Francesca Pierantozzi, Macro, il Messaggero 24/1/2014, 24 gennaio 2014
LE GOFF: «ADDIO RINASCIMENTO»
L’INTERVISTA
PARIGI
È modesto come sempre Jacques Le Goff. A 90 anni, il grande storico, il medievista allievo di Fernand Braudel, scrive un libretto con titolo didascalico e la copertina spoglia: «Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches?» ovvero Serve davvero tagliare la storia e pezzi? Ci vuole poco ad accorgersi che il libretto (pubblicato dalle edizioni del Seuil) non è soltanto la proposta di una nuova periodizzazione storica che introduce un Lungo Medio Evo dal sesto al diciassettesimo secolo, eliminando il Rinascimento come epoca a sé. Con la sua seria semplicità, Le Goff fa una dichiarazione d’amore al mestiere di storico, dice all’umanità di non avere paura, anche se viviamo sull’orlo di una faglia, nel pieno di un passaggio epocale: «Sempre, quando si passa da un periodo a un altro, e questo passaggio è lungo, lunghissimo, lo slancio verso il futuro si combina con l’angoscia di abbandonare il passato, ma entreremo nel nuovo mondo portandoci dietro qualcosa del vecchio. E quello che dobbiamo portarci dietro lo stiamo scegliendo adesso». Le Goff parla con lentezza non perché l’età lo rallenti: prende il tempo di scegliere e scandire le parole con cura. Il tempo, d’altra parte, è abituato a dominarlo: «È necessario per vivere, all’uomo e all’umanità».
Lei sostiene che Cristoforo Colombo e William Shakespeare sono due uomini del Medio Evo. Li retrocede?
«Sono entrambi pienamente del Medioevo. Cristoforo Colombo ha scritto dei suoi viaggi e ha ben spiegato quello che cercava. Attraverso i mari non cerca il mondo e l’avventura, cerca Dio. Gli eroi del teatro di Shakespeare sono i nobili, i borghesi, gli ebrei che vivevano nel Medioevo e che Shakespeare vedeva intorno a lui».
Umanesimo e Rinascimento non segnano la nascita un uomo nuovo, moderno?
«Come dice il nome, il Medio Evo è stato sempre considerato come un periodo di passaggio, di transito tra l’Antichità e la Modernità, ma passaggio significa soprattutto sviluppo e progresso. Nel Medio Evo progressi straordinari ci sono stati in tutti i campi, con i mulini a vento e ad acqua, l’aratro di ferro, la rotazione delle culture da biennale a triennale. Ma non c’è nessuna rottura fondamentale tra Medioevo e Rinascimento, tra il 14esimo e il 17esimo secolo. Ci sono cambiamenti che non modificano in modo sostanziale la natura della vita dell’umanità. L’economia resta rurale, ciclicamente caratterizzata da carestie. Nonostante la rottura - importante - tra cristianesimo tradizionale e riformato, è sempre il cristianesimo a determinare una visione omogenea e religiosa di un’eternità definita da Dio. Perdura la divisione tra i cosiddetti tre stati della società, i nobili, i borghesi e i contadini. Politicamente poi il sistema rimane monarchico».
Questo libro è il punto d’arrivo di una vita di studi sul Medio Evo?
«È un risultato, certo, ma che non può essere definitivo. Perché la storia si deve rimettere costantemente in causa da sola, deve dare un nuovo aspetto al passato per farne un trampolino per il futuro. Studiare il Medioevo, definire un lungo Medioevo, è per me un modo per capire cosa sia il progresso, per capire quali siano, nel cammino dell’umanità i cambiamenti che introducono un nuovo periodo».
È quello che viviamo oggi?
«Il passaggio da un periodo a un altro è innanzitutto molto lungo, e combina la paura di lasciare il passato con un’aspirazione irresistibile verso il presente e il futuro. Sono convinto che stiamo vivendo questo grande cambiamento epocale. Il computer, con la tecnologia e l’economia digitale, è lo strumento essenziale della trasformazione. Stiamo abbandonando il passato, siamo alla fine di un’epoca che dura dalla rivoluzione francese, per andare verso un futuro dominato dal computer. Proviamo un misto di entusiasmo, desiderio e angoscia, sentimenti che accompagnano inevitabilmente la mutazione da un periodo storico a un altro. È evidente come oggi cerchiamo quasi istintivamente di aggrapparci all’eredità del passato che più è minacciata dalla trasformazione: il libro, lo scritto. E così facendo, aiutiamo il libro a sviluppare una forma di resistenza, perché sono convinto che il nuovo periodo conserverà alcune conquiste del passato, perché la storia è progresso ma anche eredità. E noi stiamo proprio lavorando per costituire l’eredità che ci porteremo dietro nel futuro che si apre davanti a noi».
C’è un senso della storia? Andiamo in una direzione?
«No. C’è movimento. Un movimento che va avanti portandosi dietro alcune eredità. Le possiamo studiare. Ma nessuno può dire cosa ci riservi il futuro».
Francesca Pierantozzi