Stefano Salis, Il Sole 24 Ore 19/1/2014, 19 gennaio 2014
LA VITA IN ROSA (SHOCKING) DI ELSA
Ci sono molti modi di diventare immortali e degni di essere ricordati. Per un artista la via obbligata è quella di produrre qualcosa (un’opera letteraria, filosofica, una scultura, un dipinto, una musica, un’architettura...) che non sia mai stata fatta prima, che sia originale e "unica"; per uno scienziato sarà scoprire, o produrre, qualcosa di nuovo e "definitivo" (un’equazione, un vaccino per una malattia, un’isola mai repertoriata nelle carte). E per chi ha scelto come arte quella di creare degli abiti? Certo, si passa anche qui attraverso la realizzazione di vestiti memorabili, unici, originali. Ma non basta: si diventa – così solo facendo, e sarebbe già tanto, per carità – degli ottimi stilisti (come ottimi scrittori o musicisti o pittori), ma non si varca il fatidico muro del tempo proprio.
Elsa Schiaparelli (1890-1973) ha escogitato diversi modi per farsi immortale. E, man mano che la sua dilagante personalità si va riscoprendo – ma i cultori non l’avevano mai dimenticata o messa in discussione –, la sua "opera" diviene sempre più significativa, si arricchisce di dettagli, fa vedere in quali modi sottili è stata capace di arrivare al futuro. A dispetto, per esempio, di quella che fu – durante gli anni più belli della loro vita – la sua più acerrima rivale, la più universalmente nota Coco Chanel. Avevano diversità e affinità, come sempre accade ai titani di una disciplina che la dominano e infine arrivano allo scontro. E se Coco era di famiglia povera, Elsa, al contrario, la ricchezza e l’agiatezza l’aveva conosciuta dalla nascita, avvenuta a Palazzo Corsini, a Roma, nel 1890. Non le bastò, comunque, la ricchezza, per farla sentire tranquilla. Tuttaltro. Ribelli e anticonformiste, in lotta per dare alla donna un ruolo più dignitoso di quello che aveva fino a quel momento (attraverso la moda, sì): in questo Chanel e «Schiap» (così era nota nel tout Paris, sua terra d’elezione, la stilista italiana), si assomigliarono.
Galeotto fu il libro, per Elsa. Suo padre, Celestino, orientalista e direttore della biblioteca dei Lincei, mal sopportò la pubblicazione (non lo lesse mai) di un libello di poesie di Elsa, Arethusa (difficilissimo da recuperare in antiquariato, mesi che lo cerco, ne ha una copia la Nazionale Centrale di Firenze): edito nel 1911 (ma pare iniziato nel 1904), pubblicato dal milanese Quintieri con la sigla La Gutenberg, sotto gli auspici dello zio di Elsa, quel Giovanni Virgilio Schiaparelli, l’astronomo di "canali" di Marte, che aveva intuito e supportato gli estri di Elsa. In seguito al libro, sensuale, erotico, "sconveniente", insomma, finì dritta in convento (come Coco) e da lì emigrò, per sfuggire al suo destino, aristocratico o borghese, e crearsene uno nuovo: fatto di arte, di moda, di glamour, ma anche di povertà, di duro lavoro, di avventure.
La biografia di Elsa è una girandola di emozioni, colpi di scena, talento, fortuna, occasioni mancate ma molte di più prese al volo, destini riacciuffati all’ultimo momento. È, la sua vita, una trama tessuta filo per filo con originalità e novità: e questo è uno dei modi, al pari delle creazioni sartoriali che l’hanno resa celebre, con i quali ha saputo farsi immortale. Ma non solo. Se pensate che Elsa, in più, ha letteralmente regalato al mondo un colore, il «rosa shocking» – un rosa intenso e non diluito, come lei stessa lo definiva, originariamente proposto per un profumo, che fece vedere la vie en rose a tutti molto prima della Piaf. Non avete presente che colore sia? Forse però avete presente Marilyn Monroe nella scena più celebre di Gli uomini prefersicono le bionde (1953). Mentre canta che i diamanti sono i migliori amici delle ragazze, è inguainata in un abitino di colore rosa shocking. E Madonna, che le farà il verso decenni dopo, indosserà lo stesso rosa, e così via: giusto per dire cosa accade quando si inventa qualcosa capace di rimanere nell’immaginario.
Shocking life è anche (poteva essere altro?) il titolo della biografia della Schiaparelli, edita nel 1954 (in Italia l’ha riproposta Alet, qualche anno fa: esaurita), l’anno della bancarotta della casa di moda che dominò gli anni Trenta.
