Ranieri Polese, Mondo Nuovo Plus Maggio 2013, 20 gennaio 2014
LA VERA STORIA DEL CONTE DI MONTECRISTO
Sul Journal des Débats, il 28 agosto 1846, esce la prima puntata de Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas, lo scrittore considerato ormai il principe dei feuilletons dopo il successo trionfale, appena un anno prima, dei Tre moschettieri. Nel primo capitolo del nuovo romanzo, l’onesto e ingenuo Edmond Dantès torna a Marsiglia a bordo del Pharaon. Lo attende il matrimonio con la bella Mercédès e la nomina a capitano, promessagli dall’armatore Morrei. Sarà invece arrestato e imprigionato nell’orrendo Chàteau d’If, per una lettera di denuncia scritta da tre amici invidiosi della sua fortuna. Ai tre si aggiunge il procuratore del re che, pur riconoscendo la falsità delle accuse, non vuole liberarlo. Il seguito è noto: ruggito 14 anni dopo dal carcere, entrato in possesso del favoloso tesoro sepolto nell’Isola di Montecristo, Dantès si vendicherà di quanti procurarono la sua rovina. Nella quale dettaglio importante un ruolo decisivo, anche se indiretto, spetta a Napoleone. Nel romanzo infatti la falsa lettera che incrimina Dantès riguarda proprio il ritorno di Bonaparte dopo la fuga dall’Isola d’Elba. Nella realtà, proprio a Napoleone si deve la rovina della famiglia Dumas.
Fu lui a troncare la carriera militare del padre dello scrittore, il generale Alex Dumas (1762-1806), nato nella colonia francese di Saint-Domingue dal marchese Alexandre-Antoine Davy de la Pailleterie e da una schiava di colore, Marie-Cessette Dumas. Quando, dopo la campagna d’Egitto, il generale Dumas finirà in carcere nel Regno dei Borboni di Napoli, l’indifferenza di Napoleone lo lascerà marcire per due anni. Tornato a casa, malato, senza più incarichi, morirà in miseria: agli occhi del generale che volle diventare Imperatore, il coraggioso mezzosangue, devoto agli ideali della Rivoluzione che aveva abolito la schiavitù, era solo un fanatico che aveva cercato di intralciare la sua scalata al potere supremo.
Toccherà al figlio Alexandre il compito, nelle sue Mémoires, di riscattare l’onore del padre. Non potendosi basare su ricordi personali (il generale Dumas muore quando Alexandre ha solo 4 anni), farà ricorso ai racconti di vecchi commilitoni e alla sua vena romanzesca, dipingendo il ritratto di un eroe puro, distrutto dall’odio di un uomo posseduto da una smisurata ambizione. Ma inoltre il romanziere, con la vicenda di Edmond Dantès, anche lui tradito e cacciato in un carcere spaventoso, concederà al padre, quarant’anni dopo la sua morte, una immaginaria vendetta. Insomma, il generale Alex Dumas sarebbe “il vero conte di Montecristo”
LO SCONTRO INIZIALE fra Alex Dumas e Napoleone avviene nel gennaio del 1797, durante la prima Campagna d’Italia. Soldato semplice in una compagnia di dragoni alla vigilia della Rivoluzione, Dumas dopo il 1789 aveva bruciato le tappe, dando prova di grande coraggio e straordinaria forza fisica. Nel 1792, grazie alle sue azioni alla frontiera con il Belgio, è nominato tenente colonnello. In quell’anno sposa Marie-Louise tabouret, da cui avrà tre figli, due bambine e, nel 1802, Alexandre. Nel gennaio del 1794, con il grado di generale, è inviato sulle Alpi a conquistare il Moncenisio, che riesce a strappare ai Piemontesi. Ora, però, all’inizio del 1797, Dumas è associato in un ruolo subalterno all’Armée d’Italie. Il comando supremo della spedizione è toccato a Bonaparte, per volere dell’uomo forte del Direttorio, Paul Barras, che ricompensava così il servizio resogli da Napoleone il 5 ottobre 1795. Quel giorno, a Parigi, sparando a mitraglia contro gli insorti monarchici, Bonaparte aveva salvato il Governo, ottenendo subito il grado di generale di corpo d’armata.
All’origine del conflitto fra i due generali c’è una diversa, opposta concezione del ruolo dell’esercito della Francia repubblicana. Dumas, fedele agli ideali di Libertà, Fraternità ed Eguaglianza, cerca di impedire saccheggi e soprusi delle truppe di occupazione. Napoleone invece attua una politica di requisizioni forzose nelle città “liberate” e lascia che i suoi soldati si approvvigionino dove e come vogliono.
