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 2014  gennaio 24 Venerdì calendario

SUONALA ANCORA COEN


I fratelli Coen amano i libri, e i libri amano i fratelli Coen. Da quando Joel ed Ethan hanno cominciato a lavorare con adattamenti letterari ("Il Grinta" dal romanzo dell’americano Charles Portis, "Non è un paese per vecchi", ispirato al premio Pulitzer Charles McCarthy) la schiera di chi li considera i migliori registi americani si è infoltita. Anche il nuovo film, "A proposito di Davis", che in Italia arriverà in sala giovedì 6 febbraio distribuito da Lucky Red, è ispirato da un libro: non un romanzo, però, ma l’autobiografia ("The Mayor of MacDougal Street") di un cantautore americano dimenticato, Dave Van Ronk, pubblicata nel 2005 tre anni dopo la morte dell’autore.
Siamo all’inizio degli anni Sessanta, quando in America esplode la folk music di cui Bob Dylan sarà il capofila. Ma il film che i Coen hanno scritto e girato è una dichiarazione d’amore ai tanti musicisti senza successo che a Dylan hanno preparato la strada. I due registi sono partiti dai diari di Van Ronk per inventare il loro eroe, Llewyn Davis, interpretato dall’ottimo Oscar Isaac. «È da molto che ci interessiamo al "folk revival" degli ultimi anni», racconta Ethan Coen. «Dopo aver letto le memorie di Van Ronk abbiamo deciso di andare sulle sue tracce per le strade del Greenwich Village, per cercare quel che resta di un mondo antico che sembra essere tornato vicinissimo. La storia di Bob Dylan la conoscono tutti, ma a noi interessava scoprire dove siano finiti tutti quei "folkies" di talento spariti all’ombra del successo altrui. Quelli come Llewyn volevano conservare il passato. Dylan invece, ambizioso e arrogante, ha usato le vecchie tradizioni per inventare qualcosa di nuovo, e ha incantato il mondo». Spiega Ethan che «il folk che si faceva a New York era molto diverso da quello di San Francisco o Chicago - solo più tardi, verso il ’70, si è trasferito in Inghilterra. Si potrebbe scrivere una storia su ciascuno di quei movimenti musicali, ma noi non potevamo rinunciare a New York, la città che amiamo di più e conosciamo meglio».
Trovare la colonna sonora adatta a un film su un cantante inventato era una vera scommessa. I Coen l’hanno vinta grazie al sessantacinquenne T-Bone Burnett, che per loro aveva già creato i brani di "Fratello dove sei?" (1998). «T-Bone è grandioso», dice Joel, «il juke box vivente della storia musicale americana. Un poetico tradizionalista, un nemico giurato del digitale tout court». Come musicista e produttore Burnett ha lavorato con Bob Dylan, Roy Orbison, Robert Plant e altri giganti. L’ultima gemma a portare la sua firma è il brillante nuovo album di Elton John. «Senza di lui non avremmo fatto questo film», assicura il regista.
Il film si concentra su una settimana del 1961. Llewyn Davis è a un bivio: raggiungere il successo o rinunciare al sogno e «semplicemente esistere», come dice il protagonista. «In ogni nota di ciascun brano che Llewyn Davis suona e canta c’è la bellezza e la malinconia di un mondo che oggi i ventenni fanno a gara per riscoprire», commenta Ethan. È Oscar Isaac a cantare: infatti non è solo attore ma anche musicista di talento. Dopo ruoli secondari in "Drive" e "W. E.", il film di Madonna, nel film dei Coen Isaac è una vera rivelazione. Con la barba lunga e i capelli arruffati, stretto in un cappotto troppo grande, riesce di tenere in equilibrio il suo personaggio tra serietà e parodia: anche questo un mix tipicamente Coen. «È grazie a Isaac se il personaggio di Davis vibra in tutte le sue note», assicura Ethan.
Come in tutti i cast dei Coen, anche qui gli attori non protagonisti sono spettacolari. Carey Mulligan è Jean, l’amica, amante, nemica, di Davis. Justin Timberlake è il marito di Jean, Jim. Ache lui è bravissimo: «Justin oltre che popstar è anche un ottimo attore, come dimostrano le pellicole in cui è comparso negli ultimi tempi», dice Ethan. Verso la fine del film Davis parte in macchina per Chicago in compagnia di due sconosciuti interpretati da Garret Hedlund e da John Goodman, icona del cinema dei Coen insieme a Frances Mc Dormand (protagonista di "Fargo" e moglie di Joel). «Abbiamo inventato il personaggio su misura per Goodman», racconta Coen, «è un attore che adoriamo».
La moda recente dei documentari musicali su artisti dimenticati, da "Searching for Sugar Man"su Sixto Rodriguez a "A Band Called Death" (sui Death, una rock band dimenticata anni ’70), a "Control" di Anton Corbijn, sul mito di Ian Curtis della band Joy Division, ha senza dubbio fatto da apripista al progetto dei Ethan. Ma nessuno di quei film guarda al futuro attraverso le note del passato come il loro. «Davis è una figura tragica, non una cattiva persona», commenta Ethan. «Commette errori, ma è solo un aspetto della sincerità di fondo con cui abbiamo voluto scrivere il personaggio». Condivide con tanti eroi dei Coen una tenacia e una rettitudine ai limiti dell’autolesionismo: come il Larry Gopnick di "A Serious Man", o l’autore in crisi di scrittura "Barton Fink" che, come Llewyn Davis, sa di avere la stoffa, ma non riesce ad andare avanti. "A proposito di Davis" in più sembra una pellicola con una vocazione scientifica, tanto accurata è stata la ricerca musicale. Ethan questo aspetto di ricerca del loro cinema lo spiega così: «Noi non pretendiamo che gli spettatori conoscano a perfezione gli antefatti storici e culturali alla base dei nostri film. Con "A Serious Man" ad esempio abbiamo fatto una pellicola su un aspetto molto specifico della storia americana, ovvero le dinamiche di una comunità ebraica nel midwest americano degli anni Sessanta: cose che per il 95 per cento degli americani sono del tutto estranee. Non pretendiamo di spiegare nulla, ma amiamo raccontare storie da punti di osservazione particolari, quelli che conosciamo meglio, quelli in cui siamo cresciuti». Lo sfondo perfetto di quest’atmosfera è la provincia calma e piatta, «il luogo fisico e metaforico di una condizione dell’anima che ci ipnotizza ancora oggi». «Ma dopo le grandi praterie di "Il Grinta" e "Non è un paese per vecchi" volevamo affrontare la sfida della dimensione claustrofobica della grande città», aggiungeJoel. «Basta sole e cielo azzurro, volevamo strade sporche e vento gelido. Persino il viaggio in macchina di Davis a Chicago lo abbiamo girato quasi completamente in interni». Lo sfondo è diverso, la musica è nuova, ma lo stile Coen non cambia mai.