Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 17 Venerdì calendario

Più che un tribunale sembra il discount delle grandi occasioni. Una fiera dove la crisi fa arrivare di tutto: dagli hotel alle fabbriche, a prezzi scontatissimi

Più che un tribunale sembra il discount delle grandi occasioni. Una fiera dove la crisi fa arrivare di tutto: dagli hotel alle fabbriche, a prezzi scontatissimi. Ma all’asta sarebbero finiti anche incarichi professionali milionari, assegnati al miglior offerente. O preziosi paracadute per imprenditori spericolati dalla mazzetta facile. L’intrallazzo romano è sempre una miniera di cronache incredibili, ma il racconto del tribunale fallimentare capitolino fatto da uno dei suoi stessi magistrati supera ogni fantasia: è un circo, dove vanno in scena politici e mannequin, boss e cantanti. L’ex ministro Franco Frattini telefonava al giudice per "raccomandare" un suo amico architetto che doveva far fallire "dolcemente" una società che gestiva miniere di oro e diamanti in Africa. La cantante e presentatrice tv Stefania La Fauci apriva la strada a suoi conoscenti per acquistare aziende e alberghi. L’attrice e modella cinese Dong Mei sarebbe stata utilizzata dal marito, Federico Di Lauro, commercialista attivo nei fallimenti, per dirottare in Asia grosse somme di denaro che provenivano illegalmente dalle procedure giudiziarie. E poi magistrati corrotti che aggiustavano sentenze, curatori infedeli, avvocati che falsificavano carte e testimoni. Alcuni erano già stati arrestati quasi vent’anni fa nell’inchiesta Toghe Sporche su Cesare Previti e poi prosciolti, altri sono figli di magistrati citati in quell’istruttoria. Un bazar dove tutto era possibile, descritto nei lunghi verbali di Chiara Schettini, fino al 2009 giudice della stessa Fallimentare. Una dama ben introdotta nei salotti romani, che ha vissuto tra l’attico capitolino, l’appartamento di Madonna di Campiglio, quello di Parigi e l’altro di Miami, proprietà che sostiene di avere ereditato dalla madre. Poi nello scorso giugno è stata arrestata, con l’accusa di corruzione e peculato, e dopo mesi di cella ha deciso di confessare davanti al procuratore aggiunto Nello Rossi e al sostituto Stefano Fava. Ha chiamato in causa giudici, legali, commercialisti e pure il padre di suo figlio, l’avvocato Piercarlo Rossi. «Mi rendo conto di aver sbagliato e l’esperienza del carcere che ho vissuto, ingiustamente, mi ha fatto crescere molto, mi ha migliorata, ho preso coscienza di gravi mie leggerezze, perché mi sono fidata di Piercarlo Rossi di cui ero innamorata». Anche lui è finito agli arresti. E anche lui ha riconosciuto parzialmente le sue responsabilità, completando questo affresco di malaffare su cui ora indagano le procure di Roma e Perugia. Ora su molti punti Chiara e Piercarlo si accusano reciprocamente, ma l’intreccio delle loro rivelazioni offre una ricostruzione grottesca della sezione fallimentare: gli amici più spregiudicati vengono protetti o fatti arricchire, gli imprenditori senza coperture e i loro dipendenti finiscono invece in rovina. La Schettini non ha dubbi nell’indicare il responsabile di questo sistema: Tommaso Marvasi, da settembre 2012 presidente del tribunale delle imprese di Roma, arbitro di tutte le controversie in materia di proprietà industriale, diritti d’autore, diritto della concorrenza e societario e dei grandi contratti pubblici. Adesso Marvasi deve decidere se obbligare Google a versare al gruppo Fininvest un risarcimento di circa 500 milioni di euro per la violazione dei diritti sui video messi in Rete. Una singolare coincidenza generazionale. Marvasi, insieme al defunto padre Mario, anche lui magistrato romano, è citato negli atti del processo sul Lodo Mondadori come amico di famiglia di Cesare Previti. E oggi il figlio di Previti, Stefano, difende Mediaset in questa causa contro la multinazionale. I verbali della Schettini sono spietati: «L’ambiente alla Fallimentare mi è sempre stato molto ostile perché è durissimo, è atavico. Non ci sono soltanto spartizioni di denaro ma anche viaggi e regali: di tutto di più. Una nomina a commissario giudiziale vale 150 mila euro, pagati al magistrato dal professionista incaricato. Tutti sanno tutto, e nessuno fa niente. Mi sono scontrata in modo violento con Tommaso Marvasi che era il