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 2014  gennaio 17 Venerdì calendario

IL LUNGO SONNO DI WALT DISNEY L’IMMORTALE

Il lungo sonno di Walt Disney l’immortale
Si dice che Walt Disney dorma un sonno senza sogni, vetri­fi­cato in un sar­co­fago di scin­til­lante ghiac­cio ed acciaio custo­dito sotto l’attrazione Pirati dei caraibi nel suo regno incan­tato, Disney­land, in attesa del risve­glio. Que­sta leg­genda metro­po­li­tana, nata nei mesi suc­ces­sivi al decesso ed ancora vivis­sima, trova le sue ascen­denze sim­bo­lico tec­no­lo­gi­che nella fil­mo­lo­gia di Disney e nella filo­so­fia cui la sua atti­vità arti­stica e la sua stessa vita si sono ispi­rate. Pro­viamo allora a rico­struire le tracce di que­sta sua ultima, estrema favola, dell’avventura forse con­di­visa con due dei suoi per­so­naggi più famosi che, come lui, hanno attra­ver­sato il tempo della vita sospesa.

I fra­telli Grimm
Alla fine del 1812 usciva il primo volume delle Kin­der und Hau­smär­chen, le Fiabe dei fra­telli Jakob e Wilhelm Grimm. Nel 1815 vedeva la luce il secondo volume e nel 1822 il terzo che com­prende un ampio com­mento alle fiabe rac­colte, opera delle ricer­che di Wilhelm. La fiaba Bian­ca­neve è con­te­nuta nel primo volume col numero 53. Secondo gli stessi Grimm, la sto­ria di Bian­ca­neve aveva diverse ver­sioni che dif­fe­ri­vano per il pro­filo dei pro­ta­go­ni­sti, ma non per l’ordine sim­bo­lico che essi rap­pre­sen­ta­vano. I fra­telli scel­sero i per­so­naggi a loro gusto: una prin­ci­pessa, Bian­ca­neve, un eroe, il Prin­cipe, un’antagonista, la Matri­gna cat­tiva, e degli aiu­tanti magici, i Sette Nani.
Secondo lo schema di Vla­di­mir Propp, infatti, con­te­nuto nel libro Mor­fo­lo­gia della fiaba, vediamo che l’importante è quello che fa il per­so­nag­gio, non chi è: se l’eroe è una donna, un uomo, o un orco, come nel caso dell’odierno Shrek, la sostanza fia­be­sca non cam­bia. A deter­mi­nare lo svol­gi­mento della trama è l’azione che l’eroe com­pie all’interno di uno schema di deter­mi­nanti sim­bo­li­che, non le sue carat­te­ri­sti­che fisiche.

La sim­bo­lo­gia di Biancaneve
In Bian­ca­neve que­ste sono evi­den­te­mente rac­chiuse nella cosid­detta «triade cro­ma­tica» che, carat­te­riz­zando il per­so­nag­gio della prin­ci­pessa sin dal suo con­ce­pi­mento, ne deter­mi­ne­ranno tutta l’esistenza sino alla morte appa­rente ed al risveglio.
Ecco come i Grimm descri­vono il desi­de­rio della madre e la nascita di Bian­ca­neve: «Una volta, nel cuor dell’inverno, men­tre i fioc­chi di neve cade­vano dal cielo come piume, una regina cuciva, seduta accanto a una fine­stra dalla cor­nice d’ebano. E così cucendo e alzando gli occhi per guar­dare la neve, si punse un dito, e cad­dero nella neve tre gocce di san­gue. Il rosso era così bello su quel can­dore, ch’ella pensò: Avessi una bam­bina bianca come la neve, rossa come il san­gue e dai capelli neri come il legno della fine­stra! Poco dopo diede alla luce una figlio­letta bianca come la neve, rossa come il san­gue e dai capelli neri come l’ebano; e la chia­ma­rono Biancaneve».
