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 2014  gennaio 22 Mercoledì calendario

ANDARCENE DALL’AFGHANISTAN CI COSTA 100 MILIONI


Costerà circa 100 milioni di euro il retrograde (in gergo ritiro di uomini, materiali e mezzi) dall’Afghanistan nel corso di questo 2014. Il dato, che arriva dalla Difesa, fa capire come, da quel 20 dicembre 2001, in cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite costituì l’Isaf (International security assistance force), le cose siano davvero cambiate. Insomma, è vero, si torna a casa, ma non del tutto. Perché lo hanno ribadito più volte sia il ministro della Difesa, Mario Mauro, che il vice presidente del Consiglio Angelino Alfano, durante le loro recenti visite a Camp Arena (Herat), sede del nostro contingente: «La missione non finisce col 2014».
Dei 2.100 militari italiani ad oggi presenti (su 57mila della coalizione internazionale), ne rimarranno, a fine anno, tra gli 800 e i 1.000. Quali compiti avranno è da definire. Saranno le Nazioni Unite a stabilire il loro compito. Si parla dell’accentramento in 4, forse 5 grosse basi gestite dagli americani, in una missione successiva, diversa da quella Isaf, forse più concentrata al supporto in termini di training, advising e assisting. Certo è che sulla base delle decisioni dei vertici verranno attagliate le forze per i vari compiti. Ma non è ancora certo se la base di Herat rimarrà. La transition, ovvero il passaggio del controllo del territorio dalle forze di sicurezza della coalizione internazionale (che allo stato attuale conta 49 Paesi) alle Ansf (le Afghan national security forces, ovvero le forze di sicurezza afghane) è stata del tutto completata, tanto che quasi tutte le fob (basi avanzate) italiane sono state chiuse. Rimane solo Shindand, avamposto in cui l’Aeronautica militare italiana ha insegnato ai piloti afghani a volare su elicotteri, C-130 e piccoli aerei. Ma nei prossimi giorni anche fob La Marmora chiuderà e il personale sarà ricollocato a Herat.
Ogni tipo di materiale tattico o sensibile sarà portato via, rimarranno invece tutte le strutture esterne e gli arredamenti, che potranno essere utilizzati dalle forze di sicurezza afghane. La riduzione del contingente italiano, comunque, avverrà in modo graduale, anche in base agli accordi di Chicago del 2012. Militarmente si parla di retrograde, ovvero operazione di ripiegamento. Per il trasporto dei materiali verso l’Italia, il ministero della Difesa, mediante una gara, ha appaltato un servizio di «navette» tramite Iliushyn, aerei russi (con pilioti e personale russo), molto simili ai famosi Antonov. Questi mezzi, datati quarant’anni, già stanno provvedendo, con turni di due viaggi al giorno, per 2-3 volte a settimana (a seconda delle condizioni meteorologiche) a caricare materiali di ogni tipo verso gli Emirati Arabi, dove rimarranno stoccati in una staging area (area di deposito) fino all’arrivo delle navi mercantili, di solito portacontainer, che li caricheranno per portarli verso l’Italia, ovvero i porti di Civitavecchia, Monfalcone o altri e da dove poi saranno inviati alle rispettive destinazioni. Tutti i mezzi e materiali saranno ricollocati in Patria per l’utilizzo nei vari reggimenti e, comunque, a uso della Difesa.
Il bilancio della missione Isaf, secondo quanto spiegato a Camp Arena, è sicuramente positivo. Molto è cambiato, sia in termini di tranquillità, sia in termini di sviluppo, anche se gli insurgents ancora continuano, ogni tanto, a far sentire forte la loro presenza. Un bilancio, si dice, positivo nonostante i 53 morti italiani che ancora pesano sulla coscienza della nostra Nazione e su quelle della comunità internazionale. L’Italia, in termini di aiuti, ha dato tanto all’Afghanistan. «Dal 2005 a fine 2012 - spiega il comandante del Prt (il Provincial recostruction team italiano), colonnello Aldo Grasso - la sola Difesa ha investito nell’area di competenza del contingente italiano 42.376.899 euro. Di questi la maggior parte nei settori dell’educazione (11.547.651,54 euro ovvero il 27,2%), di strade e trasporti (6.264.931,26 euro ovvero il 14,78%) e della salute pubblica (6.019.486 euro pari al 14.205%). Nel corso del 2013 la Difesa ha stanziato 4.030.000 euro di fondi da destinare a progetti, alcuni dei quali ancora in corso».
Tra le opere portate avanti dal Prt, che allo stato attuale conta 15 persone ed è l’ultimo, tra quelli della coalizione internazionale, ad essere chiuso, anche la realizzazione di una biblioteca a Herat, l’illuminazione pubblica in alcune località, infrastrutture tra cui scuole (11 solo nell’ultimo periodo realizzate ex novo, ma nel distretto di Herat, delle circa 900 presenti il 10% è stato realizzato dagli italiani), distretti di polizia, un ospedale per tossicodipendenti, una prigione scuola e un distretto di polizia. Il Prt italiano chiuderà il prossimo 31 marzo.
Ma in Afghanistan continueranno ad arrivare i soldi del ministero degli Esteri, elargiti attraverso la Cooperazione internazionale, che finora sono stati 4 volte superiori a quelli stanziati dalla Difesa. Insomma, nonostante il retrograde, che qualcuno già chiama «finto ritiro», il Paese degli aquiloni continuerà a beneficiare degli aiuti italiani. Che l’opinione pubblica sia d’accordo, oppure no.