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 2014  gennaio 24 Venerdì calendario

LA SECONDA MICROSPIA NEL PALAZZO DEI VELENI

Dall’ufficio al secondo piano il panorama è deprimente. Nuvole nere su una Cristoforo Colombo rabbiosamente intasata e, di fronte, un palazzone ipertrofico di vetro e acciaio. Dentro, c’è questo non detto, «diamo fastidio a qualcuno», quest’aria da avamposto degli uomini perduti. «Più fanno così e più noi andiamo avanti», ha sibilato il governatore ai suoi, senza spiegare però chi siano i cattivi.
Può avere in testa qualche ipotesi, certo, ma figurarsi se la svela il buon Nicola Zingaretti, una vita dalla Fgci al Pd passata a volare a pelo d’acqua, scansando saggiamente le trappole della politica, e adesso, tac, questa tagliola della Regione Lazio che sembra un film di James Bond, con la Spectre che ti ascolta nascosta sotto il tuo fondoschiena. Alle sei del pomeriggio il governatore è riunito con la protezione civile proprio lì , nella sala incriminata, accanto al suo ufficio: tavolo ovale, poltrone di «pelle regionale», come dicevano scherzando i ragazzi di Marrazzo. La prima microspia, artigianale, l’hanno trovata sabato dentro lo schienale bluastro di una di quelle poltrone. «Tastando, ce ne siamo accorti», sussurrano quelli dello staff: «Era spenta ma attiva, bastava spingere un pulsante per accenderla. Ma, a differenza delle microspie più sofisticate, non potevi rilevarla con la frequenza. Non si capisce come hanno fatto, se devi portare fuori la poltrona o se hai modo di farlo qui. È un lavoretto di... tappezzeria». Logica suggerirebbe che lo spione abbia comodo accesso alle stanze più sensibili del potere regionale, quelle dove storicamente i governatori prendono le decisioni vere.
Il secondo lavoretto di tappezzeria l’hanno scoperto ieri, negli uffici distaccati di via del Serafico, cinque chilometri da qui, dietro la Laurentina. Lì c’è l’agenzia per i beni confiscati alle organizzazioni criminali. Stesso tipo di microspia nascosta in una poltrona. La poltrona era di Luca Fegatelli, non un dirigente qualunque: s’occupava di rifiuti, prima che Zingaretti lo rimuovesse; e, per lo scandalo dei rifiuti di patron Cerroni, è finito in manette. Se tre indizi fanno una prova, tre microspie (ce n’era una già a giugno nell’ufficio di un assessore) fanno uno gnommero , un groviglio gaddiano: sono davvero i rifiuti il primo garbuglio d’interessi dietro questo pasticciaccio? È l’eredità del «Supremo» Cerroni l’affare che scombussola la Capitale? Al bar del pianterreno, tra dipendenti regionali in pausa, il sano cinismo che ha protetto Roma per duemilacinquecento e rotti anni dispiega le sue ali: «Ahò, nun ce considerano più manco pe’ le microspie ! Ci hanno messo due ciofeche vecchie che andavano a pile. Meglio quelle della Polverini!». Già, perché da dieci anni a questa parte, diciamo da Storace in poi, non c’è governatore del Lazio che, in qualche modo, non si sia trovato impicciato, a diverso titolo, tra spioni e ascolti indiscreti. Qua passano i soldi, gli unici soldi veri: sanità, trasporti, rifiuti, fondi europei, un bilancio da trentacinque miliardi di euro, un Pil pari al Portogallo e superiore alla Grecia, mica pampuglie . «Ce n’è parecchia di gente interessata a sapere in anticipo quello che si discute nelle stanze del governatore», dice un dirigente che lavorava con Marrazzo.
«È segno che stiamo smuovendo le acque, produciamo discontinuità», sospira stanco Zingaretti, sfuggito verso sera alla morsa del palazzone sulla Colombo e apparso dalle parti del Campidoglio: «Come sto? Sereno. Combatto. Sa, in otto mesi abbiamo chiuso dieci società regionali, su 83 consiglieri d’amministrazione e revisori dei conti ne abbiamo tagliati 75». È pieno di gente che le vuole bene... «Ma non credo a una regia», ridacchia: «Penso che il sistema disarticolato reagisca in mille modi. Questo è uno dei modi».
A rigirarla con sapienza, perfino un pessimo comunicatore come lui può usare il pasticciaccio degli spioni per dimostrare di essere un governatore scomodo. Caduto Cerroni, ha detto: «Non passeremo da un monopolista a un altro». Chi sarebbe il nuovo, possibile monopolista nell’affare della mondezza capitolina? Il buon Nicola sguscia in dribbling meglio di Messi: «Ah, quella era una figura retorica!». Ma va? «Certo. Volevo dire che il caso Cerroni ha posto il tema dell’autonomia della politica, che deve tornare a gestire un mercato libero, legale».
Cerroni era il secondo uomo più potente di Roma. Il primo è Francesco Gaetano Caltagirone. Il «Supremo» lo incontrò nel 2012, pare che volesse rifilargli il proprio impero di rifiuti annusando aria cattiva, l’Ingegnere avrebbe risposto con un «no, grazie», annusandola anche lui. Zingaretti, che coi giornali di Caltagirone è ai materassi (sono volate querele), sembra un po’ il vaso di coccio della narrazione. Consapevole di stare su una poltrona che, anche quando non ascolta da impicciona, brucia. «Perché in Regione spuntano sempre le microspie? Ma perché io so’ curioso de sape’ cosa fa Zingaretti, no?», ghigna acido Ciccio Storace, assolto per l’intrigo di Laziogate ma ancora col dente avvelenato: «Ma che razza di domande mi fate? È pieno di poteri forti che vogliono carpire informazioni! A me m’hanno rovinato sette anni di vita». Pure Marrazzo, spiato sin dai giorni della campagna elettorale da qualcuno che conosceva i suoi problemi nella vita privata e voleva usarli, s’è bruciato. Che si complottasse contro di lui è verità storica, al netto della dissennata gestione di se stesso e del proprio ruolo. Ora s’è buttato il passato alle spalle e a chi gli chiede di quei giorni risponde: «Ti voglio bene, un abbraccio». Anche la Polverini si trovò alle prese con tre microspie: due erano piazzate lì dalla Procura di Velletri che poi ha incastrato Cerroni, una resta ancora di incerta paternità.
Dunque troppi moventi e nessun movente dietro lo gnommero , in questi corridoi. Michele Baldi, berlusconiano deluso poi folgorato da Zingaretti, dice che «se abbatti la spesa sanitaria, qualcuno perde soldi e s’innervosisce. Vogliono ricattarci». Esterino Montino, che fu accanto a Marrazzo nella stagione da governatore, ricorda che «Piero ogni sei mesi faceva bonificare tutto», inutilmente, diremmo noi, visto che fuori dalla Regione abbandonava ogni cautela. E però concorda, Esterino: «I tagli possono essere la chiave, c’è chi vuole conoscerli prima». Si spengono le luci. Un vecchio funzionario della sanità che ne ha viste di cotte e di crude si stupisce: «Certo vogliono minare Zingaretti, ma mi pare un po’ presto». C’è chi si avvantaggia sul lavoro, vai a sapere. Intanto il palazzone sulla Colombo s’addormenta, vegliato dai vigilantes di Claudio Lotito, patron della sicurezza e delle pulizie dai tempi di Storace. Dormono anche loro, visti i risultati? Sttt, basta adesso : lo gnom mero s’ingarbuglia sempre di più, a ogni cattivo pensiero.