La «triade cro­ma­tica», bianco, rosso e nero, è una costante nel sim­bo­li­smo dei riti ini­zia­tici e si ritrova nella ritua­lità di molte tra­di­zioni eso­te­ri­che, a par­tire dall’alchimia in cui descrive i diversi pas­saggi dell’Opera, nigredo, albedo e rubedo: opera al nero, al bianco e al rosso, dove que­sto costi­tui­sce non solo il supe­ra­mento, ma la sin­tesi di bianco e nero. Nella Mas­so­ne­ria ogni fra­tello deve prima per­cor­rere il pavi­mento a scac­chi del Tem­pio per poi arri­vare al rosso, il colore emble­ma­tico del Grado dell’Arco Reale. Que­sta triade cro­ma­tica è dif­fusa in tutto il mondo; ne è un esem­pio il Kurma-Purana (I, 12.79) dove si parla di tre prin­ci­pii teo­go­nici: Krsna (di colore nero), Rakta (rosso) e Sukla (bianco). In Africa, gli Ndembu dello Zam­bia nar­rano di tre fiumi miste­riosi, bianco rosso e nero, asso­ciati a nascita, vita e morte. In Occi­dente la triade cro­ma­tica arcaica era comune nel medioevo in cui il colore inter­me­dio fra bianco e nero non era il gri­gio, ma pro­prio il rosso.
La pro­ta­go­ni­sta dell’omonimo film del 1937 incarna dun­que essa stessa la «triade cro­ma­tica» quando, col­pita infine dal male­fi­cio della Matri­gna cat­tiva, sem­bra morta. Ma sarà pro­prio mercé la per­ma­nenza della sua «triade cro­ma­tica» sul corpo esa­nime che i Sette Nani deci­de­ranno di non sep­pel­lirla, ma di met­terla in un sar­co­fago tra­spa­rente: «I nani, tor­nando a casa, tro­va­rono Bian­ca­neve che gia­ceva a terra, e non usciva respiro dalle sue lab­bra ed era morta. La sol­le­va­rono, cer­ca­rono se mai ci fosse qual­cosa di vele­noso, le slac­cia­rono le vesti, le pet­ti­na­rono i capelli, la lava­rono con acqua e vino, ma inu­til­mente: la cara bam­bina era morta e non si ride­stò. La misero su un cata­letto, la cir­con­da­rono tutti e sette e la pian­sero, la pian­sero per tre giorni. Poi vole­vano sot­ter­rarla; ma in viso, con le sue belle guance rosse, ella era ancora fre­sca, come se fosse viva. Dis­sero: non pos­siamo sep­pel­lirla den­tro la terra nera, e fecero fare una bara di cri­stallo, per­ché la si potesse vedere da ogni lato, ve la depo­sero e vi misero sopra il suo nome, a let­tere d’oro, e scris­sero che era figlia di re… Bian­ca­neve rimase molto, molto tempo nella bara, ma non impu­tridì: sem­brava che dor­misse, per­ché era bianca come la neve, rossa come il san­gue e nera come l’ebano».

La Bella addor­men­tata nel bosco
Un tema ana­logo, anche in que­sto caso incen­trato su un male­fi­cio che getta la pro­ta­go­ni­sta in un sonno pro­fondo, simile ad una morte non morte, lo ritro­viamo ne La Bella addor­men­tata nel bosco, fiaba anti­chis­sima se pen­siamo alla sto­ria di Bru­nilde, l’eroina addor­men­tata della Saga dei Vol­sun­ghi, o al roman di Per­ce­fo­rest del 1340, ambien­tato al tempo mitico della guerra di Troia. La ver­sione più nota, da cui Walt Disney trasse il suo lun­go­me­trag­gio del 1959, è invece quella pub­bli­cata ne I rac­conti di Mamma Oca di Char­les Per­rault, La Belle au bois dor­mant, a cui si deve il titolo odierno. Inte­res­sante notare che il titolo ori­gi­nale fran­cese, a dif­fe­renza di quelli in ita­liano ed inglese, parla non di una «bel­lezza addor­men­tata in un bosco» ma di una «bel­lezza in un bosco addor­men­tato». E dun­que, qui è un intero reame, un Mondo, che dorme in attesa del risve­glio. La prin­ci­pessa è cir­con­data sì da un’atmosfera oni­rica, sur­reale, ma anche da guar­diani magici che la pro­teg­gono impe­dendo a chiun­que l’entrata. Una ver­sione simile a quella di Per­rault si trova nei Kin­der und Hau­smär­chen dei fra­telli Grimm, col titolo Rosa­spina. La ver­sione dei Grimm cor­ri­sponde a quella di Per­rault solo fino al risve­glio della principessa.
