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 2014  gennaio 24 Venerdì calendario

I POLITICI? MI HANNO ROTTO, OFFRONO GLI STESSI SPUNTI DA 15 ANNI. E NON LI IMITO PIÙ


[Neri Marcorè]

Neri Marcorè ha 47 anni e da più di venti zigzaga tra performance pluripremiate (Il cuore altrove di Pupi Avati), trasmissioni televisive sperimentali di ultra nicchia (NeriPoppins) e fiction da ascolti in doppia cifra (Questo nostro amore, di cui sta girando la seconda serie). È attore in tv, in teatro e al cinema. È imitatore, doppiatore, presentatore e testimonial di spot tormentone della telefonia. La sua prima esibizione risale a quando aveva dodici anni e cantava i pezzi dei Bee Gees. Nel 1990 era già in tivù, tra i protagonisti della trasmissione Stasera mi butto, con monologhi di cinque minuti in cui parodiava in sequenza Gianni Minà, Carlo Verdone, Gianni Agnelli, Sven-Göran Eriksson e Dino Zoff. Concludeva con la telecronaca/cantilena ciclistica di Adriano De Zan: «Ecco che scorrono sul traguardo Bombini, Contini, pasta ceci e fagiolini…».
Marchigiano, figlio di un falegname e di una orlatrice («Mamma è anche neo campionessa regionale di bocce»), ha studiato da interprete. Appena diplomato un’azienda gli offrì un contratto stabile: «Rifiutai. Mi faceva paura l’idea di rinchiudermi in un ufficio». Ora Marcorè sta per sbarcare nei cinema con un cammeo nella commedia amara Smetto quando voglio. La trama: sei ricercatori genialoidi ultra precari costretti a fare i benzinai di notte o i lavapiatti nei ristoranti cinesi aspirano al meritato posto fisso nel mondo accademico, ma finiscono per usare i loro talenti in modo decisamente inusuale. Neri dice: «Una rinuncia al tempo indeterminato come quella che feci io, oggi probabilmente sarebbe impensabile».
Sono cambiate le prospettive.
«Tutto è legato a quanto futuro si vede davanti a sé. Io rinunciai a quel contratto anche perché vedevo un altro futuro possibile. Anzi tanti altri futuri possibili».
In Italia non è più così?
«Oggi non si può dare nulla per scontato. Si arriva al domani. Ma poi? Siamo affetti da brevimiranza».
Brevi…?
«… miranza. Assenza di progettualità a lungo termine».
Mi pare di capire che non nutri grandi speranze.
«Sono un ottimista, però è un po’ troppo tempo che penso: domani cambierà tutto in meglio».
L’ultima volta che ti è successo?
«Alle elezioni. Dicevo a me stesso: dai che l’incubo è finito. E invece siamo piombati in un incubo ancora peggiore: l’ingrippamento totale del sistema. Tre blocchi più o meno equivalenti e i veti che contano più delle proposte. Siamo fermi. Immobili. Aspetto una ripartenza. Un punto, un momento, da cui ricominciare».
Nel 2007 hai appoggiato Veltroni. Ora speri in Renzi?
«Non credo nell’uomo della provvidenza. Ma vorrei che a Renzi venisse data la possibilità di provarci. Abbiamo dato venti anni di possibilità a Berlusconi e non possiamo darne una al sindaco di Firenze?».
Senza una ripartenza della politica gli italiani non ce la fanno da soli?
«Facendo Per un pugno di libri ho incontrato centinaia di ragazzi ultra vitali e talentuosi. Beh, la politica troppo spesso in Italia è una diga, piazzata di traverso tra i progetti dei cittadini e la loro realizzazione».
Perché nel 2011 hai interrotto la decennale esperienza con Per un pugno di libri, trasmissione parapedagogica di avvicinamento ai libri sui Raitre?
«Se posso cerco di prevenire la fase discendente delle parabole. Stacco prima. Anche per lasciare e conservare un buon ricordo invece del senso di routine o di attaccamento alla poltrona».
L’anno scorso hai smesso pure di fare imitazioni.
«In quel caso ha funzionato il teorema della frantumazione dello scroto».
I politici ti hanno rotto…?
«Qualcosa su cui ironizzare si trova sempre. La politica continua a regalare spunti. Ma da quindici anni i personaggi sono quasi tutti gli stessi e i dibattiti sono sterili. Uno sketch di 10 anni fa è ancora attuale».
