Agostino Gramigna, Corriere della Sera 18/01/2014, 18 gennaio 2014
UN REALITY DOVE SI SONO SPOSATI I GIOVANI DEI CLAN DI CAMORRA L’HOTEL DIVENTA BERSAGLIO DELLA RETE
Il «boss» Antonio Polese è stato presentato all’inizio della prima puntata. Neanche il tempo di finire la trasmissione su Real Time, venerdì 10 gennaio, che le bacheche dei social network si sono riempite di proteste e indignazione. Che cosa ha scatenato tanto furore? La trasmissione «Il boss delle cerimonie», reality sui matrimoni alla napoletana che si svolge alla «Sonrisa», un sorta di Castello nella periferia vesuviana, immerso in 40 mila ettari di giardini e palme. Di proprietà di don Antonio. Un po’ Reggia di Caserta un po’ finto Versailles ma anche «spagnoleggiante» come disse don Antonio, che negli anni 80 è stato condannato per favoreggiamento alla camorra. A Federico Arienzo, della II municipalità, non va giù la parola boss: «Connota persone a causa delle quali sono morti innocenti». Per i napoletani che si sono sfogati su Facebook e Twitter si offre invece una rappresentazione trash della napoletanità. E vedono in Real Time la congiura del Nord contro Napoli. Il canale tv si difende: «Documentiamo una realtà che esiste. Non è trash, è folclore. La storia di don Antonio era interessante». Anche per due deputati, Luisa Bossa e Arturo Scotto, che contro la trasmissione hanno firmato un’interrogazione parlamentare, ricordando che i magistrati di Torre Annunziata hanno chiesto il sequestro della Sonrisa per abusi edilizi. La location ha ospitato diversi matrimoni tra appartenenti a famiglie camorriste. Trionfale fu quello tra Marianna Giuliano e Michele Mazzarella, al quale don Antonio preparò un ricevimento coi fiocchi, preceduto da voli di colombe e due ali di ostriche alle pareti. Don Antonio s’è difeso: «Mica posso chiedere la carta d’identità a tutti». Come non ha ritenuto di fare con lui la Rai che per anni dalla Sonrisa ha trasmesso il festival «Napoli prima e dopo».