Federico Geremei, L’Espresso 24/1/2014, 24 gennaio 2014
COSTA RICA MENO FELIX
Per la vulgata comune la Costa Rica è stata un’oasi di modernità e pace nei decenni in cui i vicini centroamericani si dilaniavano in guerre civili. Vero. Oggi la si dipinge come buen retiro di pensionati, nuovi hippie, affaristi & co. Vero (ma parziale). Per "l’happy planet index", l’indice che misura il grado di felicità dei paesi ed è stato messo a punto dalla "New economics foundation" di Londra, è prima al mondo (tre i parametri fondamentali esaminati: benessere, aspettative di vita e impronta ecologica). Beppe Grillo ne esalta il coraggio istituzionale e il suo autista di fiducia Walter Vezzoli ci faceva investimenti. Osservatori più entusiasti che scrupolosi ne magnificano biodiversità e progresso. Tutto vero più o meno. Con riserva. Quanto regge l’oleografia della "Costa Rica felix" ora che il Paese va alle urne per rinnovare l’Asamblea Legislativa - l’unica camera del Parlamento, una sessantina di deputati - e scegliere il successore di Laura Chinchilla, prima "presidenta" della storia? Partiamo da un dato: 13 candidati, tutti maschi. Un caso o un segnale di regressione nella realtà fino a ieri più "rosa" e progredita della regione? Per i 5 milioni di abitanti il "milagro tico" (miracolo costaricano) pare un ricordo, l’equilibrio sociale scricchiola, quello ambientale è a rischio e il disincanto si fa strada tra disaffezione e populismi. Dagli anni Ottanta è una destinazione di sola andata per molti europei e nordamericani, un trend inesorabile di pensionati, residenti stagionali e investitori turistici (due colossi su tutti: Starwood e Four Seasons).
Nuove questioni però si affacciano e Pilar Cisneros, conduttrice del tg più seguito, taglia corto: «La gente ha problemi vecchi e nuovi, la criminalità e il lavoro su tutti. Pensa a questo, non alla politica. Che ha perso credibilità». Alfio Piva, vicepresidente in carica, vede più luci che ombre e si ostina a considerare i propri compatrioti solo spaesati. Quasi viziati da troppo benessere: «Siamo tranquilli e mansueti per natura. È la società che si è fatta stressante, diventiamo tristi se perdiamo la semplicità. Un tempo ci bastava poco, stavamo meglio». E oggi? «La gente si lamenta, ma l’assistenza medica è capillare, idem per l’istruzione pubblica». Passiamo alla sicurezza: «Siamo sulla rotta della cocaina, la violenza che il narcotraffico porta è preoccupante. È un fenomeno nuovo contro il quale stiamo facendo molto, ma è la minaccia numero uno alla nostra felicità».
Fino a che punto si sente realmente felice il popolo "tico", alla vigilia dell’appuntamento del 2 febbraio? Per capire quanto smalto abbia perso il sorriso costaricano bisogna comprendere i cinque pilastri su cui s’è eretto - istruzione, ambiente, diritti civili, neutralità, partecipazione - e valutarne la tenuta. A metà Ottocento la Costa Rica si proclama Repubblica democratica, si apre alla libertà di stampa e si dà da fare per l’educazione femminile. Un secolo più tardi garantisce il suffragio universale e, prima nazione al mondo, abolisce l’esercito. Libera così risorse per educazione e assistenza sanitaria, un’ondata di modernizzazione impensabile in quell’epoca. L’onda si ripiega su se stessa a metà degli anni Novanta (con la rivoluzione liberista di Figueres) e si smorza nel 2009 con la firma del Cafta. Preceduta da un referendum. «Il sì agli accordi sul libero commercio ha prevalso di misura e l’equilibrio di fiducia e identificazione con lo Stato s’è comunque rotto», dice Maurizio Campisi, saggista e imprenditore italiano, da anni in Costa Rica.
Capitolo partecipazione. «Un tempo ogni istituzione era tenuta a rispondere a qualsiasi richiesta di qualsiasi cittadino. Entro dieci giorni e per iscritto», prosegue. «Oggi competono con soggetti privati e ricorrono a norme che consentono silenzio e distanze». La Defensorìa de los Habitantes, per esempio, continua a raccogliere istanze dal basso, interpretarle e veicolarle verso il Palazzo ma con più difficoltà e meno potere di prima. La Corte dei Conti è uno dei baluardi che si sforzano di condividere informazioni e decisioni con tutti, tramite gli open data. Un’offerta di e-democracy notevole, è la domanda che è flebile. Marta Acosta, che presiede l’istituto, racconta: «Controlliamo e condividiamo il più possibile, la trasparenza è necessaria. Ma non sempre è sufficiente, le decisioni competono ai politici».
