Giuseppe Pollicelli, Libero 18/01/2014, 18 gennaio 2014
MURGIA, LA FEMMINISTA SLOW FOOD CHE DIFENDE LE TETTE
Non è facile concentrare in un’unica frase snobismo, retorica engagée e civetteria da salotto culturale progressista. Ci è riuscita la scrittrice Michela Murgia, nota soprattutto per il romanzo Accabadora (vincitore del Premio Campiello nel 2010), la quale ha di recente rilasciato questa dichiarazione: «Diciamo la verità: a me di scrivere romanzi non frega niente, io sento la scrittura come un dovere civile. Il mio amico Marcello Fois dice che questa è una malattia esantematica dei giovani scrittori... Sarà, ma per me è così».
In una manciata di parole ritroviamo l’altezzosità della narratrice di successo che ostenta disprezzo per ciò che la scrittura è in grado di offrire ai lettori a livello di intrattenimento; la retorica dell’intellettuale che sovrastima a tal punto il proprio lavoro da considerarlo capace di produrre chissà quali ricadute sulla società; la civetteria di chi, a quasi 42 anni, non rifiuta con il dovuto imbarazzo l’inclusione nella famigerata categoria dei «giovani scrittori». Una frase del genere non comunica certo l’idea di novità, eppure è proprio come una personalità innovativa e spiazzante che taluni stanno presentando Michela Murgia nella sua ultima incarnazione, quella di politica. Si veda, per esempio, il lungo articolo dedicatole ieri da La Stampa. Tra un mese, in Sardegna, ci saranno le elezioni regionali e la Murgia ha deciso di candidarsi a governatrice con una lista civica. Beh, per La Stampa è più o meno come se si fosse manifestato ilMessia dei Nuraghi: «Indipendentista da dieci anni, nel 2010 con altri 25 militanti lancia ProgReS (Progetu Repùblica), una rifondazione dell’indipendentismo mondato da nazionalismo, reducismi e sentimentalismi antistorici (...). E comincia a lavorare sul territorio: migliaia di incontri in città, borghi, campagne».
Ancora: «Nel frattempo un’altra sua attività penetra nella carne della Sardegna più remota. Si chiama Liberos ed è un’associazione tra tutti i soggetti della filiera del libro (…). Risultato: fermata la moria di librerie indipendenti, fatturati raddoppiati, case editrici entusiaste». Davvero il paragone con una figura messianica appare calzante: se quello più famoso, di messia, moltiplicava i pani e i pesci, la Murgia moltiplica i fatturati dell’editoria sarda.
E scusate se è poco. Curioso, poi, che Michela sia da dieci anni un’indipendentista convinta eppure detesti con tutto il cuore la Lega Nord, cui ha dedicato righe come queste: «I leghisti sembrano troppo impegnati a strillare “fora òl nègher!” per ricordarsi del Gesù palestinese, che in ogni caso tanto bianco non doveva essere ». Già, perché la Murgia è credente: ha persino fatto l’animatrice nell’Azione Cattolica, anche se un paio d’anni fa ha pubblicato un libro, Ave Mary, in cui denuncia i danni procurati dalla visione che la Chiesa ha delle donne.
Donne alla cui dignità tiene molto: proprio durante la premiazione del Campiello, nel 2010, si avvelenò per un complimento rivolto da Bruno Vespa al décolleté della scrittrice Silvia Avallone: «Inqualificabile. Io e Gad Lerner abbiamo incrociato gli sguardi, sbalorditi», ha rivelato Michela. La quale, oltre che cattolica, si sarebbe detta di sinistra. Ma può darsi che l’infatuazione indipendentista l’abbia progressivamente allontanata dalle vecchie categorie della politica. Quello propugnato dalla Murgia, peraltro, non si capisce ancora bene che indipendentismo sia. Parrebbe un indipendentismo all’acqua di rose, poco combattivo e molto «presentabile»: qualcosa di simile al concetto di cibo ruspante rivisto e corretto da Slow Food. A proposito: qualora Michela, come i sondaggi paiono indicare, venisse eletta, in giunta c’è già un posto in caldo per Anna Sulis, ex presidente di Slow Food Sardegna. Nella malaugurata ipotesi che l’esperienza politica della Murgia dovesse tradursi in un magna magna, sappiamo che almeno sarà un magna magna di qualità.