Nella trasmissione l’Ottavo nano imitavi Gasparri, Casini, Fassino…
«Appunto, parliamo del 2001. Sono ancora tutti lì. E anche se c’è stato un po’ di ricambio nel personale politico… non sono cambiati i temi, i canoni della discussione, gli argomenti. Allora ho pensato che era necessario uscire da quella stanza, c’era aria stantia».
È vero che l’unico imitato che non ha gradito i tuoi sfottò è stato Ligabue?
«Non l’ha presa benissimo, no».
Nel 2013 sei andato in onda su Raitre con NeriPoppins. Non un successone. Lo rifarai?
«No, ma questo al di là dei risultati di share non esaltanti. È stato uno sforzo incredibile perché ho voluto seguirne ogni aspetto, dalla scrittura al montaggio, non per sfiducia degli ottimi compagni di viaggio, ma per passione e divertimento».
Forse infilandoci qualche imitazione avresti potuto fare più ascolti.
«Mi è piaciuta molto una recensione di Walter Siti. Scriveva che di NeriPoppins aveva apprezzato soprattutto il tentativo di spostare i canoni classici della comicità. E l’assenza di imitazioni. Ho cercato di sperimentare e ringrazio il direttore di Raitre Andrea Vianello per avermi fornito l’occasione. Ormai in Rai si vede sperimentare molto poco».
Perché secondo te?
«Per la filosofia del mordi e fuggi. Si va in onda con prodotti sicuri, di cui si riscuotono i risultati subito. E che non possano fare troppi danni. Non si avviano più progetti a lungo termine che facciano maturare i prodotti televisivi. Nessuno osa e si vivacchia. E spesso si danno possibilità solo ai già noti».
Di chi parli?
«Di autori che girano film dimenticabili o sfornano trasmissioni inutili, a cui vengono affidati sempre nuovi progetti».
Fuori i nomi.
«Sono sicuro che adesso a ognuno viene in mente qualcuno. Forse persino loro stessi si verranno in mente».
A cena col nemico?
«Mi farei volentieri una chiacchierata con Gianfranco Fini».
Hai un clan di amici?
«Ne ho molti. L’amico più antico è Fabrizio, impiegato. Ci conosciamo dalla prima elementare».
Qual è la scelta che ti ha cambiato la vita?
«Lasciare la tv nel 1992. Venivo da due anni di dirette la domenica pomeriggio su Rai2. Mi proposero di andare avanti. Decisi che era meglio studiare: teatro e doppiaggio. Ho investito su di me, faticando e resistendo alle chimere della visibilità e del guadagno immediato».
Che cosa guardi in tv?
«Coi miei figli film, documentari e qualche partita di calcio. Da solo anche dibattiti politici, ma sempre meno».
Che cosa eviti di guardare?
«Le chiacchiere inutili, la gente che si insulta, i comici giustizieri, l’inconsistenza dei reality. La tv verità non è mai vera. Preferisco quella molto pensata e scritta, come la facevamo con Serena Dandini e i fratelli Guzzanti».
Il film preferito?
«Una vita difficile di Dino Risi».
Quello in cui avresti voluto recitare?
«C’era una volta in America di Sergio Leone».
Sei un fan sfegatato di Juliette Binoche. Un film al suo fianco o il ruolo di ministro della Cultura con Renzi premier?
«Tutta la vita il film con Juliette. Non accetterei mai un incarico politico».
Una candidatura però l’hai accettata.
«Quando ero molto giovane il sindaco di Porto Sant’Elpidio mi chiese di presentarmi alle Comunali. Fortunatamente racimolai solo trenta preferenze. Se rinascendo dovessi scegliere una carriera alternativa a quella dell’attore, farei il musicista».
Hai una collezione di chitarre. Il tuo chitarrista di culto?
«David Gilmour, John Mayer, Tommy Emmanuel... Continuo?».
La canzone preferita?
«Cardiologia di Francesco De Gregori e C’è tempo di Ivano Fossati».
Il libro?
«L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez».
Perché non sei su Twitter?
«Non ne sento l’esigenza».
Sai quanto costa un pacco di pasta?
«Circa un euro».
I confini della Libia?
«Egitto, Tunisia…».
Quale parola aggiungeresti alla Costituzione?
«La nostra Costituzione contiene già tutti i principi fondamentali. Andrebbero solo applicati. Sono uno di quei pochi che la lascerebbe così com’è».