dominus, era di fatto il capo della Fallimentare; l’ha sempre governata, c’è stato dieci anni ma è come se ci fosse stato venti. Un giorno piangendo per quello che mi faceva ho telefonato a Luigi Scotti (ex presidente del tribunale di Roma, ndr.) e mi ha detto: "Marvasi è il capo della cupola"». E prosegue: «Entravo in camera di consiglio e mi diceva "questo si fa fallire e questo non si fa fallire". Venivo messa in minoranza dai colleghi che si erano già accordati su cosa fare. Cercavo di puntare i piedi ma era inutile... C’erano curatori come Federico Di Lauro a cui sono stati liquidati in un procedimento 850 mila euro di compensi, perché era protetto da Marvasi che veniva in udienza a imporre le somme per i suoi amici. Mi opponevo ma ero sempre messa in minoranza». Il pm chiede chi erano gli altri due componenti del collegio: «Pannullo e Deodato o Pannullo e Severini, erano sempre loro. Poi arrivava Marvasi e diceva: "Si deve fare così", e la sua decisione veniva approvata a maggioranza». Ci sono luoghi che ritornano, come i bar di via Ferrari a pochi passi da piazza Mazzini: lì avvenne l’intercettazione del giudice Renato Squillante che nel 1996 fece nascere l’inchiesta Toghe Sporche. E lì continuano a girare le mazzette. «Si sapeva che Deodato per una nomina a commissario giudiziale andava con la valigetta e prendeva 150 mila euro da Staffa (commercialista con studio nella stessa via, ndr.). Il presidente Deodato per ogni nomina si faceva pagare e siccome lui ha dato tre quarti delle nomine allo studio Staffa, lo scambio avveniva nel bar di via Ferrari. negozi chiusi per fallimentonegozi chiusi per fallimento Lo sapevano tutti. Lo dicevano chiaramente. La persona che veniva nominata consegnava la valigetta con i soldi al giudice». Antonio Staffa fu arrestato nel 1996 dal pool milanese assieme ad alcuni professionisti vicini a Cesare Previti con l’accusa di avere falsificato una perizia: l’inchiesta fu poi trasferita dalla Cassazione a Perugia e il commercialista prosciolto. Come spesso accade a Roma, ogni storia porta alla luce ragnatele di interessi e relazioni. «Un giorno mi telefona Franco Frattini dicendomi che un suo amico, Maurizio Bonifati, aveva bisogno di consigli perché aveva la società Mining che stava per fallire. Lo feci venire a casa mia e gli dissi di fare un concordato. Dopo alcuni giorni ero in montagna a sciare e mi chiama il collega Fausto Severini: mi comunica che ero stata sorteggiata come giudice delegato del fallimento della Mining e mi era stato assegnato come curatore l’avvocato Andrea Trecapelli che fa affari con Piercarlo. Sono rimasta impietrita, non so come hanno fatto a fare questo sorteggio... Hanno organizzato il fallimento della Mining a tavolino con creditori fittizi e prestazioni gonfiate. E secondo me mi hanno fatto dare il fallimento perché ero la più cogliona». Diversa la ricostruzione di Piercarlo Rossi davanti ai pm di Perugia: «Nei primi mesi del 2007, la Schettini mi presentò a casa sua l’architetto Maurizio Bonifati, fratello del noto costruttore romano, Enzo Bonifati, che gli era stato presentato da una sua cara amica Stefania La Fauci. Maurizio Bonifati si trovava in una situazione di forte indebitamento dovuta alla crisi intervenuta nel suo gruppo che fa capo alla Mining Italiana, caduta in "pre-fallimentare". L’accordo che raggiunse Bonifati con la Schettini fu quello di impegnarsi a corrispondere una somma di 800 mila euro, attraverso l’insinuazione al passivo di poste creditorie inesistenti, create ad hoc, da iscrivere con un grado privilegiato di primo ordine (ex lavoratori dipendenti), in modo da precedere tutti gli altri creditori. Il mio ruolo sarebbe stato quello di aiutare Schettini e Bonifati proprio nel creare queste pratiche. La società, nel mese di maggio del 2007 fu dichiarata fallita con la nomina di Chiara Schettini a giudice delegato». In pratica, la coppia inventa una serie di ex dipendenti in attesa di stipendio in modo da permettere all’imprenditore di portare via 800 mila euro. E questo in un fallimento - come spiega Rossi - che «riguardava una società che aveva goduto per molti anni di finanziamenti pubblici (ministero dello Sviluppo economico) di quasi 50 milioni, per la ricerca e l’estrazione di oro in diverse miniere all’estero (Africa, Canada, Cuba)». tribunale civile