Mauizio Ricci (?), la Repubblica 21/1/2014, 21 gennaio 2014
LONDRA
— Immaginate una bilancia: su un piatto ci sono ottantacinque persone, sull’altro ce ne sono tre miliardi e mezzo, ma l’ago è in perfetto equilibrio. E’ la metafora con cui l’Oxfam, una della più importanti associazioni di beneficenza internazionali, misura il gap ricchi-poveri sul nostro pianeta: 85 miliardari possiedono 1.200 miliardi di euro, l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione terrestre. Se fosse un film, bisognerebbe intitolarlo “La Grande Diseguaglianza”. La stima fa parte di un rapporto pubblicato alla vigilia del World Economic Forum di Davos per dimostrare come l’estrema disparità tra ricchi e poveri rappresenti non solo un’ingiustizia dal punto di vista morale, ma una minaccia per la democrazia e la stabilità sociale. Non è la prima volta che circolano cifre simili: la ragione fondatrice del cosiddetto movimento 99 per cento, quello di “Occupy Wall Street”, era appunto l’idea che l’1 per cento della popolazione mondiale fosse più ricco di tutti gli altri. “Plutocrats”, un libro- inchiesta della giornalista Cinthya Freeland uscito lo scorso anno, andava oltre, sostenendo che il vero oltraggio non è la ricchezza dell’1 per cento contro il 99 per cento, bensì quella dello 0,1 per cento, la crema della crema, il club dei miliardari. Proprio su questi si concentra lo studio di Oxfam: gente come il messicano Carlos Slim, il fondatore della Microsoft Bill Gates, Larry Page di Google e Warren Buffett. O come Michele Ferrero, Leonardo Del Vecchio e Miuccia Prada, i tre italiani
presenti tra gli 85. In Africa,
nota il rapporto, le grandi multinazionali sfruttano la propria influenza per ridurre la pressione fiscale, riducendo le risorse che i governi locali potrebbero usare per combattere la povertà. Lo stesso viene fatto dai giganti della rivoluzione digitale, che sfruttano scappatoie e sotterfugi per pagare zero o quasi tasse sui loro immensi profitti. In 29 su 30 paesi sviluppati o in via di sviluppo esaminati dall’indagine la tassazione per i ricchi non fa che diminuire. E l’1 per cento dei più
ricchi delle terra detiene complessivamente un patrimonio di 180 trilioni di dollari. «Le pari opportunità stanno diventando un miraggio a livello globale», afferma l’Oxfam, accusando le élite economiche mondiali di agire
sulle classi dirigenti politiche per truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche. «Viviamo in un mondo in cui chi detiene il potere economico ha ampie opportunità di
influenzare i processi politici, rinforzando così un sistema nel quale la ricchezza e il potere sono sempre più concentrati nelle mani di pochi, mentre il resto dei cittadini del mondo si spartisce le briciole», sostiene Winnie
Byanyima, direttrice di Oxfam International. «Un sistema che si perpetua, perché gli individui più ricchi hanno accesso a migliori opportunità educative, sanitarie e lavorative, regole fiscali più vantaggiose, e possono influenzare le decisioni politiche in modo che questi vantaggi siano trasmessi ai loro figli. Se non combattiamo la disuguaglianza, non solo non potremo sperare di vincere la lotta contro la povertà estrema, ma neanche di costruire società basate sul concetto di pari opportunità, in favore di un mondo dove vige la regola dell’asso pigliatutto».
Negli ultimi anni il tema della disuguaglianza è entrato con forza nell’agenda globale: Obama lo ha identificato come una priorità del 2014, e proprio l’ultimo World Economic Forum ha identificato le disparità di reddito eccessive come il secondo maggior pericolo per la stabilità sociale e la sicurezza globale. Ora la Oxfam chiede ai partecipanti alla nuova edizione del convegno di Davos di assumere un impegno solenne a fare di più per ridurre questa ingiustizia sommaria. Per limitare, se non far scomparire, la Grande Diseguaglianza.
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«NON mi sorprendono affatto i risultati dello studio dell’Oxfam». Paul De Grauwe, già senatore per i
Flemish Liberale
oggi capo del dipartimento Europa della London School of Economics, cita a memoria i titoli di almeno una dozzina di ricerche che nel corso degli anni hanno confermato la polarizzazione della ricchezza in un numero sempre inferiore di mani.
Ma cosa bisogna fare per arginare questo fenomeno che accresce le diseguaglianze?
«Occorre una presa d’atto collettiva dei governi, che viceversa sono sempre più indifferenti. Sui maggiori redditi, tranne in pochissimi casi come forse in Francia, c’è un timore reverenziale ad agire. Invece serve uno sforzo corale per introdurre tassazioni che progressivamente vadano a incidere sui profitti maggiori per ridurre almeno le più inaccettabili fra le diseguaglianze
».
Ma perché non viene fatto?
«Me lo chiedo da una vita. Potere delle lobby? Paura di perdere base impositiva? Forse quest’ultimo è il problema, e per questo dico che i Paesi dovrebbero agire all’unisono. Magari con il coordinamento di qualche organismo internazionale».
Quale? L’Onu, la Commissione europea?
«No, l’Ocse è in posizione ottimale per farlo. Dovrebbe convocare una conferenza internazionale dedicata alla riduzione delle disuguaglianze, e dettare le linee delle riforme per tutti i Paesi. Sinceramente non ho molte speranze che ciò accada. Ho sondato personalmente i governi europei e ho avuto riscontri disastrosi. Non c’è il minimo consenso su un’operazione del genere. E se è contraria l’Europa, culla della più antica civiltà e della democrazia, figuriamoci quale aiuto potremo avere dagli americani o, peggio ancora, da qualche Paese di nuova industrializzazione».