Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 21 Martedì calendario

TROPPI MALATI IN CARCERE. «SERVE UN OSSERVATORIO»

Se l’80% della popolazione di una città fos­se malata, il sindaco ordinerebbe quan­to meno una profilassi collettiva per argi­nare la trasmissione del virus. Ciò non avviene, invece, nel sistema carcerario italiano che, per dimensioni (64.758 i detenuti presenti al 30 set­tembre scorso), potrebbe benissimo stare tra i comuni italiani di medie dimensioni. In questa cittadina con le sbarre e circondata da alte mu­ra, la concentrazione di malattie ha ormai ab­bondantemente superato il livello d’allarme, co­me confermano i dati che la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, ha recentemente consegnato al Parlamento.
«Sono anni che chiediamo al Ministero della Sa­lute di attivare un Osservatorio nazionale sullo stato di salute dei detenuti – osserva Enrico Giu­liani, consigliere della Simspe –. Soltanto così a­vremo la possibilità di effettuare un serio studio epidemiologico sulle patologie più sviluppate in carcere».
Le ultime stime dicono, appunto, che il 60-80% dei ristretti ha almeno una patologia e, per la maggior parte (48%), si tratta di malattie infetti­ve. I tumori rappresentano l’1% circa di tutte le patologie e riguardano soprattutto linfomi, leu­cemia, neoplasie del polmone e neoplasie epa­tiche. «In genere – ricorda Giuliani, medico del carcere diViterbo – questi pazienti sono curati ne­gli ospedali e, dove esistono, vengono ricoverati nei reparti di Medicina protetta, come nel caso del “Belcolle” di Viterbo».
Un terzo dei carcerati (32%), ha problemi di tos­sicodipendenza, condi­zione che, stando agli ultimi dati del Diparti­mento dell’ammini­strazione penitenziaria, riguarda 15.663 perso­ne (di cui 4.864 stranie­ri). Al terzo posto tra le patologie più comuni tra i carcerati, ci sono i disturbi psichiatrici maggiori, che colpisco­no il 27% della popola­zione delle celle. Nella “classifica” della Simspe entrano quindi le malattie strettamente legate alla forzata inattività cui è costretto chi sta scon­tando un pena detentiva. Il 17% soffre di malat­tie osteorticolari, il 16% presenta patologie car­diovascolari, l’11% ha problemi metabolici e il 10% malattie dermatologiche, la cui trasmissio­ne è favorita dall’alto tasso di sovraffollamento. Lo scorso anno è arrivato al 136%, pari a 17.143 detenuti presenti oltre la capienza massima di 47.615 posti letto offerta dai 206 istituti di pena presenti sul territorio nazionale.
L’affollamento delle celle aumenta il rischio di contagio da infezioni; quelle maggiormente pre­senti sono la tubercolosi (ne soffre il 22% dei de­tenuti), il virus Hiv (4%), l’epatite B (5%), l’epatite C (33%) e la sifilide (2,3%).
Migliorare le con­dizioni di «deten­zione per adulti e minori», anche at­traverso il «com­pletamento del piano straordinario di edilizia peniten­ziaria », è quindi in cima alle priorità indicate dal ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nella direttiva ministeriale per il 2014. Per affrontare in maniera non estemporanea il problema della cura delle malattie in carcere, la Società dei medici penitenziari ha rivolto una se­rie di «istanze al legislatore». Tra le più urgenti, do­po l’Osservatorio, c’è l’adeguamento dei Livelli es­senziali di assistenza (Lea) alle «specificità peni­tenziarie ». Inoltre, i sanitari chiedono l’istituzio­ne del «fascicolo sanitario elettronico nazionale, elemento sostanziale per creare ed integrare la continuità diagnostico-terapeutica territorio­carcere- territorio». E per evitare i casi come quel­lo, denunciato dall’associazione Antigone, di Fe­derico Perna, morto a Poggioreale (Napoli), l’8 novembre scorso ufficialmente per sospetto ic­tus. I compagni di cella raccontano però che «da una settimana sputava sangue», forse a causa della grave patologia epatica di cui soffriva da tempo. In carcere dal 2010, in tre anni Federico è stato detenuto a Regina Coeli (Roma), Velletri, Cassino, Viterbo, Napoli-Secondigliano e, infine, Poggioreale, dove è morto. Sul caso sono state a­perte due inchieste, una amministrativa e una giudiziaria, ma non occorre attendere gli esiti per dire, con Antigone, che «questo girovagare tra gli Istituti di pena non ha giovato alla salute del de­tenuto ». Per evitare altri casi come questo, nel suo ultimo Rapporto, Antigone ha sollecitato la politica a creare le condizioni per una «tutela effettiva del­la salute» dei detenuti, «anche attraverso una fi­gura che sia realmente intesa quale medico di fi­ducia ». Un’opportunità ancora negata alla mag­gior parte dei carcerati.