romatribunale civile roma Ogni favore ha un prezzo, in un do ut des che sembra unire tutti i potentati capitolini. Pure Stefania La Fauci, esordio da cantante a Castrocaro, per tre volte a Sanremo senza sfondare, poi conduttrice della "Banda dello Zecchino" su RaiUno e a lungo inviata di "UnoMattina", sarebbe stata premiata per la sua mediazione. Secondo Schettini la cantante è amica di Frattini. Dichiara Rossi: «La Fauci ottenne come sua ricompensa, almeno per quanto mi è noto, l’assunzione quale dipendente di "Risorse per Roma" (società del Comune di Roma, dove Maurizio Bonifati era stato nominato dal sindaco Alemanno amministratore delegato, ndr.): questione poi divenuta di pubblico dominio con lo scandalo delle "50 nuove assunzioni" eseguite dai vertici nominati da Alemanno, tra cui Bonifati». E la Schettini? Nel 2009 è stata accusata di falso e sospesa dal Csm. Ma non avrebbe rinunciato al suo tornaconto, di grande pregio. «Non essendo più giudice delegato in quanto sospesa, chiese a Bonifati un favore. Bonifati doveva dare un benestare, nella sua qualità di amministratore delegato di "Risorse per Roma", a cedere a un prezzo agevolato un appartamento di proprietà del Comune». Una casa da sogno in piazza Margana, uno degli angoli più suggestivi di Roma a pochi passi dal Campidoglio: 160 metri quadrati all’ultimo piano, con una terrazza a 360 gradi che domina tutto il centro storico «di un valore molto superiore a quello pagato». Riesce infatti a comprarla per 600 mila euro: un affare unico, che gli ha garantito una vista eccezionale per le sue cene mondane. Pure sulla Mining sono state avviate indagini: Maurizio Bonifati è finito sotto processo per truffa aggravata e bancarotta fraudolenta. Ma dallo scorso aprile l’architetto amico di Frattini e Alemanno si è trasferito in Calabria: l’hanno nominato assessore comunale ai Lavori pubblici a Cirò Marina, il cui sindaco è stato eletto con il sostegno del centrosinistra. La vera miniera d’oro però sembrano essere gli uffici del tribunale. La Schettini ricostruisce i flussi di denaro esportati dal suo ex compagno: «Ha un’enorme ricchezza all’estero non soltanto in Svizzera, perché usava Lussemburgo, Cipro, Montecarlo e pure la Cina dove Piercarlo Rossi mi disse che anche Tommaso Marvasi aveva mandato un sacco di soldi». Il canale asiatico sarebbe stato aperto da Di Lauro grazie alla moglie, l’ex modella cinese Dong Mei, condannata lo scorso anno per riciclaggio. Nei verbali non poteva mancare l’ombra della criminalità organizzata. L’ex giudice dichiara che Piercarlo Rossi e i suoi complici «avevano un’associazione con Federico Di Lauro che lavorava anche con la Banda della Magliana», mentre Rossi era «molto agganciato a bande di romeni di Ostia». «Volevo denunciare Di Lauro ma Tommaso Marvasi mi ha bloccata dicendo: "Vuoi che tuo figlio venga gambizzato?", e poi ha aggiunto: "Il padre ha lavorato per Nicoletti. Ma stai scherzando?"». La donna è terrorizzata: «Mi hanno messa alle strette con questa storia della Banda della Magliana, piangevo ogni giorno, avevo paura per mio figlio. Quando sapranno di questo interrogatorio mi metteranno una bomba». Paure che rievocano un terrore antico: nel 1979 le Brigate Rosse uccisero davanti ai suoi occhi il padre, consigliere provinciale Dc molto discusso per l’attività di avvocato fallimentare ed esecutore di sfratti. La commistione tra piani alti e bassifondi, tra professionisti e banditi è surreale. La Schettini accusa Rossi di avere partecipato persino a una rapina, messa a segno dal muratore Augusto Alfieri, un pregiudicato di Ostia che sarebbe stato inserito come falso consulente in molte liquidazioni, incassando migliaia di euro. «Piercarlo con Augusto era amico e si vantava ogni tanto di fare qualche rapina insieme. Mi disse:"Sì, una volta ho fatto il palo mentre lui rapinava"». Millanterie da Romanzo Criminale? Rossi non sembrava temere le procure. Secondo l’ex compagna, agli inizi dello scandalo fallimenti «quando gli ho detto di andare a confessare tutto al pm, lui mi ha risposto ridendo: "Ma figurati, mentre i magistrati stanno fino a tarda notte a cercare indizi su di me, io me la spasso a champagne e caviale a Montecarlo"». Ora però il vento potrebbe cambiare. Da Roma a Perugia l’indagine sulle toghe sporche può portare molto in alto.