeronautica (traduceva i manuali sui primi F104), ha percorso i vari gradini, da capufficio a vicedirettore generale, e si è occupata in prima persona di tre dossier particolarmente delicati che hanno rappresentato i passaggi fondamentali dell’istituto: la trasformazione da ente pubblico in spa nel 1992; la privatizzazione (dal ‘94 al ‘96) e infine nel Duemila l’incorporazione nelle Generali di Trieste.
Studi
Laureata in Economia alla Sapienza, e con una specializzazione sul campo in finanza, quando Ina è stata collocata sul mercato Farina si è occupata dei prospetti informativi relativi all’offerta pubblica di vendita, della redazione dei bilanci e delle informative in linea con le regole Sec (passo necessario per la quotazione a Wall Street), dei rapporti con gli investitori istituzionali italiani e internazionali. In più ha curato alcuni aspetti tecnici come la costituzione del veicolo con il quale il Banco di Napoli è stato acquisito dal ministero del Tesoro, quindi privatizzato, e poi venduto al San Paolo-Imi.
Nuova partita
E ora che le privatizzazioni ripartono proprio con Poste, Maria Bianca Farina sarà chiamata a «giocare» la partita da protagonista. E non si tirerà indietro, visto che ha sempre detto che le piacciono le sfide. Come quando nel 2007, mentre pensava che forse avrebbe potuto anche tirare un po’ i remi in barca, le è arrivata l’offerta per Poste vita: significava il passaggio dalla prima e più grande compagnia d’Italia a una società costituita nel 1999 e che raccoglieva poco più di 5 miliardi di premi. Ci ha pensato per un weekend e ha risposto di sì. Con «prodotti semplici», nel senso (ha precisato in più occasioni) di facilmente comprensibili, l’ha portata in pochi anni al raddoppio della raccolta e a «tallonare» almeno in quanto a quota di mercato domestica nel ramo vita, le stesse Generali: 14,6% contro il 17,3% di Trieste. Certo, la crisi in un certo senso ha «aiutato» portando con sé un «bisogno di sicurezza» più che di rendimenti elevati, e la garanzia della proprietà pubblica può aver giocato un ruolo. Ma, sottolinea, lei che temeva il passaggio a un «contesto troppo burocratico» si è trovata a guidare una squadra con «una grande voglia di crescere» e che può contare fra l’altro in una specie di primato in termini di «quote rosa»: nella compagnia oltre il 50% sono donne e fra i manager di primo livello la percentuale è di un terzo. Anche questa è un’eccezione.