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 2014  gennaio 21 Martedì calendario

FLEBO & MARTELLO TUTTI I COMPAGNI IN CORSIA– Ospedali, la seconda casa della sinistra italiana

FLEBO & MARTELLO TUTTI I COMPAGNI IN CORSIA– Ospedali, la seconda casa della sinistra italiana. Dopo il glorioso palazzo delle Botteghe Oscure, ovviamente. Altro che Nazareno, l’attuale sede nazionale del Pd a Roma. Dalla cronaca di ieri del maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera: “Bersani nella sua stanza d’ospedale a due letti, in vestaglia; Renzi su una seggiola; soli per quasi un’ora”. Ospedale di Parma, reparto di Neurochirurgia. È qui che è ricoverato da due settimane Pier Luigi Bersani, mancato smacchiatore di B. nel febbraio di un anno fa. Ed è qui che Renzi è arrivato domenica scorsa e si è beccato la scomunica del suo predecessore: “Matteo hai sbagliato a incontrare Berlusconi e a incontrarlo al Nazareno”. Probabilmente il colloquio tra “Pier Luigi” e “Matteo” non sarà decisivo o cruciale per i destini del lanciatissimo treno renziano, ma contribuisce ad arricchire la storia sanitaria del comunismo e del postcomunismo. In altre occasioni le stanze d’ospedale sono state lo sfondo di drammi, successioni, tradimenti finanche campagne elettorali. La liturgia ospedaliera del Pci e dei suoi partiti eredi parte naturalmente con il Migliore, alias Palmiro Togliatti. Conviene però introdurla con una lettera rimasta a lungo segreta. La vergò Alessandro Natta: “Compagni, non vi siete comportati lealmente. C’è stato un tramestio, davanti alla mia stanza di ospedale. Quello che avete fatto per me è stato offensivo, perché erano cose del tutto non necessarie. Alessandro Natta”. Era la primavera del 1988 e Natta, che aveva preso in mano il Pci dopo la morte di Enrico Berlinguer, stroncato da un ictus nel 1984, si accasciò per un infarto. A Gubbio, in Umbria. Anche lui su un palco per un comizio, come Berlinguer. Venne ricoverato al Policlinico di Perugia e subito cominciarono le manovre per scalzarlo dal vertice del Pci. La congiura degli allora quarantenni capeggiati da Achille Occhetto, vice di Natta, e Massimo D’Alema. Una rottamazione ante litteram. PALMIRO TOGLIATTI morì a Yalta, in Crimea, il 21 agosto 1964 (e ancora oggi c’è una delegazione del Pd che rende omaggio alla tomba del Migliore ogni anno, ma qua si entra nella storia cimiteriale della sinistra), e fece in tempo a scrivere il fatidico Memoriale prima che se ne andasse per un’emorragia cerebrale (come poi Longo e Berlinguer). Ma la sua immagine ospedaliera più nota risale al 1948, l’anno dell’attentato fuori Montecitorio. Tre proiettili. A sparare Antonio Pallante. Era il 14 luglio. Due settimane dopo, Togliatti compare nel notiziario tv della settimana Incom. È a letto. Un microfono gigantesco viene calato dall’alto. Voce flebile e affaticata. Ringrazia i medici “scienziati” che gli hanno salvato la vita e manda un messaggio al suo popolo: “Rassicuro i compagni che saprò essere di nuovo al mio posto di lavoro”. Nella liturgia sanitaria occupa un ruolo non secondario la convalescenza. Rivela amicizie, fedeltà, affidabilità. Nel ‘49 Togliatti rimane ferito in un incidente automobilistico. Va a Sorrento per riposarsi. Con lui ci sono Nilde Iotti e un compagno giovanissimo spedito dalla federazione di Napoli. Si chiama Giorgio Napolitano. E vigilerà sulla coppia con discrezione. VENT’ANNI DOPO , a cavallo tra ‘68 e il ‘69, Napolitano sarà uno dei protagonisti di un’altra degenza storica del comunismo sanitario. Quella di Luigi Longo, secondo compagno segretario del Pci repubblicano. Ictus, il 27 ottobre. Già da tempo Longo aveva manifestato l’intenzione di “non voler morire da segretario”, da papa rosso che regna fino all’ultimo respiro. Ed è per questo che aveva designato come vice non investito Giorgio ‘o sicco, Giorgio il secco. Ossia Napolitano. Allievo prediletto della destra di Giorgio Amendola, Giorgio ‘o chiatto. L’ictus accelera il processo di successione ma dopo un severo sondaggio interno alla vicesegreteria, nel 1969, va Enrico Berlinguer. Altro ospedale, altro leader. Stavolta è il 2006. Walter Veltroni è candidato sindaco a Roma. Contro Gianni Alemanno. A maggio però finisce al policlinico Gemelli, afflitto da un dolore atroce. Il bollettino del primario di urologia non lascia scampo: colica renale con stato febbrile. Dalla cronaca di quell’anno: “Ha stretto i denti per giorni, convinto di poter tenere a bada quel dolore fastidioso e insistente almeno fino a lunedì, giusto il tempo di portare a termine la campagna elettorale. Ma l’ottimismo della volontà non è bastato, il corpo si è ribellato”. Al Gemelli, Veltroni chiuse la campagna elettorale (un messaggio dal letto) e poi votò. E vinse.