In entrambe le fiabe, riprese con suc­cesso dai film disneiani, il momento clou è cer­ta­mente il risve­glio ad opera dell’Eroe. Bian­ca­neve viene “donata” dai Nani al prin­cipe ancora addor­men­tata e durante il tra­sporto un inciampo farà uscire il boc­cone di mela avve­le­nata dalla gola della ragazza, sve­glian­dola. Ne La Bella addor­men­tata sarà il magico bacio d’amore a scio­gliere l’incantesimo.

Il sonno profondo
Quanto dor­mono le nostre prin­ci­pesse? Natu­ral­mente un tempo che nulla ha a che vedere col kro­nos quan­ti­ta­tivo, ma si iden­ti­fica col Grande Tempo, il favo­loso tempo del mito. Cento anni nella Bella addor­men­tata, cifra sim­bo­lica del pas­sag­gio seco­lare, epo­cale, men­tre di Bian­ca­neve non sap­piamo, «molto molto tempo» dice la fiaba, dato che i suoi guar­diani, i Sette Nani, sono anch’essi esseri sovra­tem­po­rali, epi­goni dei mito­lo­gici Tel­chini di Rodi, esseri nani­formi abi­lis­simi nell’arte dei metalli, sco­pri­tori e custodi di immani tesori nasco­sti sotto le viscere della terra, assi­stenti di Efe­sto il fab­bro divino capace di costruire l’invisibile ma tenace rete che impri­gionò, per il diletto degli dei e la sua ver­go­gna, Marte ed Afro­dite sul loro letto di amanti.
I Tel­chini ave­vano fuso il fal­cetto con cui Crono aveva evi­rato Urano, deter­mi­nando così il pas­sag­gio da un evo all’altro, e fab­bri­cato il tri­dente di Posei­done con cui il dio domi­nava le forze marine ed il tempo degli uomini che si avven­tu­ra­vano sul vasto mare. Si avverte qui la rela­zione sim­bio­tica tra i Nani ed il tempo, sotto forma degli oggetti che ne ave­vano deter­mi­nato fasi e pas­saggi, ed anche della loro capa­cità di custo­dirne i tesori. Dor­mono dun­que per un tempo inde­ter­mi­nato ed inde­ter­mi­na­bile le due prin­ci­pesse, vegliate da forze ami­che, cir­con­date da pro­te­zioni a guar­dia del momento del loro risveglio.

La pro­spet­tiva dell’immortalità
Nel 1964, con l’approvazione scien­ti­fica di Isaac Asi­mov, esce in Ame­rica un libro desti­nato a fare scal­pore: La pro­spet­tiva dell’immortalità, di Robert Ettin­ger, in cui l’autore lan­cia una pro­spet­tiva avve­ni­ri­stica: la crio­ge­nesi, cioè il con­ge­la­mento dei corpi subito dopo la morte, in attesa che la scienza futura possa risve­gliarli avendo tro­vato una cura alla loro malat­tia. Negli anni Ses­santa la fede nella tec­no­lo­gia era asso­luta, anche per­ché gli immi­nenti viaggi inter­pla­ne­tari ave­vano già posto il pro­blema delle lun­ghe distanze da per­cor­rere in ani­ma­zione sospesa, o attra­verso la crea­zione dei cyborg, neo­lo­gi­smo for­mato dalle parole cyber­ne­tic e orga­nism, cioè orga­ni­smi umani poten­ziati ed inte­grati (ciber­ne­tici) con parti non bio­lo­gi­che al fine di resi­stere alle con­di­zioni estreme dello spa­zio profondo.