Diritti civili. Le questioni di genere sono quelle per le quali gli animi si scaldano di più. Una versione tutta costaricana di Don Camillo e Peppone ha alimentato diatribe. L’estate scorsa il parlamento ha approvato un pacchetto di leggi per i giovani e tra i dispositivi ce n’era uno che garantiva il diritto alle unioni di fatto, senza discriminazioni. La costituzione del Paese fa però esplicito riferimento al cattolicesimo come religione di Stato, con la conseguente negazione dei matrimoni omosessuali. La grana giuridica e politica non è ancora risolta. Più profondo lo scontro sulle iniziative contro la violenza domestica: disciplinata all’interno di norme ad hoc e nuove interpretazioni, secondo una fetta dell’opinione pubblica andrebbero oltre la giusta tutela e consentirebbero "ricatti femministi". Gloria Valerìn, ex deputata e paladina dei diritti delle donne, parla chiaro: «La condizione femminile in ambiente domestico è di subordinazione. Siamo moderni e arretrati allo stesso tempo. Le misure cautelari sono draconiane, è vero, ma necessarie».
E la pace? Per decenni la Costa Rica ha dato lezioni di neutralità attiva, composto conflitti - Oscar Arìas, due volte presidente, ha vinto il Nobel per la pace nel 1987 - e ospita la University of Peace, sotto egida delle Nazioni Unite. La serenità vacilla però su diversi fronti. Quello più caldo è col Nicaragua. Internamente, per la presenza degli immigrati da oltreconfine cui l’economia ricorre come manodopera a bassa specializzazione (e bassissimo salario). E sull’arena delle negoziazioni internazionali per le controversie che Daniel Ortega cavalca: ha iniziato con le rivendicazioni sulla provincia di Guanacaste e va avanti con la guerra di nervi per le acque del fiume San Juan. Segna il confine tra i due Paesi e potrebbe essere cruciale per i transiti delle portacontainer del canale tra il Pacifico e l’Atlantico, da finanziare con capitali cinesi. È proprio con la Cina che gli affari vanno avanti spediti, un sodalizio decollato nel 2008 con la rottura dei rapporti tra il Paese centroamericano e Taiwan. Il presidente Xi Jinping ha concluso la visita in Costa Rica con la promessa di investimenti per due miliardi di dollari. Dopo lo stadio nazionale, inaugurato tre anni fa, e il nuovissimo barrio chino della capitale, toccherà alle autostrade in un Paese che è più verde di altri - metà della superficie è coperta da foreste e un quarto del territorio è tutelato - ma è sempre più congestionato. Cale da cartolina, fincas nella natura, colline che sembrano alpeggi svizzeri e qualche villaggio senza tempo. C’è tutto, la Costa Rica reale che sembra una brochure esiste, il campionario è sempre vario, è il catalogo che ha meno pagine: la geografia è così densa e varia che consente ancora spazi al turismo consapevole e slow. Tre destinazioni: Golfito, Monteverde, la Isla de Coco. Arriviamo così alle questioni ambientali. A quelle croniche, come lo smaltimento delle "aguas negras", si sommano le nuove forme di rischio idrogeologico, i saccheggi di uova di tartaruga e della pesca indiscriminata allo squalo. La Costa Rica resta però un’eccellenza - fra qualche settimana l’ultimo zoo pubblico chiuderà - e punta sul biotech e l’agronomia con realtà notevoli. Due esempi: l’InBio (Istituto nazionale di biodiversità) che fa ricerca botanica per accademia e aziende, ed Earth, un college di agraria per studenti da tutto il mondo. Non solo ananas, banane e microchip, il cerchio si chiude col paradosso dell’istruzione: è sempre più competitiva. Ma sempre meno integrata alle politiche pubbliche, poco autonoma da capitali stranieri.
La nuova sfida per la democrazia - in attesa di quella calcistica (la Costa Rica parteciperà ai Mondiali nel girone con l’Italia) - si gioca proprio su questo e passa per l’elezione del nuovo presidente, con lo spettro di un astensionismo record. Molti dei candidati vengono dal centrosinistra ma saranno, con buona probabilità le destre a prevalere. Favorito Johnny Araya, da tre lustri controverso sindaco della capitale San José, un populista che proviene da sinistra, ma che ha già fatto intendere che si alleerà con le destre.