Nel gennaio 1797, Dumas partecipa all’assedio di Mantova e si attesta nel villaggio di Sant’Antonio. Da qui, sebbene in forte inferiorità numerica, con un’azione coraggiosa riesce a impedire che un battaglione austriaco fuoriuscito da Mantova si unisca alle truppe che stanno arrivando da Verona. Eppure, nel resoconto della vittoria di Rivoli (14-15 gennaio), un aiutante di campo di Napoleone scriverà che Dumas è rimasto fermo in osservazione a Sant’Antonio. Dumas invia una lettera furente a Bonaparte in cui definisce “un povero stupido” il compilatore del rapporto. Per tutta risposta, viene assegnato agli ordini del generale Masséna come comandante di una sottodivisione. In una nuova lettera si dice sorpreso di questa decisione che offende il suo onore. È il più anziano generale del corpo di spedizione, scrive, è stato al comando di molti eserciti senza mai essere sconfitto, e ora, “senza nemmeno degnarsi di incontrarlo”; Bonaparte nei fatti lo degrada. A nulla valgono le dichiarazioni di 25 ufficiali del reggimento dei dragoni in suo favore: nel rapporto inviato alla fine di gennaio al Direttorio, Napoleone omette di citare il nome di Dumas fra quelli che hanno collaborato alla vittoria.
Una tardiva riparazione arriva poco dopo, nel marzo del 1797, quando Dumas conquista il ponte sull’Isarco a Klausen che apre la via per Bressanone. I Tirolesi, impressionati dal suo ardimento, lo chiameranno “der Schwarze Teufel’; il Diavolo nero. Quel giorno, il 23 marzo, Dumas da solo libera il ponte spingendo nel fiume i carri che gli Austriaci avevano messo di traverso per impedire il passaggio. Poi, con il suo aiutante di campo Dermoncourt, entra a Bressanone sotto il fuoco nemico e abbatte a colpi di sciabola quanti gli si parano davanti. Anche quando il suo cavallo è colpito (e i Tirolesi gridano: “II diavolo nero è morto!”), Dumas si rialza e, nonostante le ferite, riesce a conquistare la città. Stavolta Napoleone si congratula con lui, anzi lo chiamerà “Orazio Coclite del Tirolo”.
Chiusa la campagna d’Italia con il Trattato di Campoformio, Napoleone prepara una spedizione in Egitto con l’idea di tagliare l’accesso inglese all’India. Anche Dumas è richiamato a Telone dove si sta preparando la flotta. Il numero di uomini, cavalli, armi, masserie è ingente; c’è anche una delegazione di scienziati e uomini di cultura (fra cui lo storico dell’arte Vivant Dénon e il geologo Dolomieu). Nonostante la vigilanza delle navi inglesi di Nelson, i Francesi arrivano ad Alessandria i primi di luglio del 1798.
Dumas viene nominato comandante della cavalleria, ma molti dei suoi uomini non hanno cavalli. Da qui, in condizioni spaventose (senz’acqua, con le divise di lana, aggrediti da insetti, sempre sotto il tiro dei predoni beduini), l’esercito marcia verso il Cairo. Alto, forte, di pelle scura, Dumas colpisce l’immaginazione degli egiziani, che invece trovano ridicolo e senza carisma il piccolo Bonaparte. Durante la marcia estenuante, una sera a Damanhur Dumas invita altri ufficiali nella sua tenda. Si parla delle condizioni dell’esercito, dei gravi problemi dell’avanzata, si muovono critiche all’organizzazione e al comando. Corrono frasi pesanti: “Gli uomini del ‘92 sono i soldati della nazione, non i servitori di un uomo solo, di un satrapo”. Qualcuno riferirà tutto a Napoleone, che ancora alla fine dei suoi giorni, nel Memoriale di Sant’Elena, ricorderà quell’episodio come una congiura contro di lui. Fra i due ci sarà un nuovo scontro, durissimo. Dumas replica di esser sempre stato leale ma non ritratta le sue opinioni (il figlio, nelle sue Mémoires, gli attribuisce nobili espressioni come “Ho a cuore il mio Paese, non amo i tiranni come Siila o Cesare”). Avanza una sola richiesta, quella di poter tornare in Francia il prima possibile. Ma è ancora utile a Bonaparte: prima nella battaglia delle Piramidi (21 luglio), poi, il 22 ottobre, è lui che doma la rivolta del Cairo. Nelle Mémoires del figlio, Napoleone lo ringrazia. Nei ricordi del medico Desgenettes, invece, Bonaparte dice di non sopportare più “il suo delirio repubblicano” Nel quadro che, ormai incoronato Imperatore, si farà dipingere per celebrare la battaglia del Cairo, Dumas sarà rimpiazzato da un cavaliere biondo.
Ottenuto il congedo, il 7 marzo 1799 il generale Dumas si imbarca ad Alessandria per far ritorno in Francia. Sono con lui il generale de Manscourt e il geologo Dolomieu. La nave, una corvetta maltese (La Belle Maltaise), è in pessime condizioni ma è l’unica disponibile. E quando, una settimana dopo, si abbatte una tempesta, comincia a imbarcare acqua. Da qui la decisione di dirigersi verso il porto di Tarante, dove si pensa di trovare ancora dei Francesi al comando della città. Invece Tarante è caduta in mano alle orde della Santa Fede, l’esercito controrivoluzionario agli ordini del cardinale Ruffo, che di lì a poco entrerà a Napoli mettendo fine alla Repubblica partenopea.