Gli ante­ce­denti fan­ta­scien­ti­fici sono molti, ma per Ettin­ger in par­ti­co­lare, vale il rac­conto di Neil R. Jones, The Jame­son Satel­lite, letto all’età di 12 anni sulla rivi­sta Ama­zing Sto­ries,in cui un certo Pro­fes­sor Jame­son viene inviato nello spa­zio e qui rimane con­ge­lato sino al risve­glio ad opera di una civiltà aliena. Ettin­ger fonda dun­que, a metà degli anni Ses­santa, la Crio­nics, società che si occupa di con­ser­vare in azoto liquido, vetri­fi­cati a tem­pe­ra­ture di –223 gradi, corpi di per­sone dece­dute. L’organizzazione vede come prima «cliente» spe­ri­men­tale la madre di Ettin­ger; poi, sino ad anni recenti, un cen­ti­naio di per­sone deci­dono di affron­tare la spesa del trat­ta­mento, circa 120 mila dol­lari, ed infine Ettin­ger stesso nel 2011.
Al momento le quo­ta­zioni dell’ibernazione umana post mor­tem (molto diversa da quella natu­rale di certi ani­mali) sem­brano non buone, e molte per­sone si «scio­glie­ranno» tra qual­che anno per­ché i soldi per man­te­nerli sotto zero sono finiti e la crisi morde anche le pro­spet­tive dell’immortalità. Solo la fan­ta­scienza fil­mica e nar­ra­tiva con­ti­nuano a sfor­nare con­ti­nui iber­nati, dal Dor­mi­glione di Woody Allen sino ai più moderni alieni del Pro­me­theus di Rid­ley Scott, men­tre la scienza attual­mente dispo­ni­bile si accon­tenta di ope­rare in ipotermia.
Per rac­co­gliere fondi, costi­tuire la società, e pro­muo­vere il movi­mento crio­nico, Ettin­ger aveva inviato circa 200 let­tere mirate ai più impor­tanti uomini degli USA, illu­strando loro i van­taggi dell’operazione. Tra i desti­na­tari di que­ste let­tere vi era anche Walt Disney.

La morte di Disney
La let­tera arriva in un momento molto par­ti­co­lare per la vita dell’autore di Bian­ca­neve e la Bella addor­men­tata. La sua salute si è dete­rio­rata, tanto che decide ad entrare al St. Joseph Hospi­tal a poca distanza dai suoi stu­dios, il 2 novem­bre 1966. Durante gli accer­ta­menti per dolori al collo ed a una gamba, i medici dia­gno­sti­cano un tumore al pol­mone sini­stro e con­si­gliano un inter­vento chi­rur­gico imme­diato, che ha luogo il 7 novem­bre; ma l’esito della biop­sia ai lin­fo­nodi è infau­sto: Disney ha solo pochi giorni di vita; muore la mat­tina del 15 dicem­bre 1966.
Nei mesi suc­ces­sivi si dif­fonde insi­sten­te­mente la voce che lo vuole iber­nato, seguendo la tec­nica pro­po­sta da Ettin­ger, a Disney­land, e più pre­ci­sa­mente sotto il clas­sico Pirati dei caraibi, attra­zione tra le prime ad essere atti­vata quando il fatato Mondo di Disney viene fon­dato nel 1955. Se si con­si­dera che la prima «sospen­sione crio­nica» uffi­ciale ha avuto luogo appena un mese dopo la sua morte — James Bed­ford, uno psi­co­logo di 73 anni il 12 gen­naio 1967 — non era affatto inve­ro­si­mile imma­gi­nare che Disney avrebbe pre­corso i tempi.
