Alessandro Pasini, Corriere della Sera 24/1/2014, 24 gennaio 2014
MERTENS: «SONO NATO PER IL NAPOLI»
Dalle Fiandre a Posillipo passando per l’Olanda. Il viaggio è stato lungo e ora Dries Mertens vuole fermarsi un po’: «Sono innamorato di Napoli e del Napoli. Fin dal primo giorno ho capito che questa era la scelta giusta. Qui faremo qualcosa di grande».
Acquistato per 9 milioni dal Psv Eindhoven, tra gol (5), assist (6) e giocate di classe, lei si sta rivelando uno degli affari piú riusciti della serie A.
«All’inizio non è stato facile, soprattutto per la lingua. L’italiano lo capisco, ma lo parlo così così. Ecco perché preferisco ancora fare le interviste in inglese. Però studio. Tra qualche mese, chissà...».
E calcisticamente nessun problema?
«Ero già abituato a giocare ad alto livello, però lo stile di Benitez è un po’ diverso e infatti nella prima parte di stagione ho giocato poco: in Olanda facevamo l’80 per cento di possesso palla, qui si verticalizza di più e più spesso. Mi piace molto».
Ma si rischia molto, visto com’è andata l’ultima partita a Bologna.
«Che rabbia. Con l’uomo in più non si può fare 2-2 in quel modo».
Questo fa la differenza tra una grande squdra e una buona.
«Ma noi siamo una grande squadra!».
Però la Juve è lontana.
«La vera ragione è che siamo tutti nuovi e stiamo maturando insieme. Qualche errore in questa fase è fisologico».
Per il suo c.t. belga, Wilmots, lei ha qualità, velocità, dribbling, idee, gol. Insomma, il giocatore perfetto.
«No, perché devo migliorare tanto in fase difensiva. E in attacco sarò soddisfatto solo quando arriverò a 10 gol e 10 assist. In fondo, al Psv ne ho fatti 45 e 45 in 88 gare».
Gioca sia a sinistra che al centro dietro Higuain. Lei dove preferisce?
«Mi piace giocare ovunque, ma al centro si toccano molti più palloni...».
Però da sinistra si costruisce il “gol alla Mertens”: rientro al centro e tiro sul palo opposto. Come nasce questa magia?
«Allenamento. Come sulle punizioni. Un grande piede non basta se non lavori».
Ha definito Napoli «una scelta del cuore». In che senso?
«Volevo cambiare: ho parlato con la società e con Benitez, ho ascoltato il progetto, ho colto l’entusiasmo dei tifosi e ho capito che possiamo diventare grandi insieme».
Si chiama amore a prima vista.
«Bé, Napoli non è il Belgio né Eindhoven... Là è sempre brutto tempo. L’hanno capito anche i miei amici e familiari: la mia fidanzata Katrin ha l’agenda degli ospiti a casa nostra piena fino a fine maggio!».
Arriveranno anche dei figli?
«Li vogliamo, ma non subito. Per ora ci godiamo l’Italia e visitiamo spesso altre città. Se hai figli viaggiare è difficile».
Per i tifosi lei è già un idolo.
«Fantastici. E sa cosa mi ripetono sempre dal primo giorno? Fai un gol alla Juve!».
A proposito di Juve. Lo scudetto a Napoli è ancora possibile?
«Arriviamo al nostro top e poi ne riparliamo. Per ora penso solo al Chievo».
La serie A è come se l’aspettava?
«Vedo tanti bravi giocatori. Forse facce nuove come me, Callejon, Higuain, Tevez o il mio amico Strootman, con cui giocavo a Urtrecht e Eindhoven, hanno dato un nuovo impulso al campionato».
L’avversario più forte?
«Impossibile dirlo. Qui c’è un livello tattico altissimo. Per esempio, se le dovessi dire la difesa migliore che ho visto direi Sassuolo. Eppure prima ne aveva presi 7 dall’Inter. È la stranezza e la bellezza della serie A».
Smaltita la delusione Champions?
«Volevo piangere. Pazzesco uscire con 12 punti. Ma abbiamo battuto Arsenal e Dortmund: faremo bene in Europa League»
L’ultimo match a Bologna ha riproposto il problema razzismo. Che ne pensa?
«Non ci sono mezze misure: va bandito dagli stadi. Però, vi assicuro, non è un problema solo italiano».
Capitolo Mondiale. Il Belgio è una bella squadra piena di talento, speranze e gioventù (l’età media è 24 anni). Per il c.t. tedesco Low potrebbe addirittura vincere la Coppa. Esagerato?
«La rosa è ottima, ci siamo qualificati da imbattuti e il girone non sembra male. Il nostro limite può essere l’inesperienza»
Ma com’è sbocciata questa nouvelle vague belga dopo tanti anni di crisi?
«Il segreto è giocare all’estero in squadre importanti. Se sei bravo, e in più stai in un grande club, non puoi che diventare un giocatore di profilo internazionale».
Nel Belgio di fiamminghi e valloni la nazionale ha anche un valore sociale?
«Senz’altro. Io, fiammingo, parlo anche francese, ma il problema linguistico e politico c’era e c’è. La nazionale, come lo sport in generale, aiuta a superare le differenze».
Lei ha anche un diploma, un’anomalia nel mondo del calcio...
«Educazione fisica. Volevo seguire le orme di mio papà Herman, il mio vero modello di vita, un insegnante di ginnastica. Il calcio non dura in eterno. E quando a 30/35 anni ti ritirerai dovrai essere pronto a iniziare una nuova vita»
E quando ha realizzato che la sua prima vita sarebbe stata il calcio?
«Passando all’Urtrecht, in serie A olandese. Ho cominciato a guadagnare e ho pensato: sì, questo è il mio futuro. Anche se con i soldi ho un rapporto tranquillo: sa, noi belgi teniamo i piedi per terra, parliamo poco e pensiamo alle cose semplici e concrete».
Da uomo concreto, percepisce lo spirito di Maradona nell’aria di Napoli?
«Ah quello certo! Ovunque vado ci sono sue foto. Incredibile».
E che cosa pensa?
«Spero che fra 20 anni nei ristoranti insiema alla sua ci sia anche la mia foto»