Lucio Spaziante, l’Unità 21/1/2014, 21 gennaio 2014
LENIN GOODBYE?
A 90 ANNI DALLA MORTE DI LENIN, AVVENUTA IL 21 GENNAIO 1924, QUALE PATRIMONIO RESTA DELLA SUA ICONA, CHE DA SOLA FINO A NON MOLTISSIMI ANNI FA RAPPRESENTAVA UN SIGNIFICATIVO PATRIMONIO POLITICO E CULTURALE? Mentre nella nostra più stretta contemporaneità ci siamo abituati a vedere icone e miti, da Gandhi a Marilyn Monroe a John Lennon, diventare oggetti di scambio che trasmigrano con facilità dalle t-shirt agli spot pubblicitari, che ne è dell’effigie di Vladimir Il’ic Ul’janov? La questione a suo modo non può essere separata dal fatto che Lenin almeno per alcuni aspetti (c’è chi direbbe molti, chi pochi) abbia rappresentato «il» comunismo nella sua incarnazione più vivida. Si potrebbe ricordare quando nel 1933 Diego Rivera collocò l’immagine di Lenin all’interno di un murale commissionatogli per il Rockefeller Center di New York. Scelta che portò di lì a poco all’abbattimento di quel muro, dato che per la cultura americana capitalista dell’epoca, per quanto di ampie vedute, una simile presenza non era tollerabile.
Problemi di iconoclastia opposti ma non dissimili stanno attraversando anche l’Ucraina in rivolta nei mesi recenti: i militanti di partiti nazionalisti e di destra come Sloboda (Libertà) più volte, nello scorso febbraio e poi di nuovo a dicembre, si sono resi protagonisti di azioni di abbattimento e distruzione di statue di Lenin, tuttora molto presenti nei paesi dell’ex blocco sovietico. A questo riguardo non si può non ricordare la sequenza di un film tedesco tra i migliori degli ultimi anni, dal titolo significativo: Goodbye Lenin. Nella vicenda, ambientata nella ex Germania Est, la protagonista femminile va in coma durante la caduta del Muro, e per non turbarla le si nascondono gli sconvolgimenti storici sopravvenuti. Ma lei insospettita esce di casa mentre un elicottero trasporta, impietosamente agganciata a un cavo, la statua di Lenin nell’atto della sua rimozione.
L’icona di Lenin dunque ha un peso difficile da essere portato o sopportato. Ne sa qualcosa anche il governo di Putin il quale nonostante da anni abbia annunciato lo spostamento della salma dal mausoleo della Piazza Rossa, evidentemente non ha ancora trovato il momento buono per portarla a termine. Allo stesso tempo invece nel comune di Cavriago, provincia di Reggio Emilia. Il busto
Di Lenin è ancora saldamente al centro dell’omonima piazza, in memoria di un’antica tradizione che lo lega alla rivoluzione sovietica.
L’icona di Lenin ha assunto valori e connotazioni nel tempo molto più limitate e ristrette, se si vuole, rispetto all’universale mito libertario di Che Guevara che rinvenibile in forma di tatuaggio sul corpo di Mike Tyson così come su quello di Maradona.
Lenin ha però vissuto una meno prevedibile vicinanza con la cultura punk, con la quale c’è da dubitare egli avrebbe avuto una particolare affinità. Ricordiamo, ancora in terra emiliana, che nel 1987 il gruppo dei Cccp – Fedeli alla linea, allora autodefinitisi con un misto di fascinazione e provocazione «gruppo punk filosovietico», avevano in repertorio un brano, Manifesto, che recitava così: «I soviet più l’elettricità non fanno il comunismo», invertendo la citazione di Lenin, «Il socialismo è il potere sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese». Da allora il tempo è passato più veloce di quanto dicano gli anni; il punk ha mutato forme e di filosovietico (non solo nel punk) rimane poco, anzi.
Se prendiamo il caso attuale delle Pussy Riot, vediamo un gruppo, o forse un movimento o un collettivo, che ha molto del punk, forse nei suoi stessi caratteri mutanti e poco ortodossi. Nelle loro azioni di provocazione spettacolare che hanno sfidato il regime di Putin e la Chiesa ortodossa, e che le hanno condotte alla detenzione fino alla recente amnistia, costoro hanno citato Lenin come possibile eredità positiva e femminista (!) da contrapporre invece a quella di Stalin. Il linguaggio delle Pussy Riot non è certo quello dell’analisi politica circostanziata, bensì quello del pop, per loro stessa ammissione, ed è dunque questo ciò che rimane più interessante. Un dialogo interno alla cultura russa contemporanea con un’eredità poco più che iconica lasciata da Lenin. Ma se è di puri segni iconici che si parla, allora in ultimo va ricordato il lavoro di contagio operato da Banksy, star internazionale dei graffiti: Lenin raffigurato in giacca e cravatta sui rollerblades, e poi Lenin-punk con capelli a cresta e orecchino. Spiegare ovvero interpretare le opere di Banksy sarebbe forse inutile: il soggetto parla da sé e ci dice, più di altri, cosa rimane oggi dell’icona Lenin.