Andrea Malaguti, La Stampa 22/1/2014, 22 gennaio 2014
MILIONARIA, MA DI DEBITI NAPOLI IN DISSESTO TRA TASSE E IMMONDIZIA
«Munastero ‘e Santa Chiara tengo ‘o core scuro scuro, ma pecché, pecché ogni sera, penzo a Napule com’era, penso a Napule com’è». Quanto è scuro il cuore di Napoli ai tempi del Re Sole Luigi De Magistris, detto Egogistris, sindaco del posto più bello e più brutto del mondo, monarca traballante di una città sull’orlo del collasso economico e forse già abbondantemente oltre, dopo che la Corte dei Conti ha bocciato il piano decennale di riequilibrio finanziario del Comune, sancendone, di fatto, il dissesto?
Che fine ha fatto la rivoluzione arancione dell’uomo atteso come il Messia - il magistrato, l’innovatore, il profeta («Una specie di Grillo nostrano», dice amaro lo scrittore Maurizio de Giovanni) - che oggi, a due anni e mezzo dalla sua elezione, riscuote il consenso di un cittadino su due, ha avvicendato otto dei dieci compagni di viaggio che aveva scelto per gestire la metropoli da Palazzo San Giacomo ed è costretto ad appellarsi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per non vedere il suo regno ridotto in macerie? E quanto è distante la fine di tutto?
«Se vuole sapere come stiamo glielo dico io: stiamo come questi cortili». Renato Nunziatelli, guida abusiva, le mani gonfie e tozze di un idraulico di mezza età, si limita a dire «Mi segua». Via Benedetto Croce, spaccanapoli, complesso conventuale di Santa Chiara, capolavoro voluto da Roberto D’Angiò, a poche decine di metri dalla piazza dove si fermano i pullman turistici. Le mura della basilica sono lorde di vernice azzurra e di scritte nere da innamorati di serie B. Tre scalini di fianco alla chiesa portano a due cortiletti contrapposti. Uno è chiuso da un cancello. Dentro lattine. Sacchetti. Spazzatura abbandonata nella discarica più prestigiosa della via lattea. Il puzzo d’orina è insopportabile, lo stesso che, non molto più in là, invade l’aria di vicoletto San Pietro a Majella, alle spalle del conservatorio. Negozi di musica. Motociclisti senza casco. Ragazze che fumano nei bassi.
Il secondo cortiletto di Santa Chiara è un rifugio di oleandri. Bottiglie di vino. Resti di un dvd. Siringhe. Un uomo intabarrato esce da un cespuglio. Barcolla. Impreca. Se ne va. «E’ come lo zoo di Berlino. I tossici vengono a bucarsi qui». Benvenuti in città. Piove a ondate. L’acqua impregna i materassi appoggiati sui muri, schiaccia «la zella» - la piccola immondizia da selciato - sui sanpietrini, riempie i sacchetti appoggiati sui cassonetti. L’intera zona universitaria è patrimonio dell’Unesco. «Solo che l’Unesco vuole ritirare il patrocinio, perché qui rischia di andare in malora ogni cosa. «Sarebbe il primo caso nella storia», dice il giornalista del «Mattino» Pietro Treccagnoli.
Va da sé che tutto questo - come lo sintetizzi un quadro così complesso, un tessuto sociale tanto disomogeneo, slabbrato, fatto di povertà, di aristocrazia e di bellezza assoluta, che ti insegue dalla stazione centrale fino al Vomero confondendo Giordano Bruno e la camorra? - non può essere colpa di Luigi De Magistris. Più banalmente è la sanzione che nemmeno lui, Giggino Re Sole, era Dio. E forse neppure il migliore dei sindaci possibili.
L’economista Riccardo Realfonzo, che di De Magistris è stato assessore al bilancio - ed è uscito dal cerchio d’oro sbattendo la porta - dice che la Corte dei Conti non ha fatto altro che confermare una cosa che lui racconta da oltre un anno. «Il Comune è in dissesto». Che se Palazzo San Giacomo deve pagare 10.031 dipendenti con 423 milioni e altri 350 milioni servono per gli stipendi di 8427 assunti delle partecipate, è ovvio che non può venirne a capo. Che se su cento multe riesci a riscuoterne solo tre e che se non ti bastano tremila immobili di proprietà per chiudere il bilancio in attivo, allora è chiaro che salta il banco. «Era necessario riorganizzare la macchina. Ridurre il personale. Ridefinire le priorità. Invece abbiamo le tasse sui servizi più alte d’Italia». Perché? La risposta è feroce. «Perché De Magistris è un personaggio da operetta. Da bambino non gli hanno regalato il pallottoliere». Gli piacerebbe potersi limitare a buttare la sua storia con Re Sole nella scatola con l’etichetta «contrattempi». Non sarà così. Anche Roberto Fico, già candidato sindaco e oggi parlamentare del Movimento Cinque Stelle, infierisce sul primo cittadino. «E’ riuscito a fare la Coppa America di vela, ma un impianto di compostaggio, la vera priorità di Napoli, no. Si era presentato come il nuovo, ha finito per ricadere nei più vecchi e deteriori modelli della politica italiana. Poca trasparenza. Nessun coinvolgimento dei cittadini. Promesse mancate e la certezza di essere l’ombelico del mondo».
A Palazzo San Giacomo, intanto, De Magistris racconta che queste sono le ore più difficili da quando ha preso l’incarico. Ma giura che la città si rialzerà. Mentre i suoi collaboratori ricordano che due anni e mezzo fa per le strade c’erano 2500 tonnellate di rifiuti. Oggi non più. «Abbiamo gestito una città con un miliardo e mezzo di debiti senza licenziare nessuno. La verità è che abbiamo fatto un miracolo. Ma non possiamo farci carico noi del buco pregresso di bilancio. Cacciare tremila persone? Qualcuno lo chiede. Ma si creerebbe una tensione sociale incontrollabile. Non succederà». Magari sta qui una parte del problema. E in un piano di rientro che parlava di 850 milioni da ricavare da cessioni immobiliari senza dire quali. Alla Corte non è bastato.
A via Monteoliveto la Fontana di Carlo VI è ferita da una scritta «Forza Napoli». Gli sfregi architettonici sono ovunque, ma è a piazza Bellini che il contrasto tra l’assurdo e il sublime tocca il suo apice. Una signora in carne, con un portamento leggero e senza pretese come quello di una bambina, indica l’interno delle mura greche. Una discarica tra i resti millenari. «Il sindaco non ha coinvolto le forze sane della città. Il mondo della cultura. Ma forse questo fallimento ci farà ripartire. Siamo piegati, non finiti. Napoli è immortale ed è bene che lo si sappia», conclude De Giovanni. Un ragazzo lascia cadere una bottiglia di birra. Il rumore di vetri in frantumi fa venire la pelle d’oca.