Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 19/1/2014, 19 gennaio 2014
QUANDO COMUNELLO SFIDO’ FASCIOLINO
«Presentiamo Fasciolino / Comunello e Proletino / tre ragazzi di Solaggio / graziosissimo villaggio. / Forte e ardito è Comunello / ed affronta il manganello / del gradasso Fasciolino / per difender Proletino».
Iniziava così, nel settembre del ’22, un mese prima della Marcia su Roma, una striscia su «Il Fanciullo Proletario». Che raccontando del balilla Fasciolino che rubava i giocattoli all’indifeso Proletino, esaltava il pronto intervento del combattivo Comunello che sorprendeva e catturava il ladro: «Fasciolin vorria fuggire / ma è costretto ad obbedire, / costernato abbassa gli occhi; / gli si piegano i ginocchi. / Or si vede come un pugno / sprizzar fuori fa dal grugno...»
Va da sé che alla «fiaba a quadretti» con le didascalie in rima rispose poco dopo «il Balilla», dove il piccolo Bolcevicco declamava: «Vien tra i miti e gl’innocenti, / vieni tra gli umanitari! / Noi che siamo tutti cuore, / col più tenero sorriso, / al fanciullo, i n suo candore, / promettiamo il paradiso!» . Al che Balillino rispondeva sarcastico: «Ci credo! / della Russia in mezzo al gelo / i ragazzi, ben lo vedo, / li mandate tutti in cielo!».
Nello scontro fra i due giornalini c’è un pezzo di storia del nostro Paese. Di qua l’indottrinamento dei fanciulli di destra, ad esempio col «Corrierino dei piccoli» fascistizzato che mostrava i bimbi fieri di andare alla conquista dell’Africa: «Con l’elmo in testa, senza dir né ai né bai / fieri parton Trilli e Trulli pei Tigrai». Di là l’indottrinamento dei fanciulli di sinistra, con le «novellette sociali ed educative pel divertimento e l’ammaestramento di queste giovanissime reclute».
C’è qualcosa di tenero e insieme di sconcertante, nel saggio Falce e fumetto. Storia della stampa periodica socialista e comunista per l’infanzia in Italia a cura di Juri Meda.
Proprio per l’impasto di rime baciate, bimbetti e balocchi e scelte editoriali dettate da oscuri apparatcik.
Come un interminabile tormentone di 25 puntate su «La Pattuglia» diretta da Ugo Pecchioli sulla Lunga marcia di Mao, storia basata sulla partecipazione di un ragazzetto, Marco Faggi, partito per la Cina per dare una mano a «Cian kai Scek» (sic) e lì dopo la cattura convertitosi al maoismo fino a innamorarsi di una bella cinesina sovversiva di nome Mai Li.
Lungo il percorso dalla strenna «Figli del Popolo» edita per il Capodanno del 1893 a cura della Camera del lavoro di Milano fino ai settimanali del secondo dopoguerra come «Noi ragazzi» (che in polemica con l ’ America mostrava un bimbo yankee con la pistola puntata su due adulti: «Fermi vecchie carogne, o vi riempio la pancia di piombo!») c’è un po’ di tutto.
Ed ecco i giornalini socialisti di fine Ottocento che spronano i bambini poveri a trovare nello studio il riscatto sociale nonostante le difficoltà enormi, come quelle incontrate dal «Povero Cosetto», un bimbo «buono e intelligente che ottiene però scarsi risultati a scuola, perché spesso assente per assistere la mamma malata o troppo stanco per rimanere vigile». Al punto di far me dire all’insegnante: «Poveri poveri, sfortunato! quanta virtù e quanta miseria!».
Ecco la compassione per Giannetto, costretto a lasciare i banchi cuore, / ci beccheremo un giorno il per fare il muratore mentre il buon titol di dottore». compagno benestante sospira: «Di scissione me quanto è migliore quel caro sfortunato! (...) Alla tua mente aperta è precluso il sapere; / e noi, talpe magari, studiando a malincuore, / ci beccheremo un giorno il titol di dottore».
Ed ecco le riviste successive alla scissione comunista, che invitano ora i ragazzi, nel tumulto del Biennio Rosso, a diventare «dei “piccoli sovversivi”, votati all’antagonismo sociale e politico». Fino alla storia post-bellica, raccontata sul «Falco rosso», della rivolta di Spartaco e dei «falchetti» contro don Tebaldo, che per attirare ragazzi in oratorio ha comperato «coi soldi delle elemosine a Sant’Antonio» un pallone nuovo e un biliardino e offre pure cioccolata «della Pontificia Commissione». Macché, i bambini preferiscono l’Afri, Associazione falchi rossi italiani, «dove non c’è il calcio da tavolo e non ci danno la cioccolata, ma siamo felici».
C’è chi dirà: ma che razza di modo è questo di plagiare le giovani menti? Domanda sacrosanta. Che vale, però, per tutti. Non solo socialisti e comunisti. Lo scrive già nel 1897 «La Parola dei Poveri» respingendo l’accusa d’un giornale clericale: «"Si attaccano ai bimbi!" grida. Tò! vorrebbero che li lasciassimo soltanto ai preti i bimbi, per insegnare loro che il socialismo è un peccato! Che bel bocchino! Se per loro il socialismo è un peccato, per noi è una santa cosa; e perciò la insegniamo ai bimbi come agli adulti; e colla nostra strennuccia mostriamo anche agli adulti come possano fare scuola di socialismo ai loro piccini. Avanti, fate anche voi. Chi ha più filo farà più tela; e il buon Dio vi aiuterà: diamine! Non ci credete?» Non mancarono contrasti nella stessa sinistra, sui fumetti. Non piacevano a Togliatti. Troppo «americani». E Nilde Iotti si spinse a chiedersi nel ’51 su «Rinascita»: «Perché i fumetti narrano a preferenza, ed esclusivamente anzi, storie orripilanti di gente che corre la stupida avventura della violenza e della brutalità, che è continuamente in guerra con i propri simili, che ogni contrasto tende a risolvere con la frode, col pugno al plesso solare o con la pistola, che non ha nemmeno il tempo di nutrir sentimenti, valutare, riflettere? È il modo stesso del racconto che impone questo». Le rispose Gianni Rodari: «Noi dovevamo e dobbiamo usare l’arma che l’avversario adopera contro di noi». In fondo si trattava solo di «dare un contenuto educativo al fumetto e non solo alle storie che esso narra, ma anche all’esecuzione artistica delle tavole».
Certo è che, se per decenni abbondarono le denunce contro la «perpetua notte delle miniere e delle zolfatare» e «il martirio delle plebi» e le condizioni dei «bugigattoli marci, dove si pigiano tutte le miserie», non una parola si levò contro il ruolo di sottomissione della donna. E se già a fine Ottocento la rivista «Figli del Popolo» pubblicava pezzi come Sobilliamo i fanciulli («Sobilliamo, sobilliamo! e cominciamo dai ragazzi che hanno innato il senso della giustizia...»), ancora mezzo secolo dopo «Noi ragazzi» si occupava solo dei piccoli lettori maschi dedicando alle lettrici una rubrica (Le margheritine) «con consigli di ricamo e istruzioni per fare piccoli oggetti e decorazioni». Al punto che Spazzolina (un nome, un ruolo...) giustificava la sua assenza di molte settimane dalla rubrica postale «con il fatto di aver avuto la mamma malata e di aver dovuto fare lei i lavori di casa e preparare i pasti per il padre e per Ceralacca»... Della serie: sobilliamo sì, ma fuori da casa mia...