Giulia Zonca, La Stampa 19/1/2014, 19 gennaio 2014
LA GIAMAICA SI RIDÀ AL BOB MA C’È POCO DA RIDERE
Il secondo tempo del film che ha ispirato generazioni olimpiche inizia 26 anni dopo. Il bob giamaicano è tornato, è passato da 4 a 2 e ha lo spirito di Winston Watts, ex portiere, romantico a ogni costo e soprattutto l’uomo che ha fatto dell’azzardo una professione. Watts non era a Calgary nel 1988 quando la nazione nata per correre ha scoperto l’esistenza dei Giochi invernali, è arrivato dopo e con gli eroi del ghiaccio ha vissuto tre Olimpiadi. Allora si chiamava Watt: a Lillehammer la s era caduta per errore durante la compilazione dei moduli di accredito. Winston se ne era accorto subito ma per la paura di essere squalificato si era tenuto il nuovo cognome. Dettagli, il genere di burocrazia che non lo ha mai preoccupato perché a lui interessa sognare: «Spesso mi capita di farlo a occhi aperti e non so se è la mia fortuna o la mia rovina». In quelle edizioni da favola il quartetto che cantava Bob Marley prima di lanciarsi in pista è diventato un simbolo. Dentro il bob nero a strisce giallo e verdi c’era la prova che si può costruire dal niente, che le Olimpiadi non sono una sfida per pochi. Gli outsider, quasi atleti per caso, sono stati adottati dal tifo e raccontati da «Cool Running», film targato Disney che ancora ispira la maggior parte dei terzomondisti olimpici, chiunque non abbia mezzi o tradizione per gareggiare e ci prova lo stesso.
L’equipaggio volante era famoso quanto Usain Bolt e persino più veloce. Con il tempo sono diventati folklore e dopo un’ultima, un po’ bolsa, partecipazione a Salt Lake City, nel 2002, sono spariti. Sarebbe meglio dire sciolti, come capita alle band improvvisamente famose che per qualche anno sono il centro dell’attenzione e poi si ritrovano a ripetere gli stessi successi davanti a un pubblico sempre meno coinvolto. Così tentano la carriera solista. Loro hanno proprio cambiato mestiere, hanno lasciato la Giamaica e non per il bob, per lo più per affari anche se Nelson Chris Stokes, allora l’ultimo arrivato del gruppo, oggi è capo della federazione sport invernali in Giamaica. Qualunque cosa voglia dire. Watts ha ripreso la sua s e si è ritirato e trasferito a Evanston, in Wyoming. Molti anni dopo, con moglie e figlio, è andato a visitare il centro di preparazione del bob Usa, a Park City «e mi sono sentito vivo. Dovevo riprovare».
Solo che la favola era passata di moda e al progetto servivano finanze. Watts ha investito i suoi risparmi e trovato un nuovo compagno, Marvin Dixon, un velocista mancato. I due si sono allenati, sono migliorati e partiti a caccia della qualificazione. Dopo 30 gare sono ai Giochi, peccato che i soldi siano finiti e ancora non sanno se si possono permettere il viaggio a Sochi. Watts garantisce che il quinto posto ottenuto la settimana scorsa, il miglior piazzamento raggiunto, li ha portati a un altro livello. Hanno persino rischiato perché non si potevano permettere l’ultima trasferta in Europa: «Mai stati così forti, ho 46 anni e ne dimostro 30. Il salvadanaio l’ho già rotto, non c’è più nulla e un altro trasferimento non potevamo affrontarlo». Anche l’allenatore, Tom Samuel, un canadese, ex rivale, convertito (gratis) alla causa, certifica la scommessa: «Ce la facciamo, nel 1988, all’esordio, la Giamaica si è cappottata. Ora siamo competitivi». Ieri la notizia ufficiale, non ci sono altri team che possono superarli, così il bob reggae dovrà tornare a vendere sogni perché magari il viaggio in Svizzera si poteva saltare ma quello in Russia no. E qualcuno deve pagarlo: «Avrò una ventina di giorni per trovare sponsor porta a porta, abbiamo già ricevuto delle donazioni e qualche proposta importante gira, serve solo il biglietto per la Russia. Possiamo ancora essere un’ispirazione». La Disney è avvertita.