Marco Lillo, Il Fatto Quotidiano 18/01/2014, 18 gennaio 2014
MPS UN ANNO DOPO BANKITALIA SAPEVA MA LA FA FRANCA AL PROCESSO
Un anno dopo l’esplosione dello scandalo Monte dei Paschi sulle pagine del Fatto c’è qualcosa che non torna nel modo in cui stampa e magistratura stanno chiudendo la pratica. Il processo che si tiene a Siena mette sul banco delle vittime i controllori gabbati dai grandi imputati, Giuseppe Mussari e Antonio Vigni. Ma, a seguire le ultime udienze, la ricostruzione che vuole Banca d’Italia e Consob tenute all’oscuro di tutto e incapaci di capire quello che accadeva a Siena, traballa. Per capire perché l’associazione dei consumatori Adusbef spara ad alzo zero contro l’atteggiamento dei magistrati senesi bisogna tornare al 22 gennaio 2013. Quel giorno Il Fatto Quotidiano pubblica in prima pagina un titolo che oggi sembra scontato, ma che allora era un pugno in pancia al Monte e a tutto il sistema bancario italiano: “Mps, i conti truccati e il contratto nascosto”. L’articolo, frutto di un autonomo lavoro investigativo, fa crollare Mps in Borsa. L’ex presidente Giuseppe Mussari nel pomeriggio del 23 gennaio si dimette dalla guida dell’Abi.
IL SENSO DELLA STORIA raccontata era questo: per eliminare dall’attivo il derivato Alexandria senza far emergere il buco di bilancio, Mussari e il suo direttore generale Antonio Vigni pensarono bene nel 2009 di accordarsi con Nomura. La banca d’affari comprava a un prezzo alto e completamente fuori mercato il derivato tossico e Mps accettava di acquistare da Nomura un’operazione strutturata su un Btp italiano che scadeva addirittura nel 2034. La prima operazione attiva per la banca di Mussari era compensata dalla seconda negativa. Lo scoop del Fatto consisteva nella pubblicazione di due documenti che provavano la relazione tra le due operazioni, entrambe fuori mercato, e apparentemente separate. Il primo era il mandate agreement, un contratto scritto in inglese e trovato nell’ottobre 2012 dai nuovi manager di Mps nella cassaforte dell’ex dg Antonio Vigni. Il secondo documento era la trascrizione di una telefonata del 2009 tra Mussari e il capo di Nomura in Europa, Sadeq Sayed, nella quale i due si dicevano che le due operazioni erano fuori mercato e che l’una era il prezzo dell’altra. Il processo in corso a Siena sul mandate agreement nascosto ipotizza il reato di ostacolo alla vigilanza proprio perché – per i pm Aldo Nastasi, Giuseppe Grosso e Antonino Natalini – il collegamento tra le due operazioni configurato dal contratto firmato da Vigni e poi messo in cassaforte, era stato nascosto alla Banca d’Italia e alla Consob. L’Adusbef non condivide questa impostazione assolutoria verso Bankitalia e ha presentato un esposto-denuncia alla Corte d’appello di Genova, competente sul Tribunale di Siena, e alla Procura Generale di Cassazione. Secondo il presidente di Adusbef, Elio Lannutti, la tesi sostenuta nel capo di imputazione del processo non regge se si ascolta su Radio Radicale l’interrogatorio reso dall’ex capo degli Ispettori di Bankitalia, Giampaolo Scardone (nel frattempo passato a Banca Carim come vicedirettore generale) il 2 dicembre 2013. In quell’interrogatorio emerge che, prima del ritrovamento del contratto, Bankitalia e Consob avevano gli strumenti per capire.
La deposizione al processo come testimone dell’accusa dell’allora ispettore Scardone è stata effettivamente un colpo di scena. Grazie alle domande incalzanti dell’avvocato di Mussari, Fabio Pisillo, si è scoperto che il 17 aprile 2012 Scardone, all’esito di un’ispezione molto lunga, firma un rapporto nel quale afferma: “Analizzando congiuntamente le due operazioni (“struttura Btp 2034” e nota Alexandria ) se ne possono apprezzare in parallelo gli effetti economici tra il fair value della prima (...) e le riprese da valutazione della seconda, risultanti dai dati gestionali interni alla banca. Emerge un valore di 75,5 mln a vantaggio di Nomura (108 mln - 183,5 mln)”. In pratica l’ispettore di Bankitalia individua il collegamento tra due operazioni realizzate nello stesso periodo tra le stesse parti e aventi segno opposto e trova pure la commissione pagata per il favore da Mps a Nomura: è la differenza tra la perdita sul Btp e il guadagno su Alexandria: pari a meno75,5 milioni di euro.
