Paolo Siepi, ItaliaOggi 21/1/2014, 21 gennaio 2014
PERISCOPIO
Nelle stesse ore in cui, all’interno di molti partiti, si discuteva l’opportunità di liberalizzare o meno le droghe leggere, al ministero dell’economia davano l’impressione di farne già uso. Eh sì! Perché chiedere agli insegnanti e al personale amministrativo della scuola pubblica, di restituire 150 euro al mese del proprio stipendio, sembra proprio un’idea maturata sotto l’effetto di una canna. Una proposta davvero «stupefacente». Dario Vergassola. il venerdì.
Gaetano Quagliariello è un signore che per tre volte è finito in Parlamento grazie a Berlusconi. Grazie a lui è diventato ministro e ha votato che Ruby era la nipote di Mubarak. E ora mi dice che non devo parlare con Berlusconi? Matteo Renzi. Corsera.
Anche Fini ha avuto un parente morto ad Auschvitz: è caduto dalla torretta. Barzelletta in circolazione.
Un’ipotesi che adesso prende sempre più corpo è che Joseph Ratzinger abbia compiuto quell’immenso gesto di portata millenaria, le dimissioni dal pontificato, per favorire Pier Ferdinando Casini alle prossime elezioni. Annalena Benini. Il Foglio.
Certo, prima o poi torneremo a crescere ma questo avverrà quando avremo il coraggio di dirci la verità. Giacomo Vaciago. Corriere padano.
Renzi deve evitare il populismo elastico di chi dice a ognuno quel che vuol sentirsi dire. Giuseppe Fioroni. Il Fatto.
Eutanasia – Il Pd si offre volontario. Jena. La Stampa.
Daniela Santanchè, la Pitonessa che avrebbe voluto soffocare le larghe intese nelle sue spire, assiste adesso al successo (relativo) di Enrico Letta e del suo vice premier Alfano con l’animo, tra oppresso e annoiato, di chi legga un resoconto ufficiale dello Svimez sul problema idraulico della bonifica del Simeto. «Non mi appassiona più», ammette. Salvatore Merlo. Il Foglio.
«Non farmi domande troppo difficili. Viviamo in tempi in cui scarseggiano risposte». Un padre al figlio. Vignetta di Sergio Staino. il venerdì.
Un coro di Osanna, Exultate e Te Deum salutò con nuvole di incenso e fiumi di saliva l’avvento del governo Letta, versione sfigata a bimbominkia del governo Monti. Nove mesi dopo, ecco il risultato. Un governo che non ha combinato una beneamata mazza, se non cambiare il nome all’Imu, perché, appena si muove, cade. E chiama «stabilità» l’immobilità del cadavere. Siccome però le salme manifestano un filino di rigor mortis, ecco i saldi di fine stagione per rimpinzare le lobby che tengono in vita artificialmente il caro estinto: biscazzieri, palazzinari, banchieri, costruttori di grandi opere inutili e di cacciabombardieri che capottano negli hangar, e naturalmente giornali. Marco Travaglio. Il Fatto.
Scrive su Twitter Roberto Maroni che «chiudere la sede di via Solferino cancellerebbe la storia del Corriere, un pezzo unico e irripetibile del patrimonio culturale italiano». Perbacco, ma Maroni non era il capo dei barbari sognanti che voleva far fuori i «poteri forti» per ridare la Lombardia al popolino padano? Cosa non si fa per un soffietto alle elezioni! Michele Pirovano. Il Foglio.
Per accertare in che vicolo siamo finiti, basta fare una rapida rassegna delle leggi demenziali approvate negli anni 80: 1) legge 160 (sulla droga) per la «modica quantità» (quella che ha trasformato ogni tossicodipendente in un apostolo dell’eroina; 2) legge 180 sull’abolizione dei manicomi; 3) assestamento ope legis del personale docente delle università; 4) riforma sanitaria e istituzione delle Usl; 5) equo canone, 6) smilitarizzazione della polizia. Ce ne sono altre ma queste bastano e avanzano per definire lo stile di governo che ha lasciato, agli anni 90, dei conti salatissimi da pagare. La sistemazione ope legis nelle cattedre universitarie dei reduci del ’68, ad esempio, ha bloccato la generazione successiva davanti alle porte sbarrate dell’impegno accademico, spingendo tutto l’organismo verso il ristagno e la degenerazione. Saverio Vertone, L’ultimo manicomio - Elogio della Repubblica italiana. Rizzoli, 1992.
Un cavaliere tedesco passa al galoppo per il paese gridando: «Ruski panzer! Ruski panzer!». Il rumore dei motori gli è dietro. Sento anche lo sferragliare dei cingoli. Impallidisco, vorrei farmi piccolo in modo da potermi cacciare in un buco da topo. Mi metto dietro a uno steccato e, attraverso le fessure, vedo i carri armati russi che mi passano a meno di un metro di distanza. Trattengo il fiato. Su ogni carro vi sono dei soldati russi con armi automatiche in pugno. È la prima volta che ne vedo in combattimento così da vicino. Sono giovani e non hanno la faccia cattiva, ma solo seria e pallida, e compunta, guardinga. Indossano pantaloni e giubbotti imbottiti. In testa hanno il solito berrettone a punta con le stella rossa. Avrei dovuto sparare? I carri erano tre, passarono uno dopo l’altro rasente allo steccato, spararono qualche raffica, così a caso e scomparvero. Seppi più tardi che il cavaliere passato gridando, aveva avvisato i carri tedeschi che si erano appostati fuori dal paese. E i carri russi, ora, bruciavano tutti, e sulla neve si vedono i segni del breve combattimento: solchi di improvvise virate, di giri viziosi, di fermate brusche, e chiazze nere di olio e di altro. Un carro russo era stato colpito nei cingoli e i cingoli segnavano la neve come due strisce nere tracciate su un foglio bianco, tristi come moncherini di una cosa già viva. Cadaveri bruciavano vicini ai carri. Dei soldati russi che scesero da un carro caddero subito sulla neve. Un tedesco si avvicinò cauto, strisciando quasi, e, da pochi centimetri, sparò nella nuca ai russi. Gli altri tedeschi, da poco più lontano, facevano fotografie, agitavano le braccia e parlavano, mostrando sulla neve i segni del combattimento. Ma da un carro russo che bruciava partì una raffica di arma automatica in direzione dei tedeschi e questi si sparpagliarono tutti come uno stormo di uccelli. Due salirono sul loro carro e tirarono un colpo di cannone al carro russo e questo, colpito, saltò in aria come si vede qualche volta al cinema. Io assistevo all’accaduto da non molto lontano, e tutti i russi che avevo visto passare da dietro a un semplice steccato, ora erano lì, morti, nella neve. Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve. Einaudi.
C’è un’ipocrisia imperante in cui siamo tutti amici dei diversi fino a quando la diversità non entra davvero nelle nostre case. Fausto Brizzi, Cento giorni di felicità. Einaudi.
Il buonista è un buono che sa di non esserlo. Roberto Gervaso. Il Messaggero.