Ed i tempi di Disney sono anche quelli da lui vis­suti non solo nel rispetto delle favole, ma anche di altre e più docu­men­tate pra­ti­che tra­di­zio­nali. Per quanto con­cerne quest’ultimo aspetto, dob­biamo ricor­dare che Disney era molto pro­ba­bil­mente un mas­sone. Inscritto sin da gio­vane all’Ordine De Molay, con­si­de­rato l’anticamera della Mas­so­ne­ria per i gio­vani dai 12 ai 20 anni, mai smentì in seguito l’appartenenza al Tem­pio. Molti hanno osser­vato con sguardo pre­giu­di­zie­vole le sue opere ed hanno effet­ti­va­mente tro­vato qua e là sim­boli mas­so­nici, in par­ti­co­lare squa­dre, com­passi e pen­ta­coli sparsi per vari car­toni ani­mati e fumetti, ma se que­sto certo non basta a fare di Disney un fer­vente mas­sone, ancora meno, come qual­che detrat­tore della tra­di­zione mas­so­nica ha dichia­rato, lo rende un vero e pro­prio satanista.
Comun­que molto signi­fi­ca­tive, come abbiamo visto, sono le tracce sim­bo­li­che tra­di­zio­nali che si tro­vano nei suoi lun­go­me­traggi, ed in par­ti­co­lare la ricor­rente allu­sione ai temi della vita risve­gliata dopo un per­corso ini­zia­tico. Lui stesso si con­si­de­rava in qual­che modo un mago, tanto che nell’episodio dell’Apprendista stre­gone in Fan­ta­sia, il nome del mago è Yen Sid, ana­gramma di Disney. Zio Walt, come veniva fami­liar­mente chia­mato dai suoi col­la­bo­ra­tori, era inol­tre un mix dav­vero unico di tra­di­zione, i testi ori­gi­nari delle sue favole, ed inno­va­zione tec­no­lo­gica, pen­siamo a quanto d’avanguardia fos­sero le sue tec­ni­che di animazione.
Anche se le ori­gini della sto­ria ine­rente alla sua iber­na­zione sono sco­no­sciute — la prima ver­sione stam­pata del rumor appare sulla rivi­sta Ici Paris nel 1969 — è cer­ta­mente facile capire per­ché la voce è così incre­di­bil­mente insi­stente e per­dura a tutt’oggi. Negli anni imme­dia­ta­mente pre­ce­denti la sua morte, Disney è stato coin­volto in una serie di pro­getti futu­ri­stici che hanno con­so­li­dato la sua imma­gine di visio­na­rio tec­no­lo­gico. A Disney­land vi sono, sin dagli anni Cin­quanta, attra­zioni come l’avveniristica mono­ro­taia, la casa del futuro, o ancora il viag­gio sulla luna. In seguito, sem­pre in anti­cipo sui tempi e sulla comune imma­gi­na­zione, l’introduzione di figure audio-animatronic ma soprat­tutto i dichia­rati piani di Disney per la sua «comu­nità di domani» in Flo­rida, hanno reso facile cre­dere che egli fosse un passo avanti a tutti, anche nella pia­ni­fi­ca­zione della sua morte.
Con­tro la leg­genda metro­po­li­tana che lo vuole iber­nato, come la Bella addor­men­tata o come Bian­ca­neve, cir­con­dato da un mondo a sua volta fatato, come appunto è Disney­land, pro­tetto dalle sue crea­ture più fidate e potenti, in attesa di essere risve­gliato da quella tec­no­lo­gia in cui egli stesso cre­deva fer­ma­mente, voci più uffi­ciali – ma forse pro­prio per que­sto più sospette di voler sviare l’attenzione – dichia­rano che Walt Disney è stato cre­mato (ovvia­mente l’esatto oppo­sto dell’ibernazione) e che le ceneri ripo­sano, per suo espresso volere, in un luogo discreto, all’interno di un bosco (un altro bosco), pre­ci­sa­mente nel Forest Lawn Memo­rial Park di Glen­dale.
Ma per l’Immortale padre di Topo­lino, forse un giorno, come la fenice, sarà pos­si­bile anche rina­scere dalle sue stesse ceneri.