Beatrice Borromeo, Il Fatto Quotidiano 19/1/2014, 19 gennaio 2014
PROBLEMI AL CUORE E INTERCETTAZIONI HARD: “BEBÈ” PREPARA LA FUGA
Bebè ci riprova. Roberto Pannunzi – il “broker dei due mondi” considerato l’anello di congiunzione tra le cosche calabresi e i cartelli sudamericani – l’altroieri ha spiegato in videoconferenza al giudice per le udienze preliminari che in carcere lui non ci può proprio stare. E ha domandato, visto che la sua cardiopatia ischemica gli rende “insopportabile” la detenzione, di essere ricoverato in una clinica specializzata.
Richiesta lecita? Non proprio. Pannunzi, ribattezzato dai narcos colombiani “El Tigre”, “Batman” ed “El loco” (il matto), sembra essersi affezionato a un espediente che già in passato gli ha permesso di evadere. E grazie al quale, in Italia, si è guadagnato pure un altro soprannome: “Lo Stratega”.
Dalla clinica
alla latitanza
Perché per ben due volte, complici i suoi problemi al cuore, è riuscito a farsi trasferire dai carceri di massima sicurezza in un ospedale della Capitale. Da cui poi, entrambe le volte con la stessa procedura, è riuscito a fuggire. E adesso che è tornato in prigione – nel carcere de L’Aquila, in regime di 41-bis – è arrivata puntuale una nuova richiesta di trasferimento in clinica.
Sono passati 15 anni dalla prima volta che Pannunzi – che stava scontando una condanna definitiva a 16 anni e mezzo – ha approfittato della concessione degli arresti domiciliari in clinica per far perdere le proprie tracce. I magistrati lo ritrovano nel 2004 a Madrid, e per qualche tempo il boss sconta la sua pena. Ma la scena si ripete nel dicembre 2010, quando i giudici del Tribunale di sorveglianza di Bologna gli concedono il ricovero a Villa Sandra, una casa di cura privata a Roma, dove vengono predisposti vari accertamenti. Tre mesi dopo, Pannunzi è di nuovo latitante.
“Nell’arco temporale della sua permanenza in clinica – si giustifica l’allora comandante provinciale dei Carabinieri di Roma, Maurizio Mezzavilla, davanti alla Commissione parlamentare antimafia – sono stati effettuati ben 65 controlli, di cui abbiamo l’elenco. Il detenuto quindi veniva monitorato, solo che, al di là del controllo, che può durare 15-20 minuti, era nella condizione, nelle 24 ore, di organizzarsi e di potersi allontanare, cosa che poi è avvenuta”.
“Prestazioni”
mirabolanti
Quando lo scorso luglio il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, è andato a prendere Pannunzi, appena estradato dalla Colombia, all’aeroporto di Fiumicino, entrambi avevano il sorriso sulle labbra. Il primo perché aveva appena catturato uno dei latitanti più ricercati al mondo, il secondo, forse, perché stava già pianificando la sua prossima mossa. Complici , come sempre, i problemi al cuore. Ma a insospettire i magistrati sulla malattia di Pannunzi, ora che vuole tornare a Villa Sandra per la terza volta, c’è anche un altro elemento: le intercettazioni che hanno registrato le “mirabolanti performance sessuali” di “El Tigre” con la sua giovanissima compagna, Caterina Palermo, chiamata appunto “La Ragazzetta”. Nastri che, per ovvie ragioni, non sono stati sbobinati, ma che, giura chi ha avuto modo di ascoltarli, svelano attività fisiche difficilmente compatibili con problemi cardiaci così gravi.
Non si tratta di una sola notte di follia, poi. Perché le cimici della Procura di Reggio Calabria hanno spiato per anni la donna, anche lei attivissima nella cosca. Era infatti la “Ragazzetta”, come si legge nelle carte dell’inchiesta “Igres”, a permettere “la realizzazione dell’intento criminoso di Pannunzi”.
I narcos colombiani e “la Ragazzetta”
Perché Caterina Palermo, classe 1977, non si limitava a seguire ovunque “Lo Stratega”, passando lunghi periodi in Sudamerica al suo fianco. Era una complice preziosa: collezionava i soldi dai debitori, portava messaggi dalla Calabria alla Colombia, e svolgeva le stesse mansioni del fratello Giuseppe, appartenente anche lui al clan, “assecondando qualsiasi richiesta della famiglia”. Una passione, la loro, che spinge Pannunzi a chiederle di vivere insieme, condividendo covi e segreti. Scelta che, scrivono gli inquirenti, “turba non poco gli animi dei familiari, primo fra tutti il figlio Alessandro”. Che infatti, intercettato, individua un soprannome meno lusinghiero per la matrigna (“la troietta”).
I malumori del clan non sono casuali. La ‘ndrangheta dispone di pochi uomini che hanno una rete di contatti tanto estesa e rapporti così consolidati come “Bebè” Pannunzi. Costruirli è stato il lavoro di una vita.
Le prime tracce delle sue attività criminali risalgono al 1983 quando, stufo della vita da dipendente Alitalia, si fa un nome organizzando il traffico di eroina tra Sicilia, Calabria e Canada. La polizia riesce a sgominare una sola spedizione, e sequestra 16.900 chili di eroina. Ma i buoni rapporti di “Bebè” con Cosa Nostra reggono il colpo, anche grazie alla storica alleanza dei siciliani con la cosca Macrì di Siderno, cui Pannunzi è vicino. Gli inquirenti lo raccontano come un uomo dotato di grande personalità, carisma e intuito: lo Stratega vede nel Sudamerica il futuro del narcotraffico, ed è tra i primi a capire che bisogna investire nella cocaina, droga potenzialmente molto più remunerativa dell’eroina, che uccide troppo facilmente. Lui, che è poliglotta, va a vivere in Colombia. Si legge nell’inchiesta Igres: “Romano di nascita ma con moglie e origini reggine, a seconda dell’interlocutore che lo contattava, lo si sentiva agevolmente dialogare tanto in italiano, quanto in stretto dialetto della Locride e anche in perfetto spagnolo”. Il suo unico obiettivo è arricchirsi, motivo per cui evita di affiliarsi ufficialmente a una cosca. Pannunzi fa affari con tutti, e presto il suo nome diventa sinonimo di cocaina dalla qualità ottima e dal prezzo proporzionato . I narcos lo rispettano, tanto che gli permettono di garantire per la vita del sodale siciliano Salvatore Miceli, che era loro debitore. “Pannunzi pensa in grande: ogni volta che spediva un carico in Europa, partivano tonnellate di cocaina”, dice Gratteri a margine dell’udienza preliminare. Bebè, che ama il lusso, i vestiti firmati e i vini pregiati, è tanto potente quanto allergico alla galera. Così, quando nel 1994 viene arrestato a Medellín, in Colombia, offre agli agenti che lo stavano ammanettando un milione di dollari in contanti (che portava con sé per questo tipo di evenienze) in cambio della libertà.
Ora che è stato rinviato a giudizio – il processo parte il 27 marzo a Locri – Pannunzi insiste per essere ricoverato il prima possibile. E il giudice – tra problemi cardiaci, fughe e sexy intercettazioni – ha tutti gli elementi per decidere.
Twitter: BorromeoBea