Non basta ancora. Perché la «rivoluzione nella moda» di Elsa Schiaparelli passò sì attraverso i mirabolanti vestiti (da quelli trompe l’oeil con i quali iniziò, alle collezioni zodiacali che fecero impazzire le dive del cinema), su misura o pronti ad indossare (tra l’altro lanciò la cerniera lampo nell’alta moda), passò anche attraverso l’invenzione della sfilata, ma si consolidò, soprattutto, con la collaborazione con gli artisti, il gruppo dei surrealisti in particolare, dei quali fu amica prima che collaboratrice. La sua vita è piena di incontri con Salvador Dalì, Picabia, Man Ray, Duchamp e così via, in un vortice di trasferimenti, tra Parigi e New York, nei quali la vita stessa diventava una forma d’arte (surreale) da interpretare alla perfezione, sciagure e vette, tutto compreso. Con Dalì la collaborazione toccò vertici eccelsi. Pensate al cappellino a forma di scarpa che lui disegnò e lei produsse (scarpa nera, suola rossa nei disegni originali, vi ricorda qualcosa recente?) o al fantastico abito con aragosta, del 1936, che è protagonista di una delle sequenze di moda più importanti di sempre. Dico delle foto che ritraggono, indossato magnificamente, quell’abito bianco, di organza, con disegnata un’enorme aragosta in mezzo (pare che Dalì volesse guarnire l’abito con maionese vera per il tocco finale, Elsa si oppose: va bene il surrealismo, ma le fesserie son fesserie) Wallis Simpson, la donna per la quale un uomo ha rinunciato nientemeno che al trono di Inghilterra. Lei, Wallis, tra i rami di pesco in fiore, è al castello di Candé: foto di "fidanzamento" con il duca di Windsor. Scatta Cecil Beaton (!) per «Vogue».
Capirete perché, in una tale, eccezionale messe di avvenimenti, storie, vicende personali e collettive, oggetti d’arte e d’uso comune, l’asta che verrà battuta da Christie’s giovedì a Parigi assume un’importanza unica. Si tratta della collezione personale di Elsa, messa in vendita dagli eredi, la nipote, la bellissima top model e attrice Marisa Berenson (figlia di Gogo, che Elsa ebbe dal duca Wilhelm de Wendt de Kerlor, conosciuto e sposato in men che non si dica, salvo essere poi abbandonata, lei e figlia, per un’avventura del duca con Isadora Duncan – altra storia di quelle...). Si tratta, cioè, di 180 lotti, che testimoniano gli oggetti ai quali Elsa in persona era più affezionata e ci fanno entrare nel suo universo privato. Ovvio, ci sono vestiti e accessori (guanti, cappellini, stole) ma, soprattutto, ci sono i pezzi che accompagnavano la sua vita di tutti i giorni nelle case di Parigi: dalle opere d’arte alle voliere di legno, dai paraventi alle fotografie che amici artisti come Horst o Man Ray le avevano scattato, alle decorazioni di Vertès, agli arazzi, alle cineserie. E se il pezzo più ambìto è una lampada da terra di Alberto Giacometti, realizzata in bronzo nel 1936 con una testa di donna scolpita nel mezzo (60-80 mila euro), il vestito più costoso è un pezzo della collezione «Astrologie» (25-30 mila euro; uno uguale lo aveva indossato Marlene Dietrich), mentre con le fotografie di Man Ray si parte da 10 mila, ci sono anche oggetti decisamente più abbordabili: che so, il divano in stile impero a seduta doppia foderato in rosa (ma non shocking) che quota intorno agli 800 euro di partenza (è piuttosto malandato), le tuniche di Hammamet (dove Elsa si costruì una casa) che influenzarono alcune sue creazioni (mille euro), alle scatole di talco del profumo di Elsa, o un acquerello (500 euro) regalatole dal siciliano nobile Fulco di Verdura (che a Coco Chanel disegnò il braccialetto che portava sempre: personaggio che meriterebbe un romanzo...). L’intera asta dovrebbe arrivare sugli 800 mila euro, ma stavolta non è il valore economico quello che più conta. È il valore di una donna-simbolo, capace di dare il suo gusto alla sua epoca e di influenzare le successive. È il valore di una donna, un talento italiano che non solo non è tramontato ma che, anzi, si sta prendendo rivincite col tempo. Dalla mostra che nel 2003 le dedicò Philadelphia (catalogo strepitoso), a quella del Metropolitan, in un "dialogo impossibile" con Miuccia Prada, alla rinnovata maison che viene rilanciata ora sul mercato riportando sulle scene quel cognome, quella firma così iconica, quel rosa con il quale Elsa si è identificata (e con il quale, in un abito di quel colore, è sepolta). A loro la sfida di essere all’altezza di cotanto, immortale, passato.