Lorenzo Soria, L’Espresso 24/1/2014, 24 gennaio 2014
GRANDISSIMA BELLEZZA
[Colloquio Con Martin Scorsese] –
Martin Scorsese è il più acclamato e riverito regista contemporaneo. È anche un grande ammiratore e conoscitore del cinema italiano, da cui è stato enormemente influenzato quando era ragazzino e cui ha reso omaggio con "Il mio viaggio in Italia", il documentario uscito nel 1999 dove mostra e commenta spezzoni di Visconti, De Sica, Fellini, Rossellini e altri grandi del passato. Non si è dunque fatto sfuggire l’occasione di andare a vedere "La Grande Bellezza", ben prima che entrasse nella cinquina dei candidati all’Oscar come miglior film straniero. E quando ai primi di dicembre si è ritrovato per una settimana in giuria al festival di Marrakech con il regista del film, Paolo Sorrentino, i due hanno anche stretto una buona amicizia, passando serate assieme a parlare di cinema italiano e non, del passato e del presente. Scorsese ha accettato di parlare di Sorrentino con "l’Espresso": un colloquio che ha avuto luogo a pochi giorni dall’uscita nelle sale italiane di "The Wolf of Wall Street": il suo viaggio nel mondo della finanza ha polarizzato l’America e ha ricevuto cinque candidature agli Oscar, inclusa quella per il miglior film, per la sua regia e per Leonardo DiCaprio, che ha diretto per la quinta volta.
Mr. Scorsese, come spiega il successo de "La Grande Bellezza" negli Stati Uniti? Che cosa pensa ci sia in quel film che sembra avere toccato le corde non solo degli italiani ma del resto del mondo?
«Penso che il pubblico dia una risposta così calda perché il film affronta questioni e temi morali del mondo moderno in modo diretto. È ambientato in Italia e ha una connessione speciale con Roma, ma i dilemmi de "La Grande Bellezza" stanno toccando tanta gente perché sono dilemmi umani e universali».
Quanto conta lo stile del film?
«Lo stile e i gesti del film hanno le loro radici nel lavoro di Fellini e degli altri grandi visionari del cinema italiano e sembrano avere colto l’immaginazione non solo dell’America. Perché "La Grande Bellezza" è un vero spettacolo, un film molto potente da vedere e anche commovente e triste. E affronta temi universali: fa riferimento a Roma e all’Italia, ma tocca i valori di base della natura umana, e questo lo rende speciale. È per questo che attrae: è uno spettacolo bellissimo. E anche se dura oltre due ore, non senti mai la lunghezza».
Come lei prima con Bob De Niro e poi con Leonardo DiCaprio, anche Sorrentino ha il suo attore-musa che è Toni Servillo...
«Un grande attore, uno davvero straordinario e dal quale non riesci a distogliere lo sguardo. Quelle prime sequenze sulla terrazza sono fenomenali ed è estremamente forte anche quell’altra scena, quando analizza la situazione alla cena con quella donna di cui non mi ricordo il nome (si riferisce al personaggio interpretato da Galatea Ranzi, l’intellettuale con cameriere, maggiordomo e autista che è stata amante del capo del partito, ndr.). Servillo è così, ha questo modo di recitare in cui sembra sempre rilassato. E questo lo rende ancora più potente».
Come saprà la critica italiana, almeno all’inizio, non è stata molto generosa. Si aspettava una rappresentazione più diretta e realistica dell’Italia berlusconiana e invece si è trovata di fronte una creatura più multiforme.
«E che offre molti strati di lettura: ma questa reazione è tipica di chi per mestiere vede molto cinema e si trova improvvisamente di fronte a un film non classificabile, che non rientra dentro i confini di una particolare categoria, che è realistico, sì, ma non lo è poi più di tanto. Capisco che per i critici un film così possa essere irritante, che non sappiano bene che cosa farne. Ma la qualità de "La Grande Bellezza" nasce proprio dal fatto che non risponde a schemi predefiniti, e che è estremamente surreale».
Passiamo ai riferimenti e agli omaggi felliniani.
«Ho trovato i riferimenti al passato molto interessanti. E incoraggianti perché vuol dire che quel passato - i film di Fellini e Antonioni e Visconti e Pasolini e di tanti altri - sono stati assorbiti dai registi italiani più giovani. Vuol dire che quei film hanno lasciato un’impronta, e che il cinema italiano ha imparato la lezione del periodo del neo-realismo, tra il 1945 e il 1950, e poi di quello del grande cambiamento avvenuto con l’uscita de "Le notti di Cabiria" e de "La dolce vita". I più giovani assorbono ancora questi film e penso che questo sia un segnale molto positivo per il cinema italiano, dove vedo un grande fermento».
Oltre a Sorrentino, chi altro segue?
«Matteo Garrone: mi è piaciuto molto "Gomorra". E mi è piaciuto anche "Io sono l’amore" di Luca Guadagnino. Penso che ciò che sta accadendo in Italia sia molto interessante e che vedremo altri lavori importanti. Ma "La Grande Bellezza" è in una scala diversa, estremamente spettacolare. Sorrentino ha una visione molto speciale e originale, in "Il divo" e in "Le conseguenze dell’amore" e soprattutto in questo suo ultimo film ha un modo molto visuale di raccontare le storie. E poi c’è la relazione speciale con Servillo. Insomma, siamo di fronte a un autore straordinario».