La Repubblica 21/1/2014, 21 gennaio 2014
MICROFONI, CIMICI E MINITELECAMERE IL MONDO DELLE MICROSPIE È ORMAI LOW COST
MICROFONI direzionali grandi come una capocchia di spillo. Telecamere e microspie nascoste dentro occhiali, penne a sfera, chiavi dell’auto, bottoni, monete da due euro. Batterie che durano ore e si attivano a distanza con un sms o si spengono e si accendono autonomamente. Il mercato delle cimici e dei loro derivati è in continua evoluzione e l’offerta, spesso, a prezzi di saldo: con soli 39 euro e spese di spedizione t’arriva a casa una microspia lunga 4 millimetri con antenna interna e batteria ricaricabile al litio capace di resistere in stand by per tre giorni sani e una portata di 15 metri ma se arrivi a 200 euro o qualcosa di più puoi avere un prodotto che non sfigurerebbe tra le diavolerie del Mossad.
A voler esagerare, sborsi 499 euro e compri un aggeggio in grado di intercettare e trasferire ogni conversazione telefonica e perfino gli sms. E non c’è bisogno di essere amici del direttore della Cia: basta un giro su Planet spy o sugli altri siti che vendono on line ogni tipo di gadget per investigatori più o meno professionali, dal marito geloso all’“occhio privato”. Il problema più grave è sempre quello dell’alimentazione ed è per questo che la stragrande maggioranza delle cimici, più o meno nostrane, trovano il loro habitat naturale all’interno delle prese elettriche. L’altra faccia della medaglia è che quello è il posto dove qualunque tecnico incaricato di una bonifica la va a cercare.
E la microspia trovata all’interno della sala del consiglio regionale? A prima vista, quell’intrico di fili collegati a una scatoletta quadrata grande più o meno come quella dei fiammiferi sembra un aggeggio antidiluviano ma a ben vedere non è esattamente così. Il congegno è sicuramente artigianale e ingombrante ma il nastro (perfettamente intatto) è di ultima generazione e la portata, calcolata all’incirca sui 200 metri, può essere facilmente amplificata da un ponte radio che, però, non è saltato fuori. Non ancora almeno.
Il lavoro di occultamento all’interno del bracciolo, dove era piazzato il microfono, è stato fatto in modo professionale e gli investigatori escludono categoricamente che la “cimice” sia un residuo del passato, dimenticato dai tempi in cui la procura di Velletri “ascoltava” Renata Polverini o addirittura antecedente. Di sicuro non è un tipo di microspia
usato, attualmente, dalle forze dell’ordine o dai “servizi” e quasi certamente è stato assemblato in casa. Da chi e perché sono le domande da un milione di dollari.
«Mettere una cimice in una sala riunioni, a prima vista, non ha senso», spiega un alto funzionario delle “barbe finte”. «Non dal punta di vista di un’inchiesta penale, almeno. La prassi è piazzarla nello studio o in casa di un burocrate o di un politico in odore di mazzette ma in una seduta della giunta cosa speri di ascoltare, una mozione sulle tangenti? Scherzi a parte, le modalità operative sono mille miglia distanti dal nostro modo di lavorare». Parola di spione.
Un caso eclatante fu quello del 21 gennaio 1996 quando il capo dei gip Romani, Renato Squillante, si sedette a un tavolo del bar Tombini, poco distante dal tribunale, con un gip e un pm senza sapere che nel portacenere a stelo piazzato a poca distanza c’era un orecchio elettronico indiscreto. A scoprirlo fu una cameriera che svuotando il posacenere, vide quello strano oggetto di metallo: «E questa che roba è?». Anche allora, almeno all’inizio, si parlò di un microfono artigianale e le ipotesi furono degne di una spy story di Le Carrè. La verità si scoprì 50 giorni dopo: la cimice era stata piazzata dallo Sco (il servizio centrale operativo della polizia) su disposizione della pm di Milano Ilda Boccassini che indagava su Squillante dopo le rivelazioni di Stefania Ariosto. La realtà, spesso, è molto più semplice di come appare.