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 2014  gennaio 18 Sabato calendario

“FABBRICA E FORBICI COSÌ IL NORD HA DATO VITA

AI NOSTRI GRANDI SOGNI” –

Era l’inizio di settembre. Le vacanze a San Luca erano finite il giorno prima. Valigie, bambini, caldo, puzza di sudore in quel viaggio allucinante «quasi tutto in piedi» dalla Calabria a Torino. Era il 1976. Caterina Scriva, oggi 67 anni, venne immortalata mentre teneva in braccio Bruno, due anni, il figlio più piccolo. Giuseppe, di 4, era lì accanto al padre Eugenio Fonnesu che trascinava le valigie senza mai perdere d’occhio il bambino. Click. Scatta l’otturatore della Rollei del fotografo de La Stampa e quel giorno è immortalato per sempre. Trentotto anni dopo, il capofamiglia se l’è portato via un’embolia polmonare. E nel salotto della casa di famiglia, ad Avigliana, si piange il papà scomparso e si guarda indietro, a quegli anni: pochi soldi e tanta voglia di affrancarsi, di farcela, di costruire una vita nuova. Più facile.
Istantanee di un passato neppure troppo lontano. «Abitavamo in piazza Conte Rosso, ad Avigliana. La cucina sotto, la camera da letto al piano superiore. Non c’era la scala interna. Per andare a dormire, o al bagno, dovevamo fare il giro di mezza piazza e passare sotto i portici». La vecchia Fiat 600 era sempre posteggiata in strada: meglio usarla poco, meglio risparmiare.
Eugenio era arrivato in Piemonte nel 1965 da Iglesias, cuore della Sardegna mineraria. Le fabbriche allora assumevano a ritmo continuo e lui aveva trovato lavoro in fonderia: risparmiava su tutto. La prima vacanza se l’era concessa 5 anni dopo. Un amico di San Luca lo aveva convinto ad accompagnarlo al paese, per un matrimonio. Caterina ha ricordi nitidi: «Ci siamo conosciuti lì. Lui era bello, simpatico. Ci siamo frequentati. Poi lui è ripartito per Torino». Un colpo di fulmine: sei mesi dopo si sono sposati e sono tornati al nord insieme. Prima di partire la mamma di Caterina ha abbracciato la figlia e le ha consegnato una valigia. Dentro c’era il corredo: lenzuola, asciugamani, federe: «Li conservo ancora tutti: mia madre aveva lavorato tanto per mettermi da parte quella roba».
Erano gli anni dell’immigrazione di massa. Città e cintura si popolavano di famiglie giunte dal sud e dal Veneto. Avigliana aveva accolto quei suoi nuovi cittadini senza troppa diffidenza: «Eugenio faceva l’operaio a Rosta: guadagnava 30 o 40 mila lire al mese. Io stavo a casa: mio marito voleva così. E poi, era nato Giuseppe. Diffidenza? Mai incontrata. La gente ci voleva bene. Questa è provincia, forse in città era diverso».
Poi, nel ’74, è nato Bruno. E far quadrare i conti è stata un’impresa. L’unico svago era tornare a San Luca, in estate. Ore e ore in treno e poi due o tre settimane dalla famiglia di Caterina, con i bimbi che giocavano con i cuginetti e il caldo terribile della Calabria. «In auto ci siamo andati soltanto un paio di volte, ma molto più avanti». E a Natale si stava tutti in casa, con il panettone della fabbrica e i parenti che venivano a fare visita. Caterina intanto aveva vinto le resistenze del marito e si era trovata un’occupazione: «Rifinivo con le forbici i manicotti delle lavatrici. Facevo tutto in cucina. Mi alzavo alle tre e alle 9 venivano quelli della fabbrica, prendevano i pezzi fatti e mi lasciavano un altro carico». Guadagno netto: trentamila lire al mese. Poco. Ma tutto serviva.
Se c’è una cosa di cui Eugenio, Caterina e, più tardi, anche Giuseppe e Bruno, non hanno mai avuto paura è stato di lavorare. Anche 14 ore al giorno, e mettere da parte lira su lira. «Tutto ciò che abbiamo ce lo siamo conquistato faticando», racconta Giuseppe. A 14 anni lui era già in fabbrica. E da allora non ha più smesso un giorno. Suo fratello, Bruno, terminate le medie s’è infilato una tuta ed è andato in fabbrica con il fratello. «Il primo stipendio? 350 mila lire. Sembra banale, ma mi sentivo ricco». Le prime uscite con gli amici. La prima moto di Bruno, una Cagiva.
«Eravamo già testimoni di Geova. Andavamo alla sala del regno tutti insieme. Conoscevamo altre persone, ci confrontavamo». E mamma e papà risparmiavano, pensando ai figli. Che si sono sposati lo stesso anno: 1998. Giuseppe in estate, Bruno in inverno. Il primo con una ragazza di Torino, l’altro con una ragazza conosciuta durante una vacanza a Napoli. Era la vita che svoltava. «Non siamo diventati ricchi. Ma siamo all’onore del mondo» ripete Caterina. Quattro soldi in banca. Le speranze di una vecchiaia serena. E quella casa di San Luca, uno scheletro, costruito su un terreno comunale. Hanno provato ad acquistare il terreno per poi vendere l’edificio. Gli hanno cambiato il prezzo di vendita due volte in pochi mesi. E hanno perso gran parte dei risparmi. Mamma Caterina si dispera: «È un abuso. Non riusciamo ad avere giustizia da nessuno». Avvocati, commissari comunali, non un aiuto. E i risparmi di Caterina ed Eugenio si assottigliano sempre di più.