Francesca Paci, La Stampa 19/1/2014, 19 gennaio 2014
PETROLIO, BUSINESS E SALAFITI LA CIRENAICA È UNA POLVERIERA
La Cirenaica, dove sono stati rapiti i due tecnici italiani, è la regione costiera al confine con l’Egitto in cui è nata e sta oggi soccombendo la rivoluzione anti Gheddafi. Le contraddizioni di una protesta multipolare esplosa a Bengasi nel 2011 e poi sostenuta dalla Nato, si sono materializzate all’indomani della cacciata del Colonnello proprio qui, tra le rivendicazioni politiche, tribali, religiose di una popolazione poverissima e conservatrice che sotto il regime non aveva mai beneficiato dell’oro nero su cui galleggia. La città di Derna, a suo tempo una delle riserve di combattenti stranieri nell’Iraq post Saddam, è da mesi in balia di milizie salafite e jihadiste che a turno hanno firmato l’escalation del caos, dai sequestri all’omicidio di colonnelli, giudici, del popolare sceicco sufi al-Mahjoubi e del capo dell’intelligence militare Al-Gazeeri. Pochi giorni fa Washington ha inserito nella lista delle sigle terroristiche le filiali di Bengasi e Derna del gruppo Ansar al Sharia, coinvolto negli attacchi al consolato americano di Bengasi in cui l’11 settembre 2012 fu ucciso anche l’ambasciatore Chris Stevens.
Il governo di Tripoli, beffardamente formatosi dopo le uniche elezioni in un paese della primavera araba a non essere vinte dai Fratelli Musulmani. non ha l’autorità né la forza per garantire la sicurezza ed evitare la frammentazione regionale che incombe da est. Pur essendo potenzialmente ricchissima, con i suoi appena sei milioni di abitanti, la Libia aggiunge all’instabilità politica la grave crisi economica causata del blocco dei principali impianti petrolieri che hanno fatto crollare le estrazioni dell’80% (da 1,5 milioni di barili al giorno a 250 mila). Da luglio i gruppi armati che rivendicano l’autonomia delle regioni orientali controllano la produzione locale del greggio sfidando il ministero della Difesa e invitando le compagnie straniere a bypassarlo rifornendosi nei tre porti della «Cirenaica indipendente» (l’aspirazione indipendentista risale alla fine del 2011, quando a Bengasi si costituì il Consiglio provvisorio della Barqa, nome arabo della Cirenaica).
Per ragioni storiche ed economiche, l’Italia è in prima linea nel sostenere il premier Ali Zeidan che, dopo aver tentato di smorzare la vocazione secessionista dell’est trasferendo a Bengasi la sede principale della società petrolifera nazionale (Noc) e della Libyan Airlines, vorrebbe ora sciogliere le tensioni settarie creando un esercito nazionale in cui far confluire militari e uomini delle milizie protagoniste della guerra al regime. In queste ore, mentre Zeitan affronta il rimpasto di governo e la rivolta dei gheddafiani nella città meridionale di Sebha, per cui è stato dichiarato lo stato di emergenza, 340 soldati libici vengono addestrati dai nostri generali a Cassino (i primi di duemila).
L’Italia è il primo partner commerciale della Libia nonché il suo maggiore donatore con oltre 56 milioni di euro in interventi di assistenza, un rapporto antico ripristinato già due mesi dopo la morte di Gheddafi con la visita a Roma del capo del governo transitorio Jalil e lo sblocco dei 600 milioni di fondi libici congelati da Roma durante il conflitto. L’interesse è reciproco. Prima del 2011 c’erano in Libia circa 130 aziende nostre connazionali, dal petrolio alle telecomunicazioni ai trasporti (uno dei primi contratti già ripresi in mano è quello di 800 milioni di euro con il Consorzio italiano guidato da Saipem per la realizzazione di un tratto costiero dell’autostrada). Alcune sono riuscite a riallacciare le relazioni pre-crisi e a ricevere un parziale pagamento per i lavori realizzati allora (Impregilo-Salini, Sirti, Iveco, ConICos, Finmeccanica). Altre, come le 160 imprese che aderiscono al gruppo Nordest per la ricostruzione della Libia, sono al lavoro per creare joint-venture con partner locali e concorrere ad appalti soprattutto nell’appetibile settore edile. Ma il rapporto è in fieri e i rischi sono parecchio alti.
La sponsorizzazione della Libia al G8 e all’Osce non ha risparmiato l’Italia dalle minacce. Risale a un anno fa l’attentato alla vettura del console Guido de Sanctis a Bengasi, epicentro con Derna degli agguati alle missioni occidentali. Negli ultimi mesi la Cirenaica è sprofondata in buco nero nel quale rischia di annegare il futuro del paese.