Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 23 Giovedì calendario

STORIE DI PIAZZA, DI CURVA E DI CUORE


Affari che sfumano. Per la rivolta dei tifosi, la tirchieria dei presidenti, le ripicche tra dirigenti, le lacrime delle fidanzate, le discriminazioni razziali e chi più ne ha più ne metta. Di certo, erano bei tempi quelli in cui un presidente, per calmare i bollenti spiriti dei tifosi, poteva scendere in strada, mostrare al popolo l’assegno ricevuto per la cessione di due beniamini e dire: “Tranquilli, con questi soldi faremo uno squadrone!”; dopodiché, incassati assensi e pacche sulle spalle, fiondarsi in banca e depositare il malloppo.
Succedeva, tanto per capirci, il primo giugno 1942 a Venezia. Il giorno prima, trascinato dalle mezzali Ezio Loik e Valentino Mazzola, 23 anni entrambi, il Venezia aveva stracciato il Torino capolista demolendo molte delle sue speranze di vincere lo scudetto (che infatti andrà alla Roma); ma soprattutto, a travolgere i granata erano stati loro, Loik e Mazzola, una coppia straordinaria su cui la Juventus del presidente Dusio aveva puntato gli occhi da tempo. Rosetta, l’osservatore bianconero, aveva assistito a Venezia-Torino 3-1 con un assegno di 800 mila lire custodito nel portafogli, ma al fischio finale dell’arbitro Zelocchi di Modena si era sentito male perché aveva visto il presidente del Toro, Novo, infilarsi nello spogliatoio del Venezia parlando fitto fitto con Bennati, numero uno nero-verde. Fine dei sogni.

NOVO AVEVA acquistato Mazzola e Loik firmando un assegno da 1 milione e 250 mila lire; in più aveva spedito a Venezia Mezzadra e Petron. Soldi ben spesi: l’anno dopo sarebbe nato il Grande Torino dei 5 scudetti, il Toro degli Invincibili. Con grande scorno della Juve cui non riuscirà nemmeno – 12 anni dopo Superga – lo scippo ai granata del funambolo scozzese Denis Law, ex Manchester City, per il quale aveva perso la testa l’Avvocato e che i tifosi del Toro – narra la leggenda – capitanati dal fondatore dei “Fedelissimi granata” Ginetto Trabaldo avevano messo in fretta e furia su un aereo per l’Inghilterra alla notizia della trattativa (meglio il Manchester Utd, con cui vincerà il Pallone d’Oro nel 1964, dei cuginastri); come non riuscirà, qualche anno dopo, lo scippo di Gigi Meroni, con la famiglia Agnelli terrorizzata all’idea dei disordini che avrebbero potuto scoppiare in città, a cominciare dalla Fiat. Che la rabbia dei tifosi sia spesso più forte di tutto l’ha appena dimostrato la bruciante telenovela Guarin-Vucinic: a proposito della quale il dirigente juventino Marotta ha parlato ieri di “mancanza di serietà” da parte dell’Inter, che “ci aveva chiesto a dicembre di poter parlare con Vucinic” e che si è rimangiata l’accordo “dopo che Thohir aveva spedito un sms di assenso ad Andrea Agnelli”. Come non detto. Un po’ come a Roma nel 1995, quando il presidente della Lazio, Cragnotti, annunciò di avere ceduto al Parma di Tanzi Beppe Signori, amatissima bandiera laziale; un affare che puzzava di bruciato lontano un miglio, in stile Cirio-Parmalat, benedetto da Geronzi; un affare che alla fine sfumò per motivi di ordine pubblico, visto che Roma duemila anni dopo Nerone rischiava di andare a fuoco.
O come a Torino, nel 2008, quando i tifosi della Juve scesero sul piede di guerra alla notizia dell’acquisto di Stankovic dell’Inter. La Juve era reduce dalla Serie B e da Calciopoli, vittima – pensavano i tifosi – delle manovre ordite nell’ombra dal club di Moratti. Tutto avrebbero accettato, i tifosi, tranne che accogliere in bianconero il nemico. E così Stankovic rimase a Milano, dov’era finito nell’estate del 2004 dopo un altro sgarro alla Juve: Dejan giocava nella Lazio, lo volevano l’Inter e la Juve e Moggi, temendo di perderlo, disse: “Voglio vedere come farà ad andare all’Inter visto che ha già firmato per noi”. Peccato che il mercato non fosse ancora aperto e acquistare giocatori fosse proibito...
Ma gli affari sfumano anche per altri motivi: come la tirchieria o la dabbenaggine dei presidenti. Prendete la buonanima di Ivanhoe Fraizzoli, che dell’Inter fu presidente dal ’68 all’84. Un suo dirigente, Sandro Mazzola, riuscì nell’impresa di portargli due contratti firmati nientemeno che da Platini (nel 1978, Michel giocava nel Nancy) e da Falcao (nel 1984, Paulo Roberto giocava nella Roma). Ebbene, nel primo caso, in attesa della riapertura delle frontiere nel 1980, Fraizzoli si stancò e propose di stracciare il contratto, non convinto dalle doti atletiche di Platini per il quale aveva storto il naso anche Bersellini, l’allenatore che lo aveva visionato in segreto alla Pinetina; nel secondo, Fraizzoli se la fece sotto – parola di Sandro Mazzola – quando un giorno a casa sua squillò il telefono, lui andò a rispondere e sentì una voce dire: “Sono Giulio Andreotti”. Il Divo disse al presidente dell’Inter che lo consigliava vivamente di stracciare il contratto firmato da Falcao: a Roma non l’avrebbero presa bene e insomma, per questioni di quieto vivere era meglio fare finta che nulla fosse accaduto.

CHI NON SI FECE scrupolo dei disordini che avrebbero sconvolto Firenze fu il conte Pontello: che nella primavera del ‘90, a pochi mesi dai Mondiali in Italia, avviò una lunga trattativa con l’Avvocato che da vero amatore si era invaghito, dopo Law e dopo Meroni, anche di Roberto Baggio. A Firenze i tifosi odiano la Juventus più di tutto; ma nonostante questo, e nonostante gli incidenti che realmente scoppiarono e che durarono giorni, Baggio alla Juve si fece davvero; e ancora oggi, per Firenze , questa è una ferita che non si rimargina.
Tevez al Milan per due lire e Pato al Psg per 35 milioni: è il gennaio del 2012 e Galliani chiude una trattativa da Oscar del dirigente. Se i contratti fossero stati depositati oggi, forse, la storia del pallone italico sarebbe diversa. Sta di fatto che in extremis, a foto fatte, salta tutto. Barbara Berlusconi, fidanzata di Pato, al pensiero del fidanzato che se ne va scoppia in lacrime: niente più Tevez al Milan, niente più Pato a Parigi (oggi il Milan è dodicesimo). E ancora: Gigi Riva e Pietro Paolo Virdis (Il primo per sempre, l’altro temporaneamente) che dicono no alla Juventus per amore della Sardegna; Rosenthal, israeliano, che deve lasciare Udine perché i tifosi non vogliono giocatori ebrei; Ferrier, olandese, che deve lasciare Verona perché i tifosi non vogliono giocatori neri; Bazzani, bolognese, che deve lasciare Livorno perché lì i tifosi sono comunisti e lui giocava nella Lazio, squadra fascista; Fabio Gallo, vice di Giampaolo, che deve lasciare Brescia perché nel Brescia un tempo giocava ma poi andò all’Atalanta, e a Bergamo ci vanno solo i traditori. Insomma, gli affari nel calcio sfumano perché, come si dice spesso, tutto quanto fa spettacolo. Anche l’idiozia.