COMINCIA così il periodo più atroce della vita di Dumas, rinchiuso nel forte di Tarante alla mercé di carcerieri disumani, il cui unico interesse è quello di estorcere soldi ai detenuti. La prigionia durerà circa due anni, durante i quali le sue condizioni fisiche, già provate (lasciando l’Egitto aveva scritto alla moglie: “Questo Paese ha distrutto la mia salute”), precipitano. Ha perso la vista da un occhio e l’udito da un orecchio; la parte destra del volto è bloccata dalla paresi; la lesione di un tendine durante uno dei numerosi salassi a cui viene sottoposto lo ha reso zoppo. Più volte, in carcere, cade a terra privo di sensi; ma i farmaci che il medico gli fornisce peggiorano la sua situazione, tanto da convincerlo che stanno tentando di avvelenarlo. La moglie cerca sue notizie presso il Ministero della guerra, scrive pure a Barras, senza ricevere risposte. L’unico che sembra prendere a cuore le sorti del generale è Gioacchino Murat. È ragionevole, anche se non si hanno certezze, che si possa ricondurre ai suoi interventi il trasferimento da Tarante, nel settembre del 1800. Dumas e de Manscourt vengono portati a Brindisi, dove un ufficiale borbonico, Giovanni Bianchi, si mostra disposto ad aiutare i due prigionieri, ponendo fine a un periodo di vessazioni.
IL QUADRO POLITICO nel frattempo è cambiato. Napoleone, tornato in Francia nell’estate del 1799, divenuto primo console grazie al colpo di Stato del 10 novembre, invade di nuovo l’Italia. E sconfigge gli Austriaci a Marengo il 14 giugno. Anche il re Ferdinando di Napoli deve accettare le condizioni di resa imposte dai Francesi, fra cui c’è il rilascio dei prigionieri. Alla fine di marzo, Dumas e de Manscourt sono liberi e imbarcati su una nave che li porta ad Ancona. Durante la sosta a Firenze Dumas scrive un memoriale per raccontare quei due anni passati “sotto il regime più barbaro” Poi arriva a Parigi dove lo attende la moglie e con lei fa ritorno alla cittadina di Villers-Cotterets, nella casa dei Labouret. La Francia che Dumas trova al suo ritorno è un Paese completamente cambiato. Presentando la nuova Carta costituzionale nel dicembre 1799, il primo console aveva scritto: “La rivoluzione è finita” Di lì a poco, avrebbe soppresso anche la legge con cui la Francia, primo Paese al mondo, aveva abolito la schiavitù, vietando per di più i matrimoni misti e perfino la residenza di uomini di colore a Parigi e nell’area circostante. Fatto che costringerà il generale Dumas a chiedere l’appoggio di vecchi compagni d’armi per ottenere il permesso di abitare a Villers-Cotterets.
La nascita di Alexandre il 24 luglio del 1802 è l’unica gioia in un periodo segnato da umiliazioni e miseria. Nonostante le reiterate richieste, non sarà più richiamato in servizio, non gli viene retribuito lo stipendio e non gli toccherà nemmeno un franco della somma che il re di Napoli ha versato in riparazione. Chiede, inutilmente, di essere nominato Cavaliere della Legion d’onore per meriti militari; un antico i commilitone, invitato a fare da padrino al battesimo di Alexandre, adduce mille scuse pur di non essere presente. A corte e tra i suoi generali Napoleone impone il divieto assoluto di “parlare di quell’uomo”. Nel 1805. un medico gli diagnostica un cancro allo stomaco che gli concede pochi mesi di vita. Il generale Dumas muore nel suo letto, durante la notte del 26 febbraio 1806. Il figlio, nelle Mémoires, ricorda un particolare successo nelle stesse ore: mentre dormiva nella casa di una cugina, fu svegliato da un colpo alla porta. Prima di riaddormentarsi, il piccolo Alexandre sente un soffio, un respiro sul suo viso: “L’anima di mio padre, prima di salire in ciclo, si era fermata per un momento sul suo povero figlio che stava abbandonando privo di ogni speranza su questa terra”. L’accanimento contro la famiglia Dumas continua: alla vedova viene negata la pensione. Quando Napoleone è costretto all’esilio all’Elba, Marie-Louise spera di trovare ascolto presso il re. In una lettera al nuovo ministro, nell’ottobre del 1814, scrive: “II coraggioso generale Dumas, che il destino aveva risparmiato sui campi di battaglia, è morto in miseria e afflizione, senza onori ne ricompense, vittima della sua generosità e dell’odio implacabile di Bonaparte.