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 2014  gennaio 24 Venerdì calendario

BASTA BOT E MATTONI, PER USCIRE DALLA CRISI BISOGNA INVESTIRE SU ARTE E ISTRUZIONE


Non sarà una traversata su un mare liscio quella che ci aspetta. Non credete a chi spaccia altri bollettini per naviganti. Ma non siamo nemmeno condannati: molto dipende dalle scelte che faremo. Sette anni di vacche sobrie è la terza via tra vacche grasse e magre scelta da Marco Magnani nel suo libro dal sottotitolo Come sarà l’Italia del 2020. Sfide e opportunità di crescita per sopravvivere alla crisi (Utet, pp. 206, euro 14). L’autore quarantenne si è laureato in Economia a Roma, ha preso un master alla Columbia, è stato banchiere d’affari per JP Morgan a New York e a Mediobanca a Milano. Assomiglia a Mario Draghi e potrebbe ripercorrerne le orme. Nel frattempo fa parte di prestigiosi think tank internazionali ed è stato invitato dal rettore di Harvard Larry Summers, ministro dell’Economia sotto Clinton (vari meriti e una colpa enorme: la liberalizzazione dei derivati) per guidare Italy 2020, un progetto di ricerca alla Kennedy School. Di cui il libro italiano è la versione sintetica.
L’umore prevalente in Italia sembra essere la mancanza di fiducia nel futuro. Come si riconquista?
«Bisogna riscoprire e valorizzare i tradizionali punti di forza: mobilità sociale, sviluppo locale, cultura d’impresa e creatività imprenditoriale, innovazione e ricerca come motore di crescita, cultura come fonte di sviluppo. Infine la diversità, che è una ricchezza anche dal punto di vista economico. È importante trarre insegnamento da esperienze di successo: il libro ne illustra molte, in Italia e all’estero».
Tra le strategie di sviluppo lei parla di mobilità sociale basata sul merito, che deve partire dalle scuole. Pensa al modello americano (dove però solo i ricchi possono evitare le peggiori public school), a quello cinese (molto severo sin dai primi anni) o ad altro?
«Soprattutto ai modelli inglese e tedesco, per migliorare il nostro (comunque già buono). Senza maggiore mobilità sociale, la scuola italiana non sarà equa. I percorsi di istruzione secondaria sono molto diversi e condizionano le scelte successive: solo il 10 per cento dei figli di non diplomati si laurea. In Francia sono il 35 per cento, nel Regno Unito il 40. Molte professioni sono quasi “ereditarie”: il 44 per cento degli architetti è figlio di architetti; percentuali simili ricorrono tra avvocati, farmacisti, medici e ingegneri. L’investimento in istruzione deve avere un ritorno visibile. Questo è fondamentale: alle famiglie deve essere chiaro che l’educazione dei figli rende più dei titoli di Stato o degli investimenti immobiliari!».
Lei dedica un capitolo all’«innovazione low cost». Cosa intende?
«L’innovazione è strettamente legata agli investimenti in ricerca. L’Italia, con l’1,25 per cento del Pil alla ricerca, è indietro rispetto ad altri paesi (2,25 Francia; 2,84 in Germania; 3,78 in Finlandia). Ma oggi è difficile trovare finanziamenti, sia pubblici che privati. Ecco allora l’“innovazione low cost”, alternativa di crescita economica soprattutto nei settori tradizionali. Penso all’innovazione non solo tecnologica, ma sul modo di produrre, la logistica, l’organizzazione, la governance: alle medie imprese farebbe bene una maggiore distinzione di ruoli tra management e proprietà; per molte aziende famigliari il passaggio generazionale è fatale; il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione, sul modello tedesco, potrebbe ridurre le tensioni sindacali».
Il capitolo forse più innovativo è quello che consiglia di investire in arte e cultura, che originalmente definisce una sorta di shale gas nostrano, cioè una risorsa che potrebbe cambiare il corso dell’economia. Ci faccia qualche esempio di come estrarne valore?
«Il turismo è certamente una via, non l’unica. Pensiamo ai nuovi o riscoperti mestieri, alle loro specializzazioni nei settori delle opere d’arte e della tutela ambientale: dal classico restauratore, ai curatori di mostre, assicuratori e spedizionieri, legali, fiscalisti. Professioni di nicchia, ma ad alto valore aggiunto: tutte insieme, peserebbero sull’economia. Attorno a ogni mestiere, un centro di eccellenza con relativa scuola di formazione. Guardiamo alla tradizione musicale e teatrale di Milano e alla possibile creazione di una scuola internazionale per manager di teatri lirici e di prosa. E pensiamo alle grandi opportunità economiche che offrono le tecnologie digitali: senza una tempestiva gestione e protezione anche sotto questo profilo, i beni culturali subiranno la pirateria e le contraffazioni, proprio come i prodotti agroalimentari e i grandi marchi. Se poi, oltre al patrimonio artistico e paesaggistico, includiamo nella cultura il settore creativo, dei contenuti (cinema, tv, radio, editoria) e dei manufatti (moda, design, gusto), le opportunità di crescita economica si moltiplicano.
A proposito di turismo: pur essendo il Paese col maggior patrimonio Unesco (49 siti protetti), l’Italia non è molto in alto nella classifica delle destinazioni turistiche.
«Con la metà del patrimonio artistico e culturale mondiale, l’Italia ha la metà dei turisti che visitano la Francia (83 milioni l’anno) e dieci milioni in meno della Spagna (55); i visitatori dei musei statali italiani (36 milioni l’anno) sono pari a quelli dei musei della sola Londra; tra i 20 musei più visitati al mondo nessuno è italiano (Musei Vaticani esclusi): gli Uffizi sono al 21° posto. C’è anche un problema di qualità: la spesa pro capite del turista in Italia è inferiore a 100 euro al giorno, quasi interamente esaurita da vitto e alloggio. Se la cultura è lo shale gas, dobbiamo estrarla in modo più efficiente. Il giacimento turistico deve essere l’industria chiave del Paese, sfruttare il richiamo delle principali città per far scoprire la provincia, l’industria alimentare e vinicola, le fiere, l’artigianato».
Come ci vedono a Harvard? E gli hedge fund internazionali scommettono sulla nostra crescita o sul nostro declino?
«Degli hedge fund non dovremmo preoccuparci troppo. Semmai mi rattrista vedere che a volte sono proprio gli italiani, con i loro fondi basati all’estero, a scommettere contro il proprio Paese sperando di ottenere un profitto. Sugli ambienti accademici e governativi esteri l’Italia suscita grande interesse».