Sarina Biraghi, Il Tempo 18/01/2014, 18 gennaio 2014
QUEI FETI SOTTERRATI NEGLI ORTI DEI CONVENTI
In principio fu la monaca di Monza. Ma la nascita di Francesco, il bel pupo di tre chili e mezzo partorito dalla Piccola Discepola di Gesù, fa fare a Rieti il giro del mondo. Eppure, la città fondata dalla dea Rea dove il Santo Poverello inscenò il primo presepe vivente, balzata all’attenzione mediatica per l’inaspettato parto, è poco incline a sbandierare fatti privati e pubbliche virtù, e invita alla riservatezza preferendo tutelare i «suoi» abitanti, anche quelli dei conventi. Questo non significa che siano senza peccato se già in passato le suore sono state protagoniste di scandali sussurati o alla luce del sole. Già nel 1500 la Curia costrinse i monasteri «fuori le mura», in particolare Santa Lucia e San Fabiano, a trasferirisi all’interno della cinta cittadina per motivi legati alla «moralità». Pare che in quel periodo, voce di popolo voce di Dio, scavando negli orti conventuali, vennero fuori alcuni feti e fu aperta un’inchiesta sulle troppe visite fatte da un frate alle monachelle... Sempre i rumors dei vicoli dell’«umbilicus Italiae», raccontano di un medico che ingravidò una suora ospedaliera... Oltre confine, tempo fa si parlò anche di una suora africana che rimase incinta in un ospedale cattolico dello Zimbabwe: era innamorata di un «congregato», ovvero di un fedele, e tornò alla vita civile per mettere su famiglia. Piccoli scandali di questo mondo oltre che di casa nostra... Quante «sorelle» hanno abbandonato l’abito dopo il noviziato ma anche dopo anni di vita monacale convinte di non potere essere le «spose di Gesù»? Sempre in Italia, un paio di anni fa, a Macerata un’altra suora mise al mondo un bebè ma la notizia, rimbalzata sui social network, non fu commentata velenosamente anzi, si mostrò comprensione per il lato umano di una religiosa «pentita». Del resto, come mostrava qualche anno fa in Inghilterra la pubblicità di un’azienda italiana di gelati, anche una suora può cedere ad una tentazione proibita. Consapevolmente...come accadde a Monza. Nella celebre frase manzoniana «La sventurata rispose» è racchiusa la storia di Gertrude costretta dal padre, causa il maggiorascato, a scegliere la vita monastica praticamente bambina, ma poi si lasciò sedurre da Egidio, «scellerato di professione» che in realtà si chiamava Paolo Osio.
Il personaggio raccontato, e in parte censurato, nei «Promessi sposi» si chiamava Virginia Maria de Leyva e sul suo dramma interiore sono stati scritti fiumi di parole oltre che girati film e sceneggiati, ultimo dei quali magistralmente interpretato da Giovanna Mezzogiorno. Cedendo ad Egidio l’eroina manzoniana diventò una peccatrice ed entrò nell’inferno di un amore sacrilego anche se il dramma della donna era precedente: aveva già subito la violenza del principe padre che l’aveva destabilizzata provocandole una deviazione mentale. Dall’amore proibito e blasfemo, cominciato con sguardi al di là della grata del convento, proseguito con lettere da far arrossire fino ad arrivare a notti di sesso indemoniato, nacquero due figli: un maschio subito morto e Alma Francesca Margherita, affidata a una balia. La follia portò i due amanti anche ad uccidere due suore che avevano scoperto la loro tresca finchè nel novembre del 1607 Virginia Maria fu arrestata su ordine dell’arcivescovo di Milano. La monaca fu torturata affinchè confessasse il suo peccato e poi fu murata viva in una cella larga tre braccia e lunga cinque. Solo tredici anni dopo ne uscì e poté tornare nella comunità monastica di Santa Valeria, dove morì nel 1650. Il suo Paolo fu condannato alla pena capitale: torturato con tenaglie incandescenti e impiccato. Ma questa è una prassi ben lontana dai nostri giorni: la suorina del San Salvador e il piccolo Francesco avranno una vita ben più serena...