Roberto Galullo, Il Sole 24 Ore 24/1/2014, 24 gennaio 2014
IL PRIMATO ITALIANO DELL’ECONOMIA «OMBRA»
Non solo calcio: anche nella poco nobile partita dell’economia sommersa l’Italia batte la Germania. Questa volta 1 a 0.
Lavoro nero, evasione fiscale e contributiva nel 2013 hanno superato nel Paese governato da Angela Merkel il valore di 351 miliardi, pari al 13% del prodotto interno lordo. In Italia il valore dell’economia sommersa è leggermente inferiore (333 miliardi) ma incide sul Pil in una quota oscillante tra il 17% e il 21%: ecco perché gli evasori nostrani escono vittoriosi dal confronto con quelli teutonici, quando scendono sul poco nobile campo dell’economia sommersa.
In Europa
Il giorno in cui la Guardia di finanza rende noto il rapporto 2013, con il suo carico di 51,9 miliardi sottratti a tassazione (si vedano gli altri servizi in questa pagina) è paradossale ricorrere al detto "mal comune mezzo gaudio" ma proprio questo viene in mente quando si scopre, inoltre, che i 2/3 dell’economia sommersa in Europa – che vale 2,15 trilioni di euro, pari al 18,5% del Pil comunitario – si concentrano, oltre che in Italia e Germania, in Francia, Spagna e Regno Unito. Negli ultimi posti di questa classifica, si trovano Svezia (59 miliardi, che pesano per il 14% del Pil) e Belgio (63 miliardi e 16%). Una menzione a parte meritano Polonia e Turchia. Nel primo Paese il valore dell’economia sommersa è di 95 miliardi che equivalgono al 24% del Pil. Peggio fa solo la Turchia dove la somma dell’economia sommersa è di 177 miliardi, pari al 27% del Pil (in pratica quasi un terzo).
Queste stime – effettuate rielaborando lo studio «The shadow economy in Europe 2013» a cura di Visa, At Kearney, Friedrich Schneider – sono state presentate da Srm, il Centro studi e ricerche per il Mezzogiorno collegato a Intesa Sanpaolo, nel corso di un convegno presso la Scuola superiore di Polizia di Roma.
Il peso cresce
La base europea è servita al Centro studi – visto anche il tema del convegno, incentrato sull’ampiezza e le dinamiche dell’economia sommersa e illegale – per presentare una serie di simulazioni, analisi e studi sull’economia non osservata (Noe) in Italia, data dalla somma di quella sommersa e quella illegale (quest’ultima composta soprattutto di usura, riciclaggio, contraffazione e contrabbando). Ebbene, la somma di queste due componenti vale ormai il 33,6% del Pil nazionale.
Nel distinguere, Massimo Deandreis, direttore generale di Srm, ha specificato che l’economia sommersa pesa oltre il 21% e quella illegale il 12,6% e nella stima ha ricordato un dato tipicamente italiano: il tasso di irregolarità nel lavoro è pari al 12,2%, che corrisponde a circa 2,8 milioni di occupati. Al contrario, la componente di economia illegale che non genera scambi produttivi ma solo scambi finanziari non è stata compresa nelle statistiche del Noe, poiché non ha un impatto diretto sul Pil.
In periodo di crisi l’"economia ombra" cresce ancora di più, tanto che Srm ha calcolato – rielaborando i dati 2013 di Bankitalia e Visa – che dal 2008 al 2013 è cresciuta del 6,5 per cento. Con questi numeri non c’è da meravigliarsi se il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha posto l’accento – unico caso tra i cosiddetti Paesi occidentali avanzati – sul peso di queste due voci nell’ambito della corruzione che sta strangolando l’Italia.
Nel Mezzogiorno
Se dall’analisi nazionale si passa a quella regionale, il discorso si fa più complesso perché nel Sud il valore dell’economia non osservata supera il 42% (30% economia sommersa e 12% economia illegale), che rappresenta il 40% del Pil territoriale. Qui il tasso di irregolarità del lavoro è pari al 20,2% (quasi il doppio della media italiana) e corrisponde ad oltre 1,2 milioni di occupati (43% del dato nazionale). Vale la pena sottolineare che quel "numeretto" – 30% di economia sommersa nel Sud – è esattamente il doppio della media europea.
Il Centro Rsm termina la sua analisi con un ragionamento molto semplice: ipotizzando un riallineamento del sistema italiano alla media europea, l’economia legale ne avrebbe un beneficio di circa 50 miliardi di cui 40 provenienti da quella sommersa e 10 da quella illegale. Analogamente, la creazione di un sistema fiscale più efficiente attraverso politiche di controllo e di repressione delle illegalità, consentirebbe di recuperare 100 miliardi di reddito imponibile, che darebbero un gettito tributario di 40 miliardi (pari al 3,4% del Pil), una cifra esattamente pari al deficit complessivo registrato dalla pubblica amministrazione nel 2012.
Un riallineamento, invece, del sistema meridionale alla sola media nazionale potrebbe far recuperare all’economia locale circa 15 miliardi di euro (il 4% del Pil territoriale).
Campania dolente
Certo è che al Sud la situazione è destinata a radicalizzarsi, come testimonia l’analisi, incentrata sulla Campania, di Maurizio Vallone, ex capo centro della Dia (Direzione investigativa antimafia) di Napoli e ora direttore del Servizio controllo del territorio della Polizia. «Il ricorso ai prestiti usurai, da sempre largamente diffuso in Campania, ma oggi ancora più evidente a causa della crisi economica e della difficoltà di ricorrere al credito bancario – ha spiegato Vallone – mostra come un intero settore della borghesia commerciale napoletana, e sempre più spesso anche delle famiglie di lavoratori dipendenti e professionisti, alimenti un circuito criminale con un fiume di denaro che in parte è destinato a finanziare settori della criminalità organizzata ma, in larga parte, costituisce un vero e proprio settore parabancario in mano ad alcune decine di soggetti che praticano tale attività in maniera imprenditoriale e che, poi, investono gli ingenti proventi in attività commerciali destinate ad inquinare il tessuto economico di interi settori dell’imprenditoria, creando una disomogeneità nel circuito inquinato tale da imporre il proprio prodotto sul mercato ed escludere, in breve tempo, gli imprenditori estranei al sistema».
Su la testa
A commentare le stime, crude come la crisi dalla quale l’Italia cerca di uscire, c’era Paolo Scudieri, presidente di Adler Group, leader mondiale nella progettazione, sviluppo e industrializzazione di componenti e sistemi per l’industria del trasporto. Le sue ramificazioni sono nel mondo ma la sua testa è ad Ottaviano (Napoli). Scudieri, ha messo sul tavolo un ragionamento semplice ma dirompente. «L’errore è credere, soprattutto da parte delle imprese di piccole e medie dimensioni – ha dichiarato – che rimanere sottotraccia porti enormi vantaggi. Non è così e il compito di chi fa impresa è anche quello di trasferire l’eticità della propria missione anche in quelle parti del pianeta dove dilagano illegalità e criminalità».
Detto in altre parole: il made in Italy deve avere (e se vuole ha) un’arma in più. L’arma della legalità, da imporre in casa ed esportare nel mondo.
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