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 2014  gennaio 23 Giovedì calendario

LA TERRA DI NESSUNO


SEMBRAVA che il braccio di ferro tra il governo ucraino e la piazza, che ne contestava la scelta anti-europea e filorussa, fosse destinato a un lungo stallo, almeno fino alla prossima primavera. Da un lato, Viktor Yanukovich, il presidente «usurpatore » come lo definisce la signora Timoshenko, era apparso appagato e rincuorato dal megaprestito offerto da Putin per convincerlo a scegliere Mosca anziché le sirene di Bruxelles: 20 milioni di dollari sono un bel gruzzolo per un Paese che stava morendo di asfissia economica.
Dall’altro, la piazza era sfinita dalla dura vita nei precari accampamenti eretti nel gelo micidiale dell’inverno di Kiev, dalla scarsità dei risultati e dalla mancanza di un “eroe” al quale obbedire e per il quale combattere.
Invece, quasi all’improvviso, la piazza ha ricominciato a scaldarsi fino a eruttare nel fine settimana scorso con una violenza lavica, che la “rivoluzione arancione” non aveva mai conosciuto neppure nei momenti più intensi e passionali del 1991 e del 2004. E, alla fine, sono arrivati i primi morti. Ora la questione ucraina torna prepotentemente a investire i rapporti Est-Ovest, come si sarebbe detto ai tempi della guerra fredda. Con l’Europa che minaccia «azioni» e ipotizza «conseguenze sulle nostre relazioni », gli Stati Uniti che vanno subito sul concreto congelando i visti dei responsabili della «violenza di Stato», e la Russia, di contro, che parla di «interferenze negli affari interni», con un linguaggio davvero d’altri tempi.
La causa primaria di questa esplosione sono una serie di leggi che si possono definire eufemisticamente illiberali e perfino grottesche. Se non fosse che stanno portando l’Ucraina sul piano politico verso quella che Putin ama definire una «democrazia controllata»; e sul piano dell’ordine pubblico verso un vero e proprio Stato di polizia. Perché sono state proposte e approvate in tre giorni da un Parlamento compiacente, senza alcun dibattito: il governo le ha presentate martedì e Yanukovich le ha firmate venerdì. Una democrazia più “controllata” di così è difficile trovarla nelle ex repubbliche sovietiche: se non nella Bielorussia del dittatore Lukashenko, dalla quale in effetti una buona parte della normativa anti-sommossa è stata ispirata.
Ad esempio, il divieto di cortei di cinque o più automobili, dopo che vi erano state processioni di veicoli sotto la casa del presidente e di alcuni dei suoi sodali. Oppure l’articolo che prevede fino a dieci giorni di arresto per chi indossi caschi da bici dopo che i dimostranti avevano cominciato a usarli per proteggersi dalle bastonate senza pietà dei poliziotti. Mentre dalla più recente legislazione russa in materia di ordine pubblico la normativa ucraina ha copiato la legge che autorizza l’individuazione e la registrazione dei cellulari dei manifestanti. Tanto che nella notte tra lunedì e martedì molti occupanti della via Hrushevskoho, vicina al Parlamento, hanno ricevuto un sms sul loro telefono: «Caro abbonato, sei stato registrato come partecipante ad azioni di disturbo di massa». Per le quali è ora prevista une pena fino a 3 anni di carcere. E sempre dalla Russia Yanukovich e i suoi timorati parlamentari di maggioranza hanno importato la norma che equipara le organizzazioni non governative che ricevono finanziamenti dall’estero ad «agenti stranieri» e, dunque, passibili di chiusura immediata.
Ma se questa congerie di norme illiberali è la causa diretta del ritorno violento della piazza, le ragioni profonde e forse irrimediabili sono che in Ucraina stiamo assistendo allo scontro tra due debolezze: quella di Yanukovich e quella dell’opposizione. Il presidente si sente isolato e abbandonato dagli stessi oligarchi miliardari che l’avevano voluto e sostenuto. Lo dimostra la presa di distanza di Rinat Akhmetov, l’uomo più ricco di Ucraina (un patrimonio di 15,4 miliardi di dollari, secondo la stima di
Forbes) ed egualmente il più influente politicamente, nonché omaggiatissimo, anche dagli ambasciatori occidentali, presidente dello Shakhtar di Donetsk, che ha sostituito nei prestigio calcistico nazionale e internazionale la Dinamo Kiev dei tempi sovietici. Akhmetov, figlio di minatore, modi e linguaggio spicci e diretti, è stato il vero king maker di Yanukovich. Ma venerdì, dopo una manifestazione davanti alla sua abitazione londinese (One Hyde Park, valore 136 milioni di sterline) in cui campeggiava uno striscione «Akhmetov, metti a posto il tuo pupazzo Yanukovich, il miliardario ucraino ha definito i manifestanti «gente pacifica» e «inaccettabili » le sofferenze inflitte alla popolazione.
Dall’altra parte, i tre leader dell’opposizione, che proprio ieri sono stati ricevuti dal presidente in un incontro declamatorio ma senza esiti concreti, hanno perduto, se mai l’hanno avuta, ogni presa sui manifestanti: troppo divisi e politicamente inconsistenti, compreso l’ex pugile Vitali Klitschko, che non ha ancora capito la differenza tra il ring della politica e quello della boxe. La piazza è diventata terra di nessuno soprattutto da quando ha prevalso la violenza. L’altra notte i dimostranti hanno catturato alcuni giovanotti in maglietta, armati di bastoni, che spaccavano teste e vetrine con la stessa violenza: davanti a una tv degli oppositori uno di questi avrebbe confessato di essere un hooligan calcistico assoldato per 25 dollari a notte dalla polizia per provocare e picchiare i manifestanti.
In questa situazione l’unico che può agire da pompiere tra lo spaurito Yanukovich e la piazza inferocita è proprio Vladimir Putin. Il presidente russo per il suo Dna di ex ufficiale del Kgb sarebbe portato a fare pulizia dei dimostranti con metodi molto sbrigativi (e in Russia ha fatto vedere di conoscerli bene). Ma a due settimane dalla cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali di Sochi non può permettersi di avere un’Ucraina in fiamme alle porte di casa.