Augusto Parboni e Vincenzo Imperitura, Il Tempo 22/1/2014, 22 gennaio 2014
TRA INDOVINI E LINGOTTI D’ORO LE SPESE PAZZE DEL MONSIGNORE
Dal vino destinato ai poveri e «girato» agli amici, fino alle opere d’arte di maestri come Bernini e Chagall stipati nell’appartamento di lusso di Salerno, passando per i versamenti «estero su estero» transitati dai paradisi «off shore» fino all’Istituto per le opere religiose: non si faceva mancare propria nulla il quasi arcivescovo don Nunzio Scarano, sacerdote e impiegato presso il Vaticano. Una storiaccia che pare presa dal copione di un film di Hollywood sugli squali della finanza e che invece ricalca le «gesta» di un prete campano che, sostengono gli inquirenti, utilizzava le sue entrature per riciclare denaro, fatto entrare in Italia in modo illecito. Per il monsignore si tratta del secondo provvedimento cautelare.
L’INDOVINO
Monsignore che, per «timore» di poter avere ulteriori guai con la giustizia, (arrivati ieri) in questi mesi aveva affidato la sua «sorte» in mano a un indovino. «Nunzio Scarano - scrivono gli inquirenti - parla spesso al telefono con tale Emilio Zanotti che sarebbe una sorta di indovino con il quale il prelato si confronta quotidianamente, anche più volte al giorno, rendendolo partecipe del suo stato d’animo di particolare preoccupazione per le indagini in corso e richiedendogli di continuo rassicurazioni al riguardo». Preoccupazioni che derivano dalle indagini in cui il monsignore è già rimasto coinvolto ma che, suo malgrado, non lo mettono al riparo dai nuovi controlli della Guardia di Finanza.
I FINTI POVERI
Una storia complicata che ha interessato anche Tiziana Cascone - commercialista di fiducia del prelato - Bruno Frauenfelder - individuato come il notaio del gruppo - e Luigi Novi, il prete che con Scarano, per sua stessa ammissione «era una cosa sola». Tutti coinvolti in uno scandalo finanziario che finisce con l’inglobare al suo interno gli armatori Cesare, Paolo, Maurizio e Maria Cristina D’Amico, autentici pezzi novanta nel settore dell’imprenditoria navale. Un’inchiesta che prende il via quando gli investigatori intervengono a casa dell’alto prelato in seguito a una denuncia per furto e che ha fatto luce su un traffico di denaro illecito trasferito, attraverso le operazioni finanziarie effettuate da Scarano stesso «sistematicamente per anni, somme di denaro di dubbia provenienza, sul proprio conto corrente accesso presso Unicredit e, soprattutto, sul proprio conto corrente acceso presso la banca estera vaticana dello Ior». «Balza subito agli occhi - scrivono i magistrati salernitani - la stranezza delle condizioni del prelato che, senza provenire da una famiglia benestante, senza avere fonti di reddito ulteriori ai proventi dello stipendio di prelato è proprietario di una casa di circa 800 metri quadri, lussuosamente rifinita, ricolma di argenterie, posaterie, reliquie e quadri famosi di autori».
FALSE DONAZIONI
E sui conti del monsignore in effetti, di soldi ne giravano parecchi. Scarano infatti risulta, nonostante un reddito dichiarato che sfonda di poco il muro della povertà «titolare di un cospicuo patrimonio finanziario quantificato in almeno 6.5 milioni di euro, assolutamente sproporzionato rispetto al proprio profilo reddituale e accumulato in via pressocché esclusiva con risorse economico/finanziarie di provenienza illecita». Soldi che arrivavano principalmente dai versamenti della famiglia di armatori - spacciati presso gli sportelli dello Ior come «i cugini d’America che destinavano i soldi per fini assistenziali» - e che si andavano ad aggiungere ad altre entrate, ipoteticamente destinate ai medesimi scopi assistenziali, ma in effetti «utilizzate dal prelato per acquistare mobili e immobili di pregio, per arredare la propria casa, per effettuare operazioni finanziarie, per condurre una vita mondana con le persone con cui si accompagna. Di dazioni benefiche ai poveri, a enti di beneficenza, a orfanotrofi - annotano amaramente gli inquirenti - non ne è emersa traccia». Un sistema ben collaudato quello messo in piedi da Scarano, anche perché, come racconta agli inquirenti Massimiliano Marcianò, ex collaboratore del monsignore «sul conto denominato "fondo anziani" presso lo Ior, Nunzio Scarano fa girare i soldi che riceve da D’Amico».
LINGOTTI D’ORO
Un’operazione al limite del teatro dell’assurdo che fa il paio con un’altra operazione che poco ha a che spartire con le opere religiose: secondo quanto racconta ancora Marcianò agli investigatori infatti, in un giorno d’estate del 2012, lo stesso Marcianò avrebbe visto nel piazzale antistante la palazzina dello Ior «borse di cuoio semi aperte dalle quali si intravedevano lingotti d’oro, caricati su furgoni obsoleti; una volta di trattava di furgoni di ortaggi, un’altra volta di un furgone frigo». Una montagna di denaro che transitava attraverso i conti messi a disposizione da Scarano ma che, nonostante siano rendicontati come donazioni ai meno abbienti «non vengono da costui giammai utilizzate per fini caritatevoli o assistenziali quanto piuttosto per soddisfare le sue esigenze personali di vita mondana, per l’acquisto di immobili di pregio e beni di lusso per realizzare istinto imprenditoriale».