Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 23/1/2014, 23 gennaio 2014
LE MANI DELLA CAMORRA SULLE PIZZERIE DI ROMA
Novanta ordinanze di custodia cautelare tra Napoli, Roma e la Toscana. Sequestrati beni per oltre 250 milioni. Così la camorra gestiva bar, ristoranti e pizzerie romane. E per la vicenda delle partite truccate dai clan è indagato anche l’ex capitano della Roma, Giuseppe Giannini.
Per i cultori dei misteri criminali romani c’è la suggestione del luogo: una delle pizzerie sospettate di essere patrimonio occulto della camorra è in piazza Sant’Apollinare, di fronte alla basilica dov’era sepolto Enrico De Pedis, il boss della banda della Magliana. Ma naturalmente è solo una coincidenza, scherzi degli intrecci fra toponomastica e storie di malavita. Non lo sono invece — a leggere le carte dell’accusa — gli investimenti del clan Contini nella capitale, utilizzati per riciclare denaro e guadagnarne altro, attraverso piatti tipici della cucina napoletana e locali dai nomi di immediato richiamo: Pizza Ciro , Pummarola & Drink , Zio Ciro Mangianapoli , Il Pizzicotto , Jamm ja , La Pastarella . Quasi tutti nel centro storico di Roma, tra il Pantheon e i palazzi del potere.
C’è la trattoria in via della Mercede dove mangiava spesso Romano Prodi, che aveva casa proprio lì accanto; c’è un ristorante famoso di corso Rinascimento, a due passi dal Senato; un’osteria in via della Vite che piace alla gente di spettacolo. Tutti da ieri sotto sequestro, anche se resteranno aperti e, anzi, gli avventori saranno pure più garantiti perché i carabinieri che hanno eseguito i provvedimenti hanno già fatto intervenire gli specialisti dei Nas per controllare le condizioni igieniche. Ma non potranno più funzionare da cassaforte della camorra, se l’indagine della Procura antimafia di Roma e dei carabinieri del Reparto operativo sarà confermata nei prossimi gradi di giudizio. Per adesso la sezione misure di prevenzione del tribunale ha accolto la richiesta di sequestro di beni mobili e immobili per un valore stimato in oltre 250 milioni di euro; la più imponente operazione di questo genere mai avvenuta nella capitale. Confermando la tesi sostenuta dai pubblici ministeri in questa sorta di pizza connection in salsa campana: le attività commerciali facenti capo alla famiglia Righi, tre fratelli inquisiti a Napoli per concorso esterno in associazione camorristica che — sostiene l’accusa — a Roma gestivano più di venti esercizi commerciali anche per conto del clan Contini. Guidato da Edoardo Contini, detto O’ romano , rinchiuso al «carcere duro» dal 2007, quando la Squadra mobile di Napoli mise fine alla sua latitanza.
I rapporti dei Righi con il crimine campano risalgono agli anni Ottanta, quando un paio di fratelli furono coinvolti in un sequestro di persona organizzato dai camorristi della Nuova Famiglia, i rivali di Raffaele Cutolo. Poi nei Novanta sbarcarono a Roma, esportando l’attività di ristorazione già avviata a Napoli. Che secondo l’indagine dei carabinieri del comando provinciale s’è via via alimentata con i soldi del clan Contini, investiti tra pizzerie e ristoranti. Dopodiché i proventi ricavati sfornando pizze e altre specialità campane erano veicolati su due distinte contabilità: una ufficiale, che faceva capo alle società intestatarie delle quote di proprietà; l’altra sommersa, dove finivano gli incassi «in nero», mai fatturati, dai quali venivano periodicamente stornate cifre sostanziose, per decine di migliaia di euro, impacchettate e spedite a Napoli attraverso appositi e fidati corrieri, dove venivano consegnate a uomini del clan.
Per sfuggire ai controlli fiscali, le varie società venivano prima intestate a prestanome nullatenenti o quasi, poi svuotate del loro contenuto e fatte fallire, con le attività trasferite a nuove società. Le quali restavano in vita per brevi periodi, prima di subire la stessa sorte delle precedenti. Un meccanismo efficace, che presumibilmente si avvaleva della consulenza legale di un viceprefetto in servizio al ministero, ora indagato per associazione a delinquere aggravata dal favoreggiamento della camorra. Studiato per «rendere difficilmente accertabile l’origine del denaro e difficilmente tracciabile la effettiva riferibilità della proprietà di beni ed imprese», sostengono i pubblici ministeri. Che garantiva l’accumulo di «smisurate quantità di denaro contante»; l’analisi dei flussi sui conti correnti ha infatti accertato che «in molti casi i versamenti in contanti superavano addirittura l’importo complessivo dei ricavi della società per il medesimo periodo».
Tutto, o quasi tutto, grazie alle pizzerie di cui a Napoli si parlava spesso, tra camorristi. L’ha detto, tra i tanti, il boss Giuseppe Misso,all’anagrafe Missi, detto ‘O nasone , in un interrogatorio da aspirante pentito del 2011: «Nel corso della mia carcerazione avevo saputo, anche con particolari “piccanti”, che Edoardo Contini detto ‘O romano aveva un fortissimo rapporto con i fratelli Righi in generale, ma più in particolare ancora con Salvatore, da considerarsi la vera mente della famiglia in questione. In sintesi posso dirle che i Righi sono una delle casseforti del clan Contini, anche se gli stessi Righi riciclano anche i soldi dei Mallardo e dei Moccia».
Il particolare piccante era un legame sentimentale tra Edoardo Contini e un’attrice molto nota, risalente al 1990, presentata a ‘O romano proprio da uno dei Righi. «Da quella presentazione era nata una relazione tra il capo camorra e l’attrice», ha raccontato Misso, che sugli «affari di famiglia» raccolse le confidenze di un altro camorrista e di un gioielliere napoletano, «molto addentro nelle questione economiche e negli investimenti dei clan». Ha raccontato ‘O nasone: «Ciascuno indipendentemente dall’altro, e in diverse circostanze, mi dissero che i Righi gestivano ed investivano in ristoranti, sia a Napoli ma poi soprattutto a Roma, i proventi delle attività illecite del clan Contini».