Marco Zatterin, La Stampa 18/01/2014, 18 gennaio 2014
FONDI EUROPEI DUE ANNI PER SPENDERE UNDICI MILIARDI DI EURO
Cinque miliardi e mezzo nel 2014 e altrettanti nel 2015, in totale fa undici. «Bella sfida», sospirano ai piani alti della Commissione Ue riferendosi all’immensa somma di fondi europei che Roma deve riuscire a spendere nei prossimi due anni perché il contributo europeo allo sviluppo non sia bruciato in modo irrimediabile. «Gli sforzi dell’Italia son stati considerevoli - dice a La Stampa Johannes Hahn, commissario Ue per le politiche regionali -, e non un solo euro è stato perduto per il 2013». Ma ora, avverte l’austrico, «dovete raddoppiare gli sforzo perché l’impegno che vi attende è ancora più pressante».
Sarà una corsa disperata, in salita per dipiù. A Bruxelles i tecnici sono persuasi che il ministro Trigilia e i suoi ce la possano fare, oltretutto la recente progressione di assorbimento dei fondi Ue è stata impressionante. L’ultimo dato, fresco di qualche ora, dice che si è arrivati ad utilizzare il 55% delle risorse del conto 2007-2013, a fronte di un obiettivo minimo di spesa per il 2013 pari al 48,5. Poco più di due anni fa, alla caduta del governo Berlusconi, il primo quinquennio eurostrutturale s’era chiuso con un risultato di appena il 18%; a fine 2012 si era saliti al 37. L’accelerazione è stata brutale. Sono stati 3,3 i miliardi europei spesi nel 2013, a fronte dei 2,5 dell’anno precedente. Bel punteggio, ma non basta.
Lo scorso 31 dicembre s’è concluso il settennato ordinario e sono cominciati i tempi supplementari. Due anni. Siamo entrati nell’universo del “o la va, o la spacca”, perché i denari che non saranno adoperati non potranno essere recuperati. Rende più complessa la missione la fine del periodo di grazia concesso ai grandi progetti: in Campania, per esempio, è stato computato un piano da 1,2 miliardi (fra l’altro, per i porti di Napoli e Salerno, quest’ultimo bloccato causa inchiesta aiuti di stato) solo sulla base della sua esistenza, senza essere stato formalmente adottato. Adesso questa “attenzione” verrà meno e saranno accettate solo le spese effettivamente fatturate.
Spiegano alla Commissione Ue che la rimonta strutturale si deve alla miglior organizzazione pilotata dal ministro Barca, prima, e da Trigilia dopo. Ma anche al fatto che il tasso di cofinanziamento è stato portato in gran parte dei casi alla soglia massima del 75% (la Puglia è l’eccezione). Questo ha dimezzato la partecipazione dello Stato ai progetti, da un lato permettendo di accelerare l’avanzamento dei cantieri, dall’altro assorbendo in un minor numero di dossier un maggior numero di finanziamenti. Era inevitabile, visti gli squilibri contabili nazionali. Però ora non ci potranno essere altri aiutini.
La questione dei cofinanziamenti ha un chiara dimensione politica. Nel 2006 il governo Prodi impose la regola del «fifty-fifty» per tutti i programmi, nel Sud come nel Nord. Era una questione di equità, si voleva distribuire in parti uguali i denari pubblici, evitare di contribuire di più nelle aree settentrionali che in quelle meridionali. Impossibile. La lentezza dell’assorbimento e la crisi debitoria hanno cambiato il quadro, anche se Trigilia intende correggere la pendenza per il 2014-20. Il governo metterà 24 miliardi e Bruxelles 31,8. Vuol dire che il cofinanziamento Ue sarà del 57%. La Commissione dice che va bene, è compatibile con le esigenza contabili e con quelle politica. Ma Roma non potrà in alcun modo abbassare la guardia.