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 2014  gennaio 23 Giovedì calendario

WHATSAPP


ROMA Sono 50 miliardi di messaggi al giorno, tondi tondi. Il fenomeno WhatsApp, l’applicazione per smartphone che per 99 centesimi all’anno permette di chattare, scambiare immagini e video, e creare discussioni di gruppo, sembra non conoscere limiti. I numeri sono ormai esponenziali e mettono paura: creata nel 2009, ha raggiunto i 200 milioni di utenti ad aprile del 2013, che in meno di un anno sono diventati 430 milioni. I messaggi invece erano “appena” un miliardo al giorno ad ottobre di tre anni fa, per toccare quota 10 miliardi nel 2012 e 27 nel 2013. L’annuncio del raggiungimento dei 50 miliardi è stato dato alla Digital Life Design Conference, appena conclusasi a Monaco, da Jan Koum. Assieme a Brian Acton, anche lui ex ingegnere di Yahoo!, è il fondatore di WhatsApp Inc. Poco meno di cento persone che gestiscono questa marea montate di comunicazioni via cellulare che non ha subito alcun contraccolpo anche quando, per evitare di tediare le persone con la pubblicità, ha deciso di far pagare il servizio meno di un euro all’anno.
Koum e compagni da tempo avrebbero potuto sbandierare il loro successo a destra e a manca. E invece hanno sempre mantenuto un profilo basso: poche conferenze, annunci fatti con il contagocce, rare le apparizioni pubbliche. Almeno fino ad ora. Perché il servizio che hanno lanciato è ormai talmente diffuso da impedirgli di restare nell’ombra. «Siamo ben più grandi di Twitter», aveva dichiarato lo stesso Koum ad aprile scorso durante un’intervista
pubblica concessa alla conferenza All Things Digital. «WhatsApp è uno strumento per comunicare unico e universale allo stesso tempo. In Spagna ad esempio la polizia lo adopera per coordinarsi, in Italia invece è uno dei mezzi principali per organizzare partire amatoriali di calcio o di basket. Io personalmente lo uso per restare in contatto con amici e conoscenti da mattina a sera. Insomma, ognuno lo usa come lo preferisce». Dall’Europa al Sud America, da Singapore ad Hong Kong l’app sta rompendo un record dopo l’altro. Ma fa fatica in Corea, Giappone e Cina, dove ci sono software alternativi, e con ambizioni globali, sempre più popolari. Line, giapponese, conta da almeno un mese oltre 300 milioni di utenti. Stesso discorso per Weixin, cinese, che ha tagliato lo stesso traguardo in questi giorni. Senza dimenticare gli altri come WeChat, Viber, ChatOn, Skype.
«Che ci fosse questa esigenza è lapalissiano», spiega Andrea angone, del Politecnico di Milano. «Del resto gli stessi sms sono un servizio nato come un canale tecnico e poi esploso letteralmente nelle mani degli operatori. I volumi di messaggi, di fatturato e soprattutto i margini sono stati immani. E alla fine è arrivato WhatsApp, che ha trasferito su Internet quel concetto e quel successo usando il peer to peer fra utenti. Per 99 centesimi a stagione».
Ma gli operatori non sarebbero finiti, sostiene Rangone, visto che per collegarsi a Whatsapp serve comunque una connessione dati fornita da loro. Quel che sta finendo invece è il giro di affari degli sms. Stando ai dati che il Politecnico di Milano renderà noti fra poche settimane, sono in caduta libera e in diversi Paesi, come la Spagna, i messaggi mandati via app li hanno superati. «Gli sms? Un mezzo fantastico, per carità, ma è vecchio di 20 anni», ha sintetizzato lo stesso Jan Koum senza troppi giri di parole.