Paolo Colonnello, La Stampa 24/1/2014, 24 gennaio 2014
PATRIMONI ALL’ESTERO, MULTE RIDOTTE PER CHI SI AUTODENUNCIA ALL’ERARIO
Si muovono nella massima riservatezza, conoscono le lingue, i sistemi informatici più avanzati, la giurisprudenza e i bilanci, garantiscono anonimato ed evitano imbarazzi offrendo sconti congrui ma privi di discrezionalità. In cambio vogliono lealtà assoluta e pagamento sull’unghia fino all’ultimo centesimo di ogni euro evaso e portato oltre frontiera negli ultimi 10 anni. Il bello è che ottengono tutto ciò «spontaneamente», come ha dimostrato l’ultima vicenda dei Prada che hanno riportato in Italia il loro patrimonio estero, pagando ciò che dovevano al fisco: ovvero 420 milioni di euro interamente incassati dallo Stato.
I “cacciatori” di patrimoni all’estero sono una cinquantina di uomini voluti dall’Erario sparsi in sette sedi da un capo all’altro della penisola, coordinati da Antonio Martino, già colonnello della GdF a Milano sul fronte delle inchieste finanziarie più scottanti (da Mani Pulite a Parmalat) e rappresentano l’ultima frontiera della lotta all’evasione messa in campo dallo Stato: incubo dei ricchi evasori all’estero ma anche una certezza visto che finora, con un programma sperimentale entrato in vigore nello scorso settembre, hanno incamerato quasi 700 milioni. Un successo senza precedenti, soprattutto se si pensa che il risultato è stato ottenuto in poco più di sei mesi e che, per legge, questi soldi andranno ad abbattere il carico fiscale per l’intera collettività. Briciole, al momento. Ma, calcola la Banca d’Italia, i capitali all’estero si attestano tra i 150 e i 180 miliardi di euro. Oggi il consiglio dei ministri approverà un decreto di legge allo studio da tempo, quello sulal la “volountary disclosure”, una sorta di autodenuncia volontaria che garantirà il rientro dei capitali con uno sconto sulle sanzioni. Poi arriverà il reato di autoriciclaggio. E il recupero aumenterà in maniera esponenziale.
L’Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali, questo il nome per esteso, è una creatura nata e cresciuta tra gli uffici della procura di Milano e l’erario di Roma e si muove su due binari forgiati in una commissione di cui fanno parte uomini di Bankitalia, della Gdf e del Fisco, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco, da cui prenderà il nome la nuova norma in materia di evasione fiscale che prevederà, nel decreto legge in arrivo dal ministero dell’Economia, una finestra temporale fino al settembre 2016 per la regolarizzazione volontaria. Si tratta di due leggi già sperimentate con successo all’estero, due facce della stessa medaglia: con la prima il contribuente ha la possibilità di aderire volontariamente all’accertamento fiscale sui propri capitali all’estero, usufruendo del 50 per cento di sconto (sanzioni comprese), pagando tutto in un’unica soluzione ed evitando il procedimento penale. Con alcune, fondamentali, distinzioni: se il capitale proviene da uno Stato nelle «black list», ovvero privo di accordi e di scambio d’informazioni con l’Italia, viene considerato completamente evaso e lo sconto si ferma a un minimo ridotto di un quarto; se arriva invece da un paese nelle «white list», le percentuali di tassazione diminuiscono della metà. Inoltre, se alla base della creazione del capitale c’è una frode fiscale (cioè l’uso di fatture false o società fantasma) con la “voluntary” le pene vengono ridotte fino alla metà e la Procura non potrà sequestrare le somme a garanzia dell’imposta evasa. Nulla a che vedere con lo scudo fiscale, visto che in questo caso il presupposto resta il pagamento integrale delle tasse evase. Con la seconda, l’autoriciclaggio, se l’evasore intende traccheggiare, rischia, oltre a tutto il resto, una pena che va dai 4 agli 8 anni di reclusione perché i soldi dell’evasione trasferiti all’estero vengono considerati riciclaggio. Infine - ultima ma non secondaria regola - si potrà beneficiare del trattamento premiale solo se il contribuente non è stato sottoposto ad alcun tipo di accertamento fiscale.
Una tenaglia antievasione resa possibile in realtà dall’allineamento dei paesi ex paradisi fiscali, come Singapore o la Svizzera, dove le leggi prevedono ormai pesanti sanzioni per quei banchieri, fiduciari, commercialisti che accettano di trattare capitali non in regola con il fisco dei paesi di provenienza. E che diventeranno ancora più rigidi, nel caso della Confederazione Elvetica, con gli accordi che l’Italia, buona ultima, dovrebbe firmare a fine mese a Berna.