Giorgio Ruffolo; Stefano Sylos Labini, la Repubblica 24/1/2014, 24 gennaio 2014
LIBERIAMOCI DAL PIL
Un terremoto fa aumentare il Pil perché crea nuove attività e occupazione: questo paradosso sintetizza meglio di qualsiasi discorso l’assurdità dell’indicatore che condiziona tutte le decisioni di politica economica. Il Prodotto Interno Lordo rappresenta la misura delle transazioni monetarie e la sua variazione indica se un’economia si sta arricchendo oppure no. Ma se venisse lanciato un piano di trasporti volto ad incentivare l’uso della bicicletta e dei mezzi pubblici al posto dei veicoli privati, l’effetto contabile sarebbe quello di una drastica diminuzione dei consumi di energia e quindi del Pil e del gettito fiscale. Tutto ciò farebbe peggiorare i conti pubblici e il rapporto tra debito e reddito spingendo il governo a varare delle pesanti manovre per contenere la spesa ed innalzare le tasse. Il miglioramento della qualità della vita e la salvaguardia dell’ambiente che potrebbero derivare da una riduzione del trasporto privato avrebbero dunque effetti negativi sulla politica economica.
Se prendiamo il caso italiano, possiamo osservare che l’attenzione è concentrata sulla crescita del prodotto interno – automobili, case, beni di consumo – mentre la qualità delle infrastrutture e del capitale come il territorio, l’acqua, l’aria, il patrimonio artistico e l’istruzione, è completamente ignorata. Il settore privato non ha alcun incentivo ad investire per valorizzare lo stock di capitale, mentre lo Stato non ha i soldi per farlo. Se, invece, la qualità del capitale fosse calcolata nel Prodotto Interno Lordo, il risultato sarebbe ben diverso perché in tal modo ne risulterebbe accresciuta la ricchezza nazionale riducendo il peso del debito. Il nostro Paese diventerebbe migliore sia sotto il profilo della qualità della vita che per l’affidabilità di fronte ai famigerati mercati finanziari.
Le critiche al Pil sono ormai contenute in una letteratura sterminata eppure non si è ancora riusciti a fare il passo decisivo: abbandonare il Pil per utilizzare altri indicatori in grado di orientare in modo più intelligente le decisioni di politica economica. Siamo convinti che bisognerebbe seguire un criterio diverso: fissare gli obiettivi su cui misurare l’efficacia delle politiche economiche. Ciò significa che un presunto criterio di misurazione oggettiva andrebbe sostituito con un approccio squisitamente normativo e politico: la contabilità dovrebbe avere il compito di misurare gli impegni e gli obiettivi stabiliti in sede politica. Si tratta dunque di individuare una serie di indicatori che siano in grado di fornire informazioni sulla direzione in cui il sistema intende procedere e sul futuro che vogliamo costruire.
Siamo ben consapevoli che il principale ostacolo ad una tale impostazione è rappresentato dal problema dei confronti: come adottare degli standard omogenei e quindi delle politiche coordinate tra i vari Paesi? L’indicatore che in questa fase di crisi dovrebbe essere assunto come stella polare per misurare l’efficacia delle politiche economiche è il tasso di disoccupazione. L’obiettivo fondamentale della politica economica dunque dovrebbe essere quello di creare occupazione equamente retribuita per tutta la forza lavoro attiva sul territorio europeo. Il modo per creare nuova occupazione dipende in primo luogo dall’espansione della domanda sia pubblica che privata. A sua volta, l’espansione della domanda ha bisogno di risorse finanziarie per aumentare la spesa e l’occupazione nel settore pubblico, per diminuire le tasse sul lavoro e sulle imprese e per garantire finanziamenti adeguati agli investimenti delle imprese.
Quando l’obiettivo della piena occupazione sarà raggiunto, allora la politica economica potrà individuare altri traguardi e altre sfide utilizzando nuovi indicatori.