Silvia Fumarola, La Repubblica 18/01/2014, 18 gennaio 2014
GIORGIO FALETTI
Deve essere un grande privilegio nella vita non dover scegliere, tenere insieme le passioni, coltivare il talento. Giorgio Faletti, attore, scrittore, sceneggiatore, cantante, compo-sitore, pittore, fa tutto con naturalezza. «Continuo a essere un dilettante. Non vedo perché dovrei scegliere», spiega. «Debuttare sempre è bellissimo ». Debuttante di successo, la barba bianca che gli dà un’aria da saggio, è severo con se stesso senza tormenti. La pittura è l’ultima passione: quadri che colpiscono l’immaginazione, con un aspetto ludico quasi infantile: Flights, file di aereoplanini che volano e poi giù, in picchiata; Flags, bandiere tricolori su cui sono impresse le orme dei piedi, stelle e strisce ondeggianti, animali che spiccano in un mare di colore: zebre, pecore, pinguini; New York symphonies: frammenti di spartiti musicali sulla tela.
È cominciato tutto per caso, perché ho la faccia tosta», scherza l’artista. «Un amico mi ha chiesto di fare un quadro per una mostra, era per beneficenza. Ho accettato per curiosità, il riscontro è stato positivo e ho continuato». Confessa che negli anni aveva già pensato alla pittura, ma si era censurato. «La cosa peggiore che puoi fare a te stesso è porti dei limiti. A volte le cose succedono per caso, ma bisogna sentirsi liberi mentalmente. Dipingere mi ha sempre incuriosito», spiega Faletti, «anche se non osavo. Guardavo con ammirazione chi sa usare matite e pennelli. Poi ho scoperto che mi piaceva davvero, davanti a una tela mi sento libero, posso esprimermi con i colori, giocare con i collage, usare i giornali, gli animaletti di plastica. Quando vedo un negozio di giocattoli entro sempre a curiosare».
Dipingere, scrivere, comporre una canzone: tutti lavori che si fanno in solitudine. «È vero», racconta Faletti «ma sono strettamente legati al confronto con gli altri, alle emozioni che suscitano. Dipingendo ho scoperto un aspetto nuovo: il rapporto con i materiali. La pittura ti costringe a sporcarti le mani. Se potessi mi preparerei anche le tele, mescolare colla, gesso, garze è moderatamente noioso, però va fatto. A volte anche quella parte è creativa, preparo gli impiastri e il fondo si presenta in modo diverso… Non sto lì a fare misture in cui i componenti sono dosati in modo perfetto».
Per i libri parte da un’idea, la sviluppa aggiungendo dettagli, luoghi, e il personaggio prende vita; invece l’ispirazione di un quadro — rivela — nasce in modo diverso. Prendiamo i quadri con la zebra. «È la serie quei quadri li ho dipinti perché ho trovato gli aeroplanini che avevano le ali zebrate. Ho voluto creare una commistione, unire qualcosa di naturalmente mimetico — le zebre — e qualcosa che lo è artatamente. Il trionfo della natura e della meccanica, nei miei lavori c’è anche un filo di umorismo».
Classe 1950, nato ad Asti, laurea in Giurisprudenza («L’ho presa per non deludere mio padre, faceva il venditore ambulante e ci teneva»), il debutto negli anni gloriosi del Derby a Milano, comico televisivo popolarissimo da cantante al Festival di Sanremo, autore di best seller (pubblicato da Einaudi, in cui si racconta in parole e musica), Faletti è un camaleonte felice. Abita all’Isola d’Elba, a Capoliveri, e trascorre lunghi periodi a New York, la città del cuore.
Una vita a zig zag, senza pensare di essere mai arrivati. Armato d’ironia, che non lo ha abbandonato neanche nel momento più difficile, quando nel 2002 è stato colpito dall’ictus. «Mi sono svegliato in ospedale con tutte quelle lucette dei macchinari ho pensato: come sono arrivato a Las Vegas?».
Non ha ricette da offrire, né consigli da regalare, ma a due cose — ne è convinto — non bisogna mai rinunciare: curiosità e coraggio. «Tutti gli ambienti sono abbastanza snob», ammette «questo fa sì che un comico venga considerato un essere umano di serie B. Ho combattuto questo pregiudizio, mi sono dovuto confrontare con un briciolo di snobismo. Ma la diffidenza nei mie confronti è caduta perché non fingo di essere quello che non sono: com’ero da ragazzo sono adesso. Le mie reazioni, i miei sentimenti sono gli stessi. Sono maturato, certo, ma faccio la mia vita e non rompo le scatole a nessuno. Il coraggio è necessario. Tutte le volte che ho fatto cose nuove ho avuto paura di fallire, ci sono stati anche fallimenti in corso d’opera… Non pensi che tutto quello che tocco diventa oro. Non so quanto sono intelligente, posso solo dire quanto sono curioso, cosa per cui ritengo di essere privilegiato. Dalla curiosità subentra il coraggio di andare a cercare strade nuove».
Non fa sconti a se stesso («Sono un critico severo di me stesso, un gran rompipalle, non sono una persona che si compiace») , ma ha il privilegio di intrecciare linguaggi diversi, seguendo sempre le emozioni. «La musica ti fa venire i brividi, con la scrittura t’inventi personaggi che diventano reali, con la pittura puoi dare tutte le sensazioni in un attimo», riflette Faletti.
«No, non mi chieda di scegliere… Forse la cosa che mi piace di più è ancora la musica, salire sul palco per condividere le mie emozioni con il pubblico. Creare quel rapporto magico che dura il tempo di una canzone e ti lega a chi ti ascolta. Scrivere una storia è legato al flash di un momento, un libro ha centinaia di pagine, mentre una canzone è un’istantanea, il trionfo della sintesi: c’è un mondo in quattro minuti».
Per questo da marzo torna a esibirsi in tour con cui è attore-musicista, sorprende il pubblico e si racconta prendendo spunto dal libro autobiografico I ricordi nella casa di ringhiera si mescolano alle battute, alle canzoni (da Mina, dedicata a Marcella, l’amica scomparsa) alle riflessioni sulla guerra («Non mi fermo, cerco il confronto con me stesso e con gli altri», spiega l’artista.
«Dopo i quattro milioni di copie di ero felice ma il mio pensiero fisso era scrivere subito un altro libro. Perché un colpo di fortuna capita, la vera prova è la seconda opera... Mi sono tranquillizzato quando ho visto che anche vendeva tante copie. I lettori sono meravigliosi, che Dio li benedica, la cosa di cui sono più orgoglioso è quando mi scrivono: “Prima dei suoi libri non avevo mai letto”. È gratificante perché la gente si può innamorare della lettura, scoprire Hemingway o Dostoevskij, passando per la porticina Faletti».
Della sua vita da debuttante non può fare a meno. «Ogni tanto mia moglie Roberta mi dice: “Giorgio, adesso andiamo in vacanza” e mi viene il panico. Mica è facile stare lontano dal computer, dai pennelli, dal pianoforte. Non so stare senza far niente».