Riccardo Romani, Vanity Fair 22/1/2014, 22 gennaio 2014
ORA CHE NON HO PIU’ BILL
«Lei è Monica e viene dalla California».
Monica Lewinsky nata in California non è il dato che si andava a cercare dentro le migliaia di biografie prodotte sul suo conto. Eppure me la presenta così un amico comune a West London, una sera di gennaio.
Il luogo è un club privato di quelli dove ogni tanto attracca Hugh Grant o magari trovi Bono che si mangia un’insalata. Azzardati a usare lo smartphone per una foto e sei da rosso diretto.
Monica Lewinsky mi sorride con cautela, non dico che lavoro faccio. La stretta di mano è lieve, gli occhi azzurri quelli di un’adolescente. Però ormai ha compiuto 40 anni, anche se l’espressione sul volto è di chi ci è arrivata senza passare dai venti.
Parliamo un po’ di New York, lo facciamo con lo stile controllato di chi non vuole parlare di niente, acrobati tra le preposizioni. Per un po’ abbiamo vissuto nello stesso quartiere. Dice: «Hai presente il Grey Dog? Era il mio caffè preferito ogni mattina, su Carmine Street».
Lo conosco quel posto solo perché ci andava lei al tempo dello scandalo, quando era la stagista ex amante del presidente Clinton: indossava occhiali scuri ed enormi di paura, era sempre da sola, reclusa dentro a una vergogna ingiusta. «Io andavo da Angelique, su Bleecker Street», rispondo.
È sola anche qui a Londra, dove trascorre parecchio tempo da quando ha preso il Master in Psicologia alla London School of Economics. Ci vive all’insaputa di se stessa, con un talento da illusionista.
Sono passati quasi vent’anni da quella storia, e da allora abbiamo assorbito ogni genere di torrida bruttura. Osservo Monica Lewinsky ora vicino a me e vorrei vedere il sollievo degli scampati. Invece non riesco a evocare altro se non quel vestito blu macchiato, la pizza mangiata di sera tardi, il presidente degli Stati Uniti d’America che va a pezzi. E quel mio pensiero è la prigione di alta sicurezza in cui Monica vive ancora adesso.
Al tavolo si parla dei Reali, qualcuno scommette sulla prossima gravidanza di Kate Middleton che Monica conosce, è anche amica del fratello, James. Si apre in un sorriso più ampio. «La principessa è una delle donne più eleganti che abbia mai conosciuto. Una persona speciale».
So che ha pochissimi amici, esce al massimo per cene a casa di qualcuno. Case bellissime come quella della miliardaria
Heather Kerzner o della principessa Beatrice. Esistenze rarefatte, frequentazioni ideali per chi come Monica non ha ancora ritrovato le chiavi per rientrare nella realtà.
La conversazione – rassicurante – si sposta sulla qualità della tv, il confronto tra Stati Uniti e Gran Bretagna, ciascuno a difendere la propria bandiera. Sul tavolo accanto possiamo tutti vedere un giornale con la notizia del giorno, Julie Gayet incinta di François Hollande. Potrei chiedere un parere. Oppure lasciare il tavolo. Sarebbe la stessa cosa.
Monica non ha rughe e rifletto sul fatto che al tempo degli «eventi» aveva appena 22 anni ed era perdutamente innamorata. Lo era disperatamente, come poi nella vita non ti riesce più.
Un istinto rozzo mi spinge a immaginare che senza di lei non ci sarebbe stato Bush e neppure l’Afghanistan, forse ci saremmo risparmiati anche Iraq e crisi economica. Mi sento in colpa. Ma penso che quell’idea l’abbiano avuta un miliardo di persone. Che poi è un’atroce responsabilità per chiunque, figuriamoci per una ventenne col cuore spezzato.
Non rilascia più interviste, Monica. Me lo dice l’amico, forse per prevenire richieste inopportune. L’ultima volta in Tv, qualche anno fa, disse di non aver mai perdonato Bill per quella frase su di loro – «Una storia che fu solo un abuso di potere». Per Monica fu una relazione e punto. Ora è tutto sepolto sotto una lapide di rancore, di quelle usate per gli amori che non si estinguono mai. «Ha detto no anche a Time», rivela l’amico, e Monica accenna un sorriso stretto. Time che l’aveva inserita tra le amanti fatali più influenti della storia, accanto a Marilyn e Anna Bolena. A lei è toccato il destino peggiore. Nella tragedia almeno si ha diritto d’accesso al mito, lei invece si colloca nel volgare immaginario popolare.
I saluti sono svelti, senza trasporto, come se di colpo Monica sentisse il peso di troppe attenzioni. Si alza per andarsene, indossa un ampio abito nero, si sposta su certi rumorosi stivali da cow-boy. Da mesi una voce parla di un’offerta milionaria per un libro di memorie nel quale Monica Lewinsky sarebbe pronta a pubblicare certe lettere appassionate del suo Bill.
La Monica che ho conosciuto io brevemente questa sera non lo farebbe mai. Quelle lettere sono la sua unica via di scampo.