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 2014  gennaio 18 Sabato calendario

UNA BICI OLTRE I CONFINI E MOSER FECE IL MARZIANO IL SUO RECORD HA 30 ANNI


Da trent’anni un uomo pedala stringendo due corna di vacca invece di un manubrio, scivolando su ruote che sono padelle, col naso piantato verso il terreno come un giavellotto. Da trent’anni quell’uomo, che si chiama Francesco Moser, corre dentro una solitudine della durata di un’ora, e quell’ora se la mangia. Due record in quattro giorni a Città del Messico, 19 e 23 gennaio 1984, una bicicletta marziana, il sangue molto ossigenato, scienza e fantascienza e qualche alchimia. Con un numero, 51.151, diventato marchio dello spumante Moser a futura memoria, perché il passato è come un vino che non smette mai di frizzare e di annebbiarci un po’.
Molte furono (e restano) le spiegazioni del doppio record dell’ora messicano, ma qui si vuol parlare ancora della bicicletta. La inventò un tecnico biomeccanico, medico e fisiologo, Antonio Dal Monte. Oggi il professore ha 82 anni molto arzilli, pilota felicemente il suo aereo da turismo anche se il vero volo è quello della memoria, il decollo trent’anni fa, l’atterraggio mai.
«Studiammo molto quella bici e i regolamenti, creammo le famose ruote lenticolari, cioè piene, aggirando in qualche modo la norma che prevedeva almeno 35 raggi per ciascuna ruota. Un insieme di fibre di carbonio diventò, per noi, una somma di raggi: ora lo posso dire, una furbata, però funzionò. Penso che una commissione tecnica più accorta non ce l’avrebbe mai concesso, li abbiamo un po’ fregati. Anche perché sulle padelle si poteva scrivere il nome dello sponsor, sui raggi no, e insomma la cosa a qualcuno conveniva».
Sopra la bici di ET, però, c’era un mostro, anche se non più un ragazzino. «Senza il motore di Moser, tutta la nostra ricerca sarebbe stata inutile. Anche se i test effettuati prima del record ci avevano detto che la potenza di Francesco era inferiore a quella di Merckx, detentore del primato. Dunque, tecnica e scienza furono decisive». Anche la medicina, diciamo così, estrema? Anche le trasfusioni sanguigne? «A quel tempo non erano considerate doping, e io comunque mi occupai del mezzo meccanico e di nient’altro».
La bicicletta mai vista, messa fuorilegge nel 2000 («Perché non c’è mondo più conservatore dello sport»), avrebbe cambiato per sempre il ciclismo. «Il telaio era rigidissimo, quasi una bestemmia per quell’epoca, tanto che Merckx ne fu geloso: mi disse che la sua bicicletta si fletteva come una serpe, disperdendo energia. Una bici, quella di Cecco, non leggerissima: e chi se ne frega, gli spiegai. Una volta presa la velocità giusta, sarebbe stato più facile mantenerla. Poi il carbonio, materiale avveniristico con i tubi del telaio tagliati in modo aerodinamico, e le ruote lenticolari, l’anteriore più piccola della posteriore, che permisero di guadagnare 3 secondi a chilometro come venne certificato da un laboratorio russo. Il quale parlò anche di effetto-bolina, capace di trasformare la ruota in una sorta di vela: la forma mi fu ispirata dal radar degli aerei Awacs. I tubolari erano finissimi e sottili, appena 16 millimetri: per aumentare l’aderenza in avvio, spalmammo colla sulla pista».
Eppure Moser non era del tutto entusiasta, ci sono marziani che a un certo punto temono per la propria umanità: «Sì, lui aveva paura che tutta l’attenzione fosse puntata sulla bicicletta, e che in questo modo si svalutassero le sue gambe. Però voleva vincere, assolutamente, e ogni novità gli sembrava percorribile. Una cosa da astuti pionieri, ora possiamo dirlo».