Enrico Deaglio, Il Venerdì 24/1/2014, 24 gennaio 2014
SPARARLE GROSSE. L’ULTIMO VIZIO ITALIANO È IL TORPILOQUIO
C’è stato un picco, nella settimana scorsa, nel dibattito sul turpiloquio in Italia. Le intercettazioni (abusivissime) del ministro Nunzia Di Girolamo (giustamente amareggiata) e lo sfogo post adrenalinico da Oscar di Toni Servillo – il nostro nuovo Marcello Mastroianni, fortunato perché visse in epoca precellulare – sono indicate come esempi terribili del nostro declino culturale, politico, civile.
Storia lunga, quella del cazzo e del culo e dei loro rapporti con la lingua ufficiale italiana. Gli annali ne sono pieni. Per rimanere nel dopoguerra, gli storici sostengono che la parola «cazzo» fu pronunciata per la prima volta da Cesare Zavattini alla radio nel 1970, mentre nello stesso periodo Pasolini scrisse, facendo scandalo, «L’Italia è un casino» sulla prima pagina del Corriere della Sera.
Cazzo, dagli anni Ottanta (vedi Grazia Cherchi e Sebastiano Vassalli) è diventato parte integrante del linguaggio italiano, con le più diverse connotazioni. Volgare, ma anche democratico, liberatorio e spesso contradditorio. E che cazzo. Testa di cazzo. Ho i cazzi miei. È diminutivo, esclamativo, rafforzativo, addirittura è diventato istituzionale e patriottico, come nel drammatico «Salga a bordo, cazzo!» rivolto dallo stentoreo capitano De Falco all’imbelle capitano Schettino (ne hanno fatto pure le magliette). Suggestiva anche la diffusione del termine siciliano «minchia», femminile che sta per cazzo, anche fuori dalla regione di origine. La lingua siciliana – che Freud ci aiuti!, e presto! – pone un vero problema chiamando il pene al femminile, «la minchia» e di converso la vagina al maschile, «lo sticchio». Che stia tutta qui, in questo equivoco linguistico, l’origine della mafia e della conseguente trattativa tra i Ros dei carabinieri e don Vito Ciamcimino? .
Freud dovebbe venire in aiuto anche a proposito del vaffa. Perché qui la cosa diventa più seria. Lo sfoggio verbale del «vaffanculo», un tempo invettiva sconsolata contro il fato maligno, si è effettivamente trasformato in qualcosa di diverso nel linguaggio politico. Le origini (forse) stanno nel «Me ne frego» dei fascisti, ma il vaffanculo odierno è sicuramente torvo e losco. Lo usò, e fu la ragione del suo successo, Umberto Bossi, e lo ripete ancora, patetico ma pur sempre infame, ora che è vecchio. C’era, in quel «la lega ha il manico» tutta la filosofia della Padania, il trionfo del suo movimento politico sarebbe stato sodomizzare Roma. Lo ha usato ufficialmente Beppe Grillo, con i suo Vaffa Days. Forse non abbiamo fatto abbastanza attenzione al linguaggio, ma il M5S è il primo movimento politico in Europa, che io conosca, che si riconosce in un leader che grida ossessivamente solo vaffanculo, che invoca morte, evoca l’aggressione sessuale, l’omofobia, il macismo. Purtroppo, il suo turpiloquio è alla base dei quasi nove milioni di voti. Forse la stiamo facendo troppo tragica, ma il fascismo nacque come linguaggio. Contro il vaffa, difficile opporsi. Ma un’idea ci sarebbe: mandarli davvero, con viaggio pagato, come proponeva quel vecchio saggio di nome Alberto Sordi, nel ridente paese di Affanculo.