Quando l’avvocato Pisillo chiede conto a Scardone di quelle intuizioni profetiche, senza contratto in mano, lui replica: “Fino a quel momento noi abbiamo fatto solo delle ipotesi. La dimostrazione, se mi permette, che noi questa cosa non l’abbiamo contestata all’azienda, perché non ce n’erano i presupposti di oggettività. Se noi avessimo saputo che non era solo una sorta di esercitazione di scuola da parte nostra ma fosse, come dire, l’adempimento di un mandato contrattuale, questa cosa in qualche modo all’azienda gliel’avremmo contestata. L’avremmo quanto meno invitata a rivalutare il prezzo delle due operazioni in modo tale da far emergere eventuali effetti negativi da portare al conto economico della banca”. Solo ipotesi, quindi.
Peccato che l’avvocato Pisillo tira fuori l’allegato numero 6 alla relazione di Scardone. È un documento consegnato dal Monte dei Paschi di Siena agli ispettori nel quale non si fanno ipotesi sul collegamento tra le due operazioni ma lo si dà per certo. Non è dato sapere né l’autore né la data del documento ma di certo è vicina a una mail del 21 settembre 2009, allegata alla relazione dell’aprile 2012 firmata da Scardone. Nell’allegato 6, risalente probabilmente a metà settembre 2009, gli uomini di Mps mentre stanno montando l’operazione oggi contestata a Mussari e compagni, fanno due ipotesi su come effettuare l’operazione che poi sarà cristallizzata nel mandate agreement. Scrive Mps: “Le possibili linee di azione sono le seguenti:
1) Nomura – si legge nel report di Mps – compra la carta a 81 (come valutata attualmente a bilancio). Essendo il titolo ad Afs, inizialmente marcato a 100, si avrebbe una perdita di circa 80 milioni a conto economico, e Nomura dovrebbe recuperare (ipotizzando una valutazione a 20 di Alexandria) circa 240 milioni dall’operazione accessoria di Btp a Repo in Asset Swap + Repo Facility; 2) Nomura compra la carta a 100. Nessun impatto a conto economico, e Nomura dovrebbe recuperare (ipotizzando una valutazione a 20 di Alexandria) circa 320 milioni dall’operazione accessoria di Btp a Re-po in Asset Swap + Repo Facility”. A parte la complessità del linguaggio, il concetto è chiaro: se Nomura fa un regalo a Monte Paschi su Alexandria, comprando il titolo a 81, dall’altro lato Mps dovrà fare un regalo simmetrico sul Btp in modo tale da perdere 240 milioni. Se invece l’entità del regalo sale perché Nomura compra a 100, Mps dovrà sobbarcarsi nell’operazione sul Btp una perdita maggiore: 320 milioni. Questo documento interno a Mps è – secondo la difesa di Mussari – più chiaro del famigerato mandate agreement nello stabilire un nesso di reciprocità tra le due operazioni. Con la differenza che l’agreement era chiuso in cassaforte e quindi nascosto a Banca d’Italia e Consob, mentre questo, anche se solo nel 2012, è stato consegnato agli ispettori della Banca d’Italia.
COSA NE HANNO FATTO? Quando l’avvocato Pisillo lo chiede all’ispettore Scardone, lui replica che è stato trasmesso alla Consob e ai suoi superiori. E perché non c’è stata contestazione alcuna? “Io non posso andare a contestare a una banca che sulla base di un contratto che io non conosco ha chiuso un’operazione in perdita”. Il pm Grosso più volte è intervenuto per frenare la vis oratoria di Pisillo davanti al testimone in difficoltà. Probabilmente è stato solo il gioco delle parti processuali che porta l’accusa a tutelare il suo capo di imputazione. Talvolta però le esigenze dell’ufficio dell’accusa non coincidono con quelle della pubblica informazione e con la tutela dei risparmiatori.
Sarebbe importante, se non da parte della Procura di Siena, in altra sede, magari con una commissione parlamentare di inchiesta, perché nessuno in Banca d’Italia e Consob abbia attivato i poteri. Non solo nel 2009 quando l’operazione è stata effettuata, ma nemmeno nei primi mesi del 2012 quando Mps ha messo sotto il naso degli ispettori un documento che “confessava” il trucco insito nel bilancio 2009. Rispondere seriamente a questa domanda è l’unico modo per evitare che altri allegati esplosivi saltino fuori dai cassetti e che altri casi Monte dei Paschi